“Il sintomo è una risposta sana ad un contesto di comunicazione insano”.
(Gregory Bateson, “Verso un’ecologia della mente”)
Le tecnologie dell’informazione, e il web in particolare, hanno giocato e continuano a giocare un ruolo cruciale nella società attuale. La Rete diventa uno degli elementi strutturali dell’uomo post-moderno e contribuisce ad attivare e modellare nuove forme di socialità e di comunità, basate sulla molteplicità, sulla pluralità e sulla gestione della diversità. Viviamo in una realtà in cui la tecnologia sta trasformando rapidamente lo stile della comunicazione umana. Se fino a qualche anno fa era facile incrociare sui mezzi pubblici persone che sfogliavano un giornale o comunicavano fra loro, oggi è molto più probabile vedere persone con occhi fissi su uno schermo di uno smartphone.
“Quella mattina una volpe se ne andava tranquilla per i prati rifioriti dopo la brutta stagione invernale. All’improvviso la sua attenzione venne richiamata da un violento ruggito. Era un verso che non aveva mai sentito e, terrorizzata, fuggì a nascondersi dietro ad un cespuglio. Da li poté vedere, riparata tra le foglie, il terribile animale che aveva emesso quel suono: si trattava di un leone, una bestia a lei sconosciuta. Spaventata, la povera volpe, scappò via il più velocemente possibile. Trascorsero un paio di giorni dopo quel brutto incontro che sembrava quasi essere stato dimenticato, quando, d’un tratto, la piccola volpe si imbatté ancora nel leone. Questa volta il Re della foresta le apparve proprio davanti ostacolandole il cammino. Essa, impaurita, iniziò a tremare come una foglia senza tuttavia fuggire ma rimanendo ferma al suo posto fino a quando il leone non si allontanò. La terza volta che la volpe si imbatté in quel grosso animale scoprì che il proprio timore nei suoi confronti andava pian piano assopendosi. Così, durante il successivo incontro con il leone, si dimostrò più calma e riuscì persino a salutarlo con un cordiale ‘buongiorno!”.Infine, quando lo rivide, la volpe provò a parlargli e riuscì finalmente a scoprire in lui doti come il coraggio e l’intelligenza. Da quel giorno non si stancò mai di ascoltarlo sicura che, dall’esperienza di un animale così astuto e bravo cacciatore, avrebbe tratto solo vantaggi.”
Nelle situazioni ad alto impatto emotivo negativo come nelle separazioni (es.: la fine di una relazione amorosa, un lutto, un abbandono…) si mettono spesso in atto diverse strategie difensive per la gestione dell’attivazione emotiva. In parte queste strategie sono funzionali alla gestione del dolore quando vengono attivate parzialmente permettendo quindi anche l’avviamento di un processo di elaborazione del vissuto. Nei casi in cui invece le strategie difensive vengono attivate in modo talmente potente da impedire l’integrazione dell’esperienza traumatica nel sé si è di fronte ad esperienze di anestesia emotiva dove si investono molte energie per evitare l’esperienza del dolore che viene negato e nascosto in un angolo della nostra mente, a volte addirittura appare solo come noia, distacco dagli altri o stanchezza fisica. Infatti, non di rado questi individui riferiscono di non stare male ma di sentirsi solo più stanchi del solito. Questa modalità viene tipicamente usata dai soggetti con tendenza alla dissociazione (per un approfondimento sul tema si rimanda all’articolo “Rimozione e dissociazione – Difese del nostro Io”) e in alcuni casi dai soggetti con attaccamento distanziante (per un approfondimento sul tema si rimanda all’articolo “Legame di attaccamento- L’importanza di legarsi”). Nei pattern di attaccamento distanziante la minimizzazione dell’esperienza emotiva negativa è una priorità nella quotidianità: vengono spese delle energie per far sì che le emozioni negative vengano minimizzate e quindi apparentemente tenute a bada pagando delle conseguenze di vario tipo come la manifestazione di un sintomo di ansia, di somatizzazione o un impatto negativo sulle relazioni più intime. Queste persone preferiscono non parlare dei vissuti negativi riferendo spesso di non ricordare molto dell’accaduto, nel tentativo (spesso inconsapevole) di chiudere al più presto un discorso sulle emozioni, oppure di non trovare sensato parlarne “raccontare di certe cose è solo una perdita di tempo secondo me”.
“Non ho che te Non ho che te E l’altro giorno ho visto il titolare Aveva gli occhi gonfi La giacca da stirare Mi ha visto si è girato stava male Aveva gli occhi vuoti La barba da rifare”
“Spesso le persone non hanno emozioni chiare, altro che idee.” (Diego De Silva)
Una delle nostre difficoltà è riuscire a vivere le emozioni tanto che spesso ci chiediamo se proviamo davvero quello che sentiamo o se le emozioni che proviamo siano vere. A volte ci chiediamo cosa stiamo provando esattamente, travolti da una complessità emotiva che non riusciamo a decodificare.
Non è facile capire cosa proviamo come non è semplice concedersi la libertà di vivere pienamente le emozioni che accadono senza che esse, non solo semplicemente esistano, ma abbiano la facoltà di essere vissute. Per tutta la nostra esistenza riconosciamo come forte il desiderio di vivere le nostre emozioni e spesso di essere addirittura travolti da esse ma passiamo la maggior parte del tempo a schermarci e difenderci quando abbiamo il sospetto che le emozioni possano essere troppo sconvenienti; così permettiamo il passaggio soltanto di alcune emozioni, una piccola parte di esse che può accedere alla nostra mente in modo tale che possiamo controllare quanto possiamo effettivamente essere travolti emotivamente; e il desiderio di vivere esperienze turbolenti può essere pura illusione.
“Tu portami via Dalle ostilità dei giorni che verranno Dai riflessi del passato perché torneranno Dai sospiri lunghi per tradire il panico che provoca l’ipocondria… Tu portami via Dalla convinzione di non essere Abbastanza forte Quando cado contro un mostro più Grande di me Consapevole che a volte basta prendere La vita così com’è.”
Immaginiamo di avere in mano un diamante dalle mille sfaccettature e di farlo girare sotto i raggi del sole. Potremo subito notare i colori diversi che esso riflette e che si posano sugli oggetti circostanti…
Ma ora proviamo ad immaginare che quel diamante rappresenti la nostra personalità, le parti di noi stessi più profonde, nascoste e che i colori che si impressionano su un muro, ad esempio, siano espressioni di queste parti di noi.
Spesso però non conosciamo quelle nostre sfaccettature e dunque non riconosciamo quei colori come provenienti da noi stessi.
La formazione della coppia avviene attraverso un percorso, che possiamo definire anche ciclo in quanto prevede degli ostacoli da superare per potersi sviluppare, nel quale i partner si confrontano, si conoscono, si mettono alla prova. All’interno di questo ciclo si inseriscono momenti più o meno critici, e ogni coppia è caratterizzata dai propri tempi e passaggi, in quanto ogni componente porta all’interno della relazione la propria storia personale, relazionale, la propria personalità, le risorse e i limiti.
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