Relazioni terapeutiche. Riflessioni su un caso di buona separazione
Mi ero domandata più volte come sarebbe stato, provando a immaginare cosa e come lo avremmo vissuto tanto io quanto loro; un complesso di pensieri sottesi che divenne via via sempre più tangibile man mano che il momento della separazione dai miei pazienti si approssimava. Tutta una serie d’importanti accadimenti mi aveva portato ad interrogarmi nel profondo sull’opportunità o meno di continuare a seguirli in quel contesto, viste le non poche difficoltà logistiche e, in special modo, tutto ciò che da quelle era derivato. Fintanto che, un giorno di non molto tempo fa, a malincuore ma al contempo anche come “sollevata” dall’aver fatto finalmente chiarezza, mi accorsi di avere maturato la decisione di terminare, e di lasciare che i miei pazienti fossero così riassegnati e seguiti dai miei validi colleghi, geograficamente più vicini. Chiaramente, prima d’ora non avevo mai sperimentato su di me l’esperienza del distacco dai miei pazienti, e nonostante nei mesi precedenti mi fossi in qualche modo “allenata” psichicamente per quell’accadimento venturo, nei fatti, poi, la cosa si rivelò assai diversa da come me l’ero figurata, stupendomi positivamente. E’ il giorno del nostro congedo e la mia paziente, una volta occupato comodamente il suo posto, con un sorriso velatamente malinconico mi confida di avermi portato un piccolo pensiero: in un attimo prende da sotto al tavolo una busta a tema natalizio – di cui evidentemente, al momento di accoglierla, non mi ero affatto accorta – e da lì estrae una bottiglia di olio purissimo, ricavato dai rigogliosi alberi d’ulivo della sua campagna.