Nella pratica clinica, e non solo, occorre molto di frequente rilevare la tendenza all’insonnia nei pazienti nella terza età. Dai 65 anni in su, l’impossibilità di addormentarsi, o di far durare il sonno fino al mattino, sembrano una costante dell’esperienza di vita dell’anziano. Secondo l’ISS l’insonnia affligge circa 12 milioni di individui solo in Italia. La percentuale raggiunge il 40% per le persone dai 65 anni in su.
In questi due anni di pandemia il pensiero di tutti era rivolto ai deboli, ai bambini che non potevano giocare insieme, alle persone con disabilità, agli anziani ricoverati nelle case di cura che non potevano incontrare i propri parenti. Quando si pensa ad una casa di riposo si pensa alla tristezza, all’abbandono, alla morte. Ma è la verità o la società che ci porta a pensare questo?
Pubblicazione a promozione del progetto “Rondini. Centro di ascolto psicologico e assistenza legale” finanziato dalla Regione Lazio con risorse statali del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, promosso dall’Associazione Semi di Pace OdV in collaborazione con l’Associazione Il Sigaro di Freud come soggetto terzo – www.semidipace.it/progetto-rondini/
“Sai mantenere un segreto? Sto organizzando un’evasione da un carcere. Mi serve, diciamo, un complice. Prima dobbiamo andarcene da questo bar, poi dall’albergo, dalla città e infine dal paese. Ci stai o non ci stai?” (Lost in Translation
“E come se stessi leggendo un libro… è un libro che amo con tutta me stessa, ma lo leggo lentamente ora, le parole sono distanti tra loro gli spazi tra le parole sono quasi infiniti. Riesco ancora a sentire te e le parole della nostra storia, ma è in questo spazio infinito tra le parole che sto trovando me stessa ora. È un posto che non appartiene al mondo fisico, dove ci sono cose che neanche sapevo esistessero. Ti amo tantissimo. Ma ora sono qui, e ora sono questa, e devi lasciarmi andare, per quanto io lo voglia, non posso più vivere nel tuo libro.”
Questo discorso è tratto dal film Her di Spike Jonze del 2013. A parlare è Samantha, intelligenza artificiale, di cui si innamora il protagonista Theodore. Nel film queste parole coincidono con un addio, ma non è questo l’aspetto, in fin dei conti non determinante, sul quale vorrei soffermarmi. La vera forza di queste parole sta nella consapevolezza che Samantha acquisisce di se stessa, lo scoprire un proprio nuovo modo di essere, di desiderare. Si riconosce come una “persona” nuova, con caratteristiche diverse emerse durante e grazie la relazione, non conosciute fin dall’inizio. Questo, inequivocabilmente, genera una crisi, una frattura, un’inevitabile frustrazione che per essere accolta, generando un cambiamento, ha bisogno di essere lasciata andare. Questo è il punto che più mi piace del discorso: lasciare andare la frustrazione.
Sono cattivo perchè sono disperato. Non sono forse schivato e odiato da tutti gli uomini? Tu, il mio creatore, mi faresti a pezzi e ne esulteresti; pensa a questo e dimmi: perchè dovrei mostrare pietà per l’uomo più di quanta lui non ne mostri per me? (…)
Un giorno che ero oppresso dal freddo, trovai un fuoco lasciato acceso da alcuni vagabondi, e mi sentii invadere di gioia al calore che da esso proveniva. Nel mio giubilo, infilai la mano fra le ceneri ardenti, ma subito la ritrassi con un grido di dolore. Strano, pensai, che la stessa causa potesse provocare effetti così opposti (…)
Ah, fossi rimasto per sempre nel mio bosco, ignorante e senza altre sensazioni che non fossero fame, sete e caldo! La conoscenza ha una ben strana natura! Aderisce alla mente, dopo averla conquistata, come un lichene sulla roccia. Qualche volta provavo il desiderio di scrollarmi di dosso ogni pensiero e sentimento; ma imparai che c’è solo un modo per superare la sensazione di dolore, ed è la morte, uno stato che temevo senza comprenderlo (…)
“A lungo andare, è sembrata sul punto di cedere al sonno, ma con uno sforzo si è riscossa. Lo stesso è accaduto a più riprese, ogni volta con maggior fatica da parte sua e a intervalli via via brevi. Era chiaro che non voleva dormire, e ne ho approfittato per abbordare senz’altro l’argomento. “Non volete dormire?” “No, ho paura.” “Paura di dormire! E perché mai? Il sonno è un bene al quale tutti agognamo.” “Ah, non quando si è nella mia situazione, quando il sonno è foriero di orrori.” “Foriero di orrori! Ma che cosa state dicendo?” “Non lo so, non lo so! Ed è proprio questo lo spaventoso! Questa debolezza sopravviene durante il sonno, e al solo pensiero inorridisco.” […] E, pronunciata appena la parola, eccola far udire un gran sospiro di sollievo e sprofondare nel sonno. Tutta la notte sono rimasto a vegliare. Non si è mossa neppure un istante, ma ha continuato a dormire e a dormire di un sonno profondo, tranquillo, foriero di vita e di salute. Le labbra erano semiaperte, il seno si alzava e si abbassava con la regolarità di un pendolo. E un sorriso le aleggiava sul volto, rendendo manifesto che nessun brutto sogno era venuto a turbare la pace del suo spirito […]”
“La situazione è delicata, mi è tornato fuori il tumore, al fegato questa volta. Sono sotto terapia, ma vorrei far capire a chi mi ascolta che la vittoria non sta nello stare in vita o nel morire, nel non avere più il tumore o nell’averlo. Saremmo tutti dei perdenti, altrimenti, perché, presto o tardi, finiamo tutti per morire. La vittoria sta nel decidere di essere felici”.
Questo è un estratto dall’intervista fatta, per Vanity Fair, a Elisabetta Imelio, bassista, co-fondantrice dei Prozac+ e dei Sick Tamburo, venuta a mancare lo scorso 1 Marzo 2020 per un tumore.
In queste poche parole, Elisabetta trasmette con estrema forza e chiarezza un tipo di approccio alla vita che tutti dovremmo tenere in considerazione.
“Un uomo trovò un uovo d’aquila e lo mise nel nido di una chioccia. L’uovo si schiuse contemporaneamente a quelle della covata, e l’aquilotto crebbe insieme ai pulcini. Per tutta la vita l’aquila fece quel che facevano i polli del cortile, pensando di essere uno di loro.
Frugava il terreno in cerca di vermi e insetti, chiocciava e schiamazzava, scuoteva le ali alzandosi da terra di qualche decimetro. Trascorsero gli anni, e l’aquila divenne molto vecchia. Un giorno vide sopra di sé, nel cielo sgombro di nubi, uno splendido uccello che planava, maestoso ed elegante, in mezzo alle forti correnti d’aria, muovendo appena le robuste ali dorate.
La vecchia aquila alzò lo sguardo, stupita: “Chi è quello?”, chiese. “E’ l’aquila, il re degli uccelli” rispose il suo vicino. “Appartiene al cielo. Noi invece apparteniamo alla terra, perché siamo polli.”
“Stregatto, […] potresti dirmi, per favore, quale strada devo prendere per uscire da qui?” “Tutto dipende da dove vuoi andare,” disse il Gatto. “Non mi importa molto…” disse Alice. “Allora non importa quale via sceglierai,” disse il Gatto. “…basta che arrivi da qualche parte,” aggiunse Alice come spiegazione. “Oh, di sicuro lo farai,” disse il Gatto, “se solo camminerai abbastanza a lungo.” Alice sentì che tale affermazione non poteva essere contraddetta, così provò con un’altra domanda: “Che tipo di gente abita da queste parti?” “In quella direzione,” disse il gatto, agitando la sua zampa destra, “vive un Cappellaio: e in quella direzione,” agitando l’altra zampa, “vive una Lepre Marzolina. Visita quello che preferisci: tanto sono entrambi matti.” “Ma io non voglio andare in mezzo ai matti,” si lamentò Alice. “Oh, non hai altra scelta,” disse il Gatto: “qui siamo tutti matti. Io sono matto. Tu sei matta.” “Come lo sai che sono matta?” disse Alice. “Devi esserlo,” disse il Gatto, “altrimenti non saresti venuta qua.” Alice non pensava che questo bastasse a dimostrarlo; ad ogni modo, andò avanti “E come sai di essere matto?” “Per iniziare,” disse il Gatto, “un cane non è matto. Concordi?” “Immagino sia così,” disse Alice. “Bene, allora,” il Gatto andò avanti, “vedi, un cane ringhia quando è arrabbiato, e scodinzola quando è felice. Io ringhio quando sono felice, e agito la coda quando sono arrabbiato. Quindi sono matto.” “Io lo chiamo fare le fusa, non ringhiare,” disse Alice. “Chiamalo come preferisci,” disse il Gatto […]
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