Il Vampiro. Il piacere della paura

“A lungo andare, è sembrata sul punto di cedere al sonno, ma con uno sforzo si è riscossa. Lo stesso è accaduto a più riprese, ogni volta con maggior fatica da parte sua e a intervalli via via brevi. Era chiaro che non voleva dormire, e ne ho approfittato per abbordare senz’altro l’argomento. “Non volete dormire?” “No, ho paura.” “Paura di dormire! E perché mai? Il sonno è un bene al quale tutti agognamo.” “Ah, non quando si è nella mia situazione, quando il sonno è foriero di orrori.” “Foriero di orrori! Ma che cosa state dicendo?” “Non lo so, non lo so! Ed è proprio questo lo spaventoso! Questa debolezza sopravviene durante il sonno, e al solo pensiero inorridisco.” […] E, pronunciata appena la parola, eccola far udire un gran sospiro di sollievo e sprofondare nel sonno. Tutta la notte sono rimasto a vegliare. Non si è mossa neppure un istante, ma ha continuato a dormire e a dormire di un sonno profondo, tranquillo, foriero di vita e di salute. Le labbra erano semiaperte, il seno si alzava e si abbassava con la regolarità di un pendolo. E un sorriso le aleggiava sul volto, rendendo manifesto che nessun brutto sogno era venuto a turbare la pace del suo spirito […]”

“Fatto sta che non ho paura di restar sola questa notte, e potrò dormire senza timori. Non farò caso a eventuali battiti d’ali fuori dalla finestra. Oh, la terribile lotta che ho dovuto sostenere tanto spesso contro il sonno in questi ultimi tempi; la sofferenza dell’insonnia e il tormento della paura di addormentarmi, con tutti gli ignoti orrori che il sonno ha in serbo per me! Come sono fortunati certuni che vivono liberi da timori, da angosce; per i quali il sonno è una benedizione che arriva ogni notte, e di null’altro è foriero se non di dolci sogni. Be’, eccomi qui, questa sera, speranzosa di poter dormire, distesa, come Ofelia nella tragedia, “con vergini corone e fanciulleschi fiori sparsi.” […]”

“Non avevo paura, ma avrei preferito che il dottor Seward fosse nella camera accanto per poterlo chiamare. Ho cercato di riaddormentarmi, ma invano. Poi, mi è tornata la vecchia paura del sonno e ho deciso di restare sveglia. Ma il sonno testardamente continuava a imporsi contro la mia volontà; e allora, siccome non volevo restar sola, ho aperto la porta e ho chiamato: “C’è qualcuno?”

Questi sono alcuni estratti del famosissimo Dracula di Bram Stoker,  romanzo gotico epistolare del 1897, uno dei massimi esempi di romanzo gotico e fautore del mito del vampiro. A parlare in queste parti del libro è Lucy Westenra, giovane aristocratica contesa da diversi protagonisti e infine sedotta e vampirizzata dal conte Dracula.

Come si evince dalle sue parole, la ragazza ingaggia una sorta di lotta intestina, feroce e continua, con il mondo della notte. Perennemente sul punto di addormentarsi, ne è spaventata. Fugge il sonno, terrorizzata dai sogni che possono trasformarsi in incubi e dalla vulnerabilità che cala quando chiudiamo gli occhi. Ha paura di perdere il controllo, di non riuscire a gestire gli scherzi della mente e i misteri che si celano dietro il buio. In alcuni momenti non vede l’ora di addormentarsi, vedendo nel sonno un caldo rifugio nel quale recuperare le energie, soprattutto se c’è qualcuno a vegliare su di lei; in altri, invece, fa di tutto per non chiudere gli occhi, straziandosi pur di non cedere a quello che sente più come un richiamo che una sua libera scelta. In entrambi i casi, però, la conclusione è sempre la stessa, ovvero, per quanto riesca a lottare, finisce sempre con il perdersi in un sonno che, da lì a breve, per lei sarà eterno.

Quella di Lucy sembra quasi una lenta danza tra il sonno e la veglia, un po’ come il suo processo di vampirizzazione che non è brusco e veloce, ma si distribuisce in più notti, in un gioco di seduzione macabro e irreversibile.

Come s’incontrano Lucy e il conte Dracula?

Per via del suo sonnambulismo. La ragazza, sempre in questo stato di torpore tra il conscio e l’inconscio, esce dalle sue stanze per andare incontro al mostro, quando non può lo fa entrare attraverso la finestra o , attirata dal battito d’ali del pipistrello, lo indica, lo cerca. Un richiamo, questo, al mito secondo il quale il vampiro, per avvicinarsi alla sua vittima, ha bisogno di essere “invitato”, ha bisogno di una sorta di reciprocità. Anche con Dracula, Lucy ingaggia la stessa danza altalenante tra il sonno e la veglia, il giorno e la notte. Lo teme, ma ne è attratta; ripudia l’orrore della sua vicinanza, ma sembra quasi volerlo attirare; contempla l’amore borghese del medico che veglia su di lei, ma desidera concedersi al signore della notte. È rapita in un turbine di emozioni fatto di paura, adrenalina e dolore. Un turbine che la sua razionalità prova a combattere, mentre il suo istinto ne è affascinato.

Ed è proprio su questo che il famoso scrittore vuole farci ragionare e ci provoca. Perché Lucy non riesce a resistere? Perché dietro la paura, l’adrenalina e il dolore, si nasconde, per lei, un grande piacere.

Quante persone ricercano continuamente un euforia perenne, la famosa botta di adrenalina, chi attraverso gli sport estremi, chi attuando comportamenti a rischio. Quanti si creano situazioni dove assaggiare la paura, dove terrorizzarsi, per provare il brivido di superare lo spavento trovando il coraggio. Molti sono pronti anche ad accettare il dolore, pur di provare quelle emozioni forti che soltanto paura e adrenalina sanno dare.

Come mai siamo disposti a metterci, con le nostre stesse mani, in situazioni anche pericolose pur di provare sensazioni dalle quali dovremmo allontanarci? Perché paura, adrenalina e dolore fanno semplicemente parte della vita. Sono vita.

Anche l’amore è fatto di paura, adrenalina e dolore. Quante volte, come fosse un vampiro, abbiamo “invitato” qualcuno ad entrare nella nostra vita, sapendo benissimo, dal primo sguardo, che non avrebbe fatto altro che farci soffrire? Spesso decidiamo di non ascoltare il nostro sesto senso, l’allarme che scatta dentro di noi quando incontriamo qualcuno che sembra piacerci. Spesso, sedotti dal battito d’ali, decidiamo di aprire la finestra a chi non ci convince, a chi accende in noi dubbi e timori, ma che, inesorabilmente, ci affascina. Come Lucy, persi tra il sogno e la realtà, iniziamo la nostra danza claudicante, invaghendoci di persone che non ci ricambiano, di uomini/donne impegnati/e, di chi promette e non mantiene, di chi fugge, di chi non ci stima, di chi ci abbandona e riprende a suo piacimento, di chi ci tradisce, di chi è troppo diverso da noi. La lista potrebbe essere ancora più lunga. (Per un maggiore approfondimento leggere Il fallimento dell’amore romantico – Sui modelli relazionali).

Perché lo facciamo?

Perché in amore, anche se ci fa stare male, quando proviamo l’adrenalina della paura, del dolore, dell’incertezza, c’è una parte di noi che, volenti o nolenti, sta bene e prova piacere. Una forza che ci spinge alla ricerca di determinate sensazioni per trovare la sua gratificazione.

Come se ne esce?

Bram Stoker, quando facciamo entrare un vampiro nella nostra vita, consiglia di ficcarli un paletto nel cuore e tagliarli la testa. Non credo però sia un consiglio condivisibile né auspicabile.

Come spesso accade nelle storie di terrore, dovremmo, prima di tutto, dare un nome al mostro, riconoscerne la forma e le caratteristiche. Sapere dove si annida e di cosa si nutre. Non dare per scontato che il vampiro sia per forza la persona di cui ci invaghiamo. Spesso il vero vampiro dimora al nostro interno, lo abbiamo fatto entrare senza neanche accorgercene. A volte il vampiro è dentro di noi e, affamato, ci spinge a mettere in scena comportamenti che lo nutrano, e lui si nutre dei nostri errori e delle nostre paure. Però fa comunque parte di noi e siamo gli unici a poterlo stanare. Come? ScoprendociPerché continuo a fare sempre la stessa cosa? Cosa provo? Perché ricerco sempre questa emozione? Cosa significa? Cosa mi impedisce di fare e in cosa mi gratifica? Posso tentare di fare altro? Anche qui la lista di aspetti a cui potremmo prestare attenzione è sconfinata.

Potremmo scoprire che in realtà ci piace questa situazione e il vampiro al nostro interno ci sta anche simpatico. Accettarsi vuol dire iniziare ad avere consapevolezza di sé, rasserenando le nostre emozioni anziché estremizzarle.

Potremmo scoprire che, dietro il fascino della paura e del dolore, ci siano le nostre insicurezze, le nostre debolezze, le problematiche che non siamo mai riusciti a superare e che ci spingono verso la ricerca di determinate sensazioni per farci sentire vivi.

Oppure potremmo scoprire che al nostro interno dimora la paura più spaventosa di tutte: la paura di stare bene. La paura di immedesimarci troppo in Lucy, venendo rapiti dal desiderio di danzare tra il giorno e la notte, di lasciarci vampirizzare lentamente alla ricerca del piacere e della felicità, cercando di ottenere l’equilibrio perfetto tra il sogno e la realtà, senza mai raggiungerlo veramente.

Ps: nel dubbio portate sempre un paletto con voi.

“Nessuno può sapere, se non dopo una notte di patimenti,

quanto dolce e prezioso al cuore e agli occhi

possa essere il mattino” – Dracula di Bram Stoker –

Dott. Luca Notarianni

Riceve su appuntamento a  Roma

cell. 3804739760

email: luca.notarianni@alice.it

Per Approfondire:

Stoker B. (1897) Dracula.

Fromm E. (1956) L’arte di amare. Mondadori.

Norwood R. (2013) Donne che amano troppo. Feltrinelli 

FILM: Dracula di Bram Stoker (1992) di Francis Ford Coppola.

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Commento

  • Il sentimento suscitato dal vampiro e piu vicino alla paura o al fascino? E perche? Dipende dal vampiro. Un non-morto mitteleuropeo appena uscito dalla fossa e ancora ricoperto di fluidi e di vermi che si butta addosso al primo disgraziato che incontra sara a dir poco un cafone, e anche per motivi olfattivi noi non vorremo aver a che fare con lui. Se proprio ci devono spillare il sangue, allora meglio avere a che fare con le tre spose di Dracula (pur nel lecito sospetto che si tratti di tre casalinghe frustrate private finanche della valvola di sfoga del cucinare) che almeno una coscia e un capezzolo (se gira bene) forse lo lasciano intravedere. Quindi, i vampiri (e le vampire) sono mascalzoni, ma un baciamano serve pur sempre a zuccherare la pillola.

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