Sul Dialogo interiore
Dare senso alla vita

Quando ci interfacciamo alla psicologia e tutto ciò che concerne il funzionamento mentale, è ancora molto comune imbattersi in un approccio sintomatologico, anche e soprattutto fra le persone non addette ai lavori.

In una conversazione potremo imbatterci in persone che esprimono il loro malessere per una depressione senza senso che proprio non vuole passare, oppure in attacchi di panico apparsi all’improvviso e senza alcun motivo o in una dipendenza affettiva di una persona troppo debole per accorgersene o svincolarsene. Ciò che viene a mancare in questo approccio è la consapevolezza ed il funzionamento della nostra mente, il perché ed il come di ciò che sentiamo, proviamo o pensiamo. Per poter approcciarci alla mente con una funzione conoscitiva e non correttiva è fondamentale aprire con il proprio mondo interno quello che viene chiamato dialogo interiore.


Potrei affermare che l’assenza o la disfunzione del dialogo interiore possa condizionare la maggior parte delle psicopatologie. Parlando di dialogo interiore individuiamo già una distinzione fondamentale tra mondo interiore e mondo esteriore, delimitato da confini, la pelle psichica, che per natura dovrebbe avere una conformazione semipermeabile. Ed ecco il primo punto essenziale per agevolare un dialogo interiore: i confini/contenitore.
Se non riusciamo a porre, far rispettare, proteggere i nostri confini personali, saremo costantemente invasi dalle ingerenze psichiche dell’altro, in altre parole rischiamo di essere definiti da valori, bisogni, desideri o turbamenti di altre persone, incapaci di utilizzare la rabbia come emozione sana e funzionale, per separare, distanziare e individualizzare il me dell’altro. I confini tra il mondo interno ed il mondo esterno ci permettono dunque di distinguere ciò che io sento, penso, desidero e ho bisogno dai sentimenti, pensieri, desideri e bisogni dell’altro. Generalmente, ma non solo, un senso di colpa per le proprie pulsioni aggressive è la causa principale di una difficoltà nel porre questi confini: “Se dico di No, sono uno stronzo”.


I confini fungono anche da contenitore del proprio mondo interno, ponendomi su una dimensione del contenimento come curiosità di ciò che sento, e non controllo di ciò che potrebbe esserci nel mio inconscio. La curiosità è alla base di un buon dialogo interiore, perché permette ad ogni parte del sé di poter essere accolta con sincera curiosità e le viene dato diritto di espressione, attraverso la validazione.
Il dialogo interiore non è, quindi, solo un “comizio intellettuale” che viene fatto dentro di sé, ma diviene una vera e propria esperienza esplorativa e conoscitiva del Sé, in continuo divenire. A guidarci nel mondo interiore sono le emozioni, che fungono, come un oracolo, da rivelatore di contenuti non ancora consapevoli ma carichi di significato. La consapevolezza di avere un mondo interno “accogliente e inclusivo” non vuol dire giustificare qualsiasi cosa si faccia o agire qualsiasi cosa io possa sentire, significa che dentro di me, nella mia mente, io posso accogliere qualsiasi vissuto senta il bisogno di essere espresso, e farlo dialogare con le altre mie parti, a volte entrando in conflitto, senza però reprimere o inibire nulla e sperimentando costantemente di avere la compagnia di se stesso come parte che si prende cura di Sé.
In che modo può essere assente un dialogo interiore?

  • Assenza e/o dissociazione della consapevolezza sul sentire, (Alessitimia): Posso sentire il cuore che batte forte, il respiro affannato, ma non riconoscere che sto provando paura; oppure posso dire di stare male, di soffrire, senza saperne il motivo o riconoscere l’emozione di base;
  • Sento le emozioni, le riconosco, ma me ne vergogno, perché le giudico come segno di debolezza.
  • Sento le emozioni, ma le accantono perché pensare troppo al mio mondo interiore mi fa sentire in colpa, perché lo giudico un segno di egoismo.
  • Vivo parte della mia mente, delle mie emozioni e pulsioni come potenzialmente pericolose, perché se provo troppo le emozioni ho paura di perdermi e impazzire (problematica con il contenitore) o perché dentro di me penso ci sia una parte cattiva/demoniaca.

Capiamo bene che vivere la propria mente e piano affettivo/emotivo come un mondo sconosciuto o peggio minaccioso, mi porta ad essere in balia delle esperienze attivanti del mondo esterno. Paradossalmente più mi difendo dalle mie parti vulnerabili e più non sono in grado di proteggerle e prendermene cura.

La curiosità compassionevole mi permette di accogliere ogni parte di me, anche l’autocritica, come elementi al servizio dell’Io. L’offesa, la mortificazione ed il giudizio verso di sé, figlie di un Super Io disfunzionale appreso nel contesto di vita, possono avere una funzione difensiva ( non mostrarsi debole) ma non protettiva ( accogliere le mie parti vulnerabili), pensando erroneamente che se accolgo il mio mondo interiore sono troppo buono o accondiscendente come me stesso.
E’ sempre nostra responsabilità domandarci se stiamo vivendo una vita in difesa o inclusiva verso noi stessi, d’altronde in una visione psicologica, il senso della vita è dare senso alla vita stessa e non i prodotti e risultati perfetti che raggiunto, e l’unico modo per acquisire costantemente un senso emotivo e psichico di ciò che sto vivendo è attraverso il dialogo, l’accoglienza, la curiosità e la consapevolezza di ciò che sento, penso e desidero.

Dott. Dario Maggipinto

Riceve su appuntamento a Chieti

(+39) 334 9428501

dario.maggipinto@gmail.com

Per approfondire

Gilbert P.P., Petrocchi N. (2016) La terapia focalizzata sulla compassione, Franco Angeli Editore

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