Il bullismo. L’altra faccia della medaglia…con gli occhi del bullo.

“Bullo bastona la compagna di classe perché non va volontaria all’interrogazione”

“Suicida a 14 anni per bullismo sul web: indagati 8 minori”

“Disabile aggredito da un bullo sull’autobus”

Questi sono solo alcuni tra i numerosi titoli di cronaca che colorano le pagine dei nostri giornali. Quello del bullismo è un argomento ad oggi molto conosciuto grazie alla maggiore informazione o ai corsi di aggiornamento rivolti ad insegnanti e genitori, ma anche grazie ai progetti di sensibilizzazione rivolti ai ragazzi stessi. Ciononostante, il fenomeno non sembra essere debellato, anzi, gli episodi di bullismo sembrano moltiplicarsi in modo esponenziale, ormai al telegiornale non si parla d’altro, in alcuni programmi televisivi vengono invitati psicologi, psichiatri, sociologi, educatori e chi più ne ha più ne metta, nel tentativo di spiegare cosa scatti dentro la testa di questi giovani e quali siano le conseguenze di tali azioni sulle vittime. 

Lo sforzo per far fronte a questo fenomeno è enorme ma comunque sia sembra difficile, se non impossibile, da fronteggiare e da risolvere. Quando si parla del bullismo, la maggior parte delle volte si affronta il discorso dal punto di vista della vittima, oggi invece vorrei provare a guardare l’altra faccia della medaglia, osservando e analizzando il fenomeno con gli occhi del carnefice, cioè, del bullo. Lungi da me voler giustificare comportamenti violenti o aggressivi, il mio intento è ben altro, vale a dire provare a dare un po’ di speranza a quei bambini che sembrano come “risucchiati” in un vortice pericoloso, siano essi vittime o carnefici. 

Il bambino, con l’ingresso nella scuola, inizia a strutturare la propria identità misurandosi con il gruppo dei pari: così facendo ha la possibilità di identificarsi con gli altri, e di emanciparsi differenziandosi dagli adulti. Con il passare del tempo, il bambino sperimenterà ruoli diversi fino a che non riuscirà a costruirsi una propria identità e un proprio “status”, cioè un ruolo preciso all’interno del gruppo di appartenenza. La maggior parte dei bambini fa tutto questo nel rispetto delle regole, modulando i propri impulsi e promuovendo la condivisione e la collaborazione con adulti e coetanei; altri invece, riescono ad affermare se stessi solo prevalicando sull’altro e utilizzando la violenza, probabilmente poiché essa rappresenta l’unico modello a loro noto, pertanto l’unico da seguire e riproporre.

Con il termine “bullismo” si intende, infatti, il desiderio di fare del male in modo intenzionale ad un‘ altra persona e comprende comportamenti aggressivi, vessatori e intimidatori non collegati a episodi sporadici dovuti alla normale crescita del bambino. Altra caratteristica importante è l’asimmetria di potere tra il bullo e la vittima, indicata da evidenti differenze fisiche o psicologiche che servono per una definizione chiara e netta dei ruoli.

Il bullo è un bambino aggressivo, violento, impulsivo, non rispettoso delle regole, con enormi difficoltà a mettersi in sintonia e provare empatia per gli altri, probabilmente cresciuto in famiglie in cui la violenza viene accettata, non punita nè gestita come dovrebbe. E’ anche vero, però, che il bullo senza il gruppo può fare poco e niente, in quanto è proprio quest’ultimo che gli da la forza di mettere in atto prepotenze e aggressioni; infatti quando il bullo viene appoggiato e incitato dai componenti del suo gruppo, rinforzerà i propri comportamenti violenti, rendendoli così, “normali” e accettabili. Come già detto in precedenza, spesso nel bullo sono presenti problemi nella sfera emotiva: egli  non mostra empatia, nel senso che non riesce ad immedesimarsi nello stato d’animo altrui, o ancora, può avere difficoltà anche nel riconoscere le emozioni, a conferire loro un nome e ad attribuirvi un espressione del volto.

Potrebbe forse apparire un po’ paradossale che io parli di quali siano i rischi per il bullo, ma da psicologa, mi sento in dovere di guardare anche a questo. Non intervenire sul comportamento aggressivo e violento messo in atto può far si che, con il passare del tempo, quest’ultimo strutturi disturbi della condotta o altri disturbi di personalità difficili da riconoscere per le persone che si trovano a stretto contatto con il giovane ragazzo (scuola, famiglia, amici) perchè spesso scambiati e confusi per maleducazione, ignoranza, nervosismo o semplice impulsività. E’ quindi fondamentale riconoscere i primi segnali d’allarme  del bullo così da intervenire il prima possibile, sia per la salvaguardia della vittima che per la rieducazione del bullo, cui andrebbe affiancato un valido supporto  psicologico, prevenendo in tal modo ulteriori disturbi difficili da supportare e gestire. Tale percorso psicologico ha l’obiettivo di sciogliere quei nodi che intessono la tela in cui spesso questi bambini rimangono impigliati per lunghi, lunghissimi anni.

                                                                                       Dott.ssa Serena Bernabè

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(+39) 349 2734192

Per approfondire:

M.Sunderland e N. Armstrong ”Aiutare i bambini che fanno i bulli”, Erickson, 2005

bullismo

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