Legami Di Attaccamento
Oltre l’amore di un padre

Alla Ricerca della Felicità – Film (2006)

Il concetto di attaccamento è sinonimo di cure, sicurezza e amore.

È la relazione, a cui siamo spinti sin dalla nascita da tendenze biologiche ed innate, che istauriamo con una figura di accudimento primario, definita caregiver (“che dà cure”). Il ruolo preferenziale di caregiving nella relazione con il bambino è culturalmente e biologicamente affidato alla mamma, che segue il suo piccolo nella crescita e favorisce lo sviluppo di una personalità “sana” ponendosi come “base sicura” e rispondendo in maniera “sufficientemente buona”  ai suoi bisogni. La mamma è colei che dà cibo e amore ed è, banalmente oppure no, il primo punto di riferimento del bambino.

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Amore e odio. Bambino, oggetto e spinta alla riparazione

Pablo Picasso – La bambina con la colomba – 1901

Per il bambino, il primo oggetto indiscusso d’amore è rappresentato dalla madre, sulla quale si concentra la totalità dei sentimenti, con tutte le ambivalenze e il variopinto  ventaglio di sfumature che essi contemplano: ogni elemento è qui espresso su di lei alla massima potenza. Un fluido gioco di alternanze, fatto d’amore e d’odio, in quanto la madre può essere ora rispondente ai suoi bisogni, gratificandolo tempestivamente, e un momento dopo “assentarsi” nonostante le sue pressanti impellenze,  che in lei non  trovano quella soddisfazione tanto ricercata: è a quel punto che lo scenario psichico dell’infante cambia radicalmente, scandendo così pensieri aggressivi diretti proprio verso la madre.  Gli impulsi e i sentimenti sperimentati dal bambino  sono come affiancati da una attività proto-mentale, una sorta di pensiero immaginativo, in cui a  primeggiare è  l’ elaborazione fantastica:  nella mente del piccolo, il suo pensiero ha una traduzione diretta nel mondo esterno, cioè, “pensare” equivale letteralmente a “fare”; pertanto, i suoi pensieri o fantasie distruttive, hanno davvero  la capacità di distruggere l’oggetto, quello da lui  maggiormente investito e più amato.

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I Peter Pan di oggi
Volere e volare

Sembrava una mattina come tante altre. Sveglia presto, caffè di corsa, vestirsi, lavarsi, provare a dare un senso ai capelli, un filo di trucco…per poi immergersi nel traffico mattutino della Capitale ed affrontare la solita routine noiosa, ma rassicurante. Quella mattina di autunno, assorta nei miei pensieri, ferma ad un semaforo, mi accorsi di un particolare che mi colpì senza capirne sul momento il senso: il mio sguardo si soffermò su una semplice foglia secca, una foglia ormai rigida e color marroncino che rotolava per la strada trasportata dal vento. Inerme, la foglia fece molti metri davanti a me sull’asfalto, come cullata dal soffio del vento, mentre io ero lì, ferma, bloccata a guardarla e ad aspettare il mio turno verde per passare. 

Nei giorni seguenti mi ritornò in mente più volte quell’immagine ed il suono del vento; ad accompagnare i miei ricordi, una forte sensazione di freddo. Mi chiesi come mai mi avesse colpito quella situazione così ordinaria e banale, vista altre mille volte,  ed avesse reso quella mattina diversa dalle altre mattine. Capii che quell’evento era la metafora perfetta della mia vita: in quel particolare momento di vita mi sentivo insicura, non sapevo se voler essere vento o foglia, trasportare o essere trasportata dagli eventi, impormi o essere inerme, fare o non fare, crescere o non crescere.  

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Il bullismo. L’altra faccia della medaglia…con gli occhi del bullo.

“Bullo bastona la compagna di classe perché non va volontaria all’interrogazione”

“Suicida a 14 anni per bullismo sul web: indagati 8 minori”

“Disabile aggredito da un bullo sull’autobus”

Questi sono solo alcuni tra i numerosi titoli di cronaca che colorano le pagine dei nostri giornali. Quello del bullismo è un argomento ad oggi molto conosciuto grazie alla maggiore informazione o ai corsi di aggiornamento rivolti ad insegnanti e genitori, ma anche grazie ai progetti di sensibilizzazione rivolti ai ragazzi stessi. Ciononostante, il fenomeno non sembra essere debellato, anzi, gli episodi di bullismo sembrano moltiplicarsi in modo esponenziale, ormai al telegiornale non si parla d’altro, in alcuni programmi televisivi vengono invitati psicologi, psichiatri, sociologi, educatori e chi più ne ha più ne metta, nel tentativo di spiegare cosa scatti dentro la testa di questi giovani e quali siano le conseguenze di tali azioni sulle vittime. 

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Legame di attaccamento. L’importanza di legarsi

Ho pensato moltissimo cosa trattare in questo articolo, ho anche buttato giù qualche riga sul tema dell’ascolto, che poco dopo ho cancellato per fare spazio a uno dei ricordi a me più cari.

In passato ho lavorato in una casa-famiglia che ospita la diade mamma-bambino. Ho trascorso con loro molti anni, di conseguenza ho visto bambini nascere e crescere lì dentro, ho visto giovani ragazze, prima alle prese con il test di gravidanza, ritrovarsi poi ad essere mamme. Ho vissuto vicino a loro  tenendogli la mano per affrontare le paure, ma anche la gioia di aver messo al mondo un figlio. La struttura accoglie giovani donne abbandonate dal proprio compagno o che comunque non hanno un appoggio su cui poter contare; ogni gravidanza ha una propria storia, frutto di una violenza,  di un atto incosciente,  di un amore patologico o di una speranza che la coppia si era data per cercare di rimanere insieme. Bambini desiderati o non voluti, ma pur sempre bambini bisognosi di amore e di accudimento.

Vivere con loro la quotidianità è stata una delle esperienze più formative di tutta la mia carriera e, oltre ad arricchirmi professionalmente, mi ha dato la possibiltà di crescere come persona e di ragionare sul  complesso ruolo  dell’essere madre.

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Identità
Come si risponde alla domanda “Chi sei?”

Eccoti lì: seduto di fronte ad un uomo distinto che ti scruta da una sedia in apparenza molto più comoda della tua. È un esperto in selezione del personale, presumibilmente uno psicologo del lavoro, mentre tu sei al secondo colloquio in questo mese. Quel posto è fatto apposta per te, hai studiato e fatto pratica in quel settore, sei pronto a rispondere ad ogni domanda teorica e tecnica su quella specifica mansione. Hai appena ribadito il tuo nome e, ostentando sicurezza, ti stai accingendo ad esporre dettagliatamente la tua carriera, quando vieni interrotto dalla fatidica richiesta: “Come si descriverebbe in 3 aggettivi?”. Probabilmente l’ultima volta che hai risposto a questa domanda stavi compilando un test su Cioè. Sorridi ed accenni un balbettio (prima fase di imbarazzo). Provi a guardarti dentro, cerchi tutte le possibili risposte sincere da dare che non siano banali, ti armi di coraggio e cinguetti qualcosa (seconda fase di imbarazzo). Il selezionatore potrà a questo punto essere soddisfatto della tua risposta, ma a te sembrerà incompleta, superficiale, se non addirittura poco simile a te.

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L’oggetto transizionale. Linus non aveva tutti i torti

Sofia è una bambina molto amata, i suoi genitori sono sempre stati attenti alle sue cure e ai suoi bisogni.

Quando è nata, ma forse ancor prima di nascere,  amici e parenti  hanno riempito la sua cameretta con peluches di ogni genere, con la speranza che uno di questi potesse rappresentare per lei  la famosa “Copertina di Linus” da portare a scuola, a casa dei nonni o semplicemente in giro.

Sofia, tra tutti quei giochi e peluches si è particolarmente affezionata a un orsetto chiamato Minù: da quando si sveglia fino a quando va a dormire, Minù è sempre accanto a lei. Lo cerca quando vuole addormentarsi la sera, la mamma glielo mette vicino nei momenti di sconforto, quando viene rimproverata da qualcuno lo cerca e lo stringe forte a sé. Con il passare del tempo Minù sembra crescere con lei, non è più così morbido come prima, in realtà sembra “invecchiato”, pochi giorni fa ha perso anche un occhio, ma per Sofia non è cambiato niente, Minù rimane comunque il suo peluche preferito.

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AUTISMO. Il mondo degli Opossum

Era una giornata come le altre, arrivata a lavoro ho salutato Luca, lui ha salutato me toccandomi le mani  e abbiamo iniziato a lavorare.

Luca era più euforico del solito, saltava da una parte all’altra della stanza, ripeteva in continuazione il dialogo di un cartone animato, batteva a terra i suoi piedini e riusciva contemporaneamente con la mano destra a scrocchiare le dita e con quella sinistra a toccarsi i capelli.

I suoi occhi erano rivolti altrove, guardava tutto, ma non guardava niente. E  sicuramente non guardava me. 

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La Dislessia
Gli struzzi non mettono la testa sotto la sabbia

Qualche giorno fa ero dal medico poiché, in seguito all’influenza, desideravo farmi visitare. 

Mi trovavo in sala di attesa  e, mentre il mio animo ipocondriaco contemplava la possibilità di aver contratto il virus dell’Ebola ed immaginava tutte le possibili soluzioni per scampare alla morte, attaccò bottone una signora di circa 60 anni. Parlammo del più e del meno (ovviamente anche dell’Ebola e delle nostre preoccupazioni), era visibilmente molto stanca e affaticata nell’eloquio. Dopo essersi interrotta nella comunicazione varie volte ed aver fatto fatica a trovare le parole giuste da dirmi, affermò con distrazione:

“Mi scusi, oggi sono proprio dislessica non riesco a parlare”.

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