Abdullah Öcalan nasce nel 1948 ad Ömerli, un villaggio nell’ Anatolia Sud-Orientale.
Nel 1977, fonda il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), partito che lotta per l’autonomia del Kurdistan, per l’ecologia, per l’emancipazione della donna e contro il sistema patriarcale e capitalista.
Il fenomeno della violenza domestica, oltre a danneggiare la salute psico-fisica delle donne che ne sono colpite, coinvolge sempre, direttamente o indirettamente anche i i figli e le figlie testimoni dei maltrattamenti. Si tratta della violenza assistita, che è stata definita dal Cismai (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso dell’Infanzia) come “il fare esperienza da parte del/la bambino/a di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulti e minori”.
Questo articolo parlerà di “Eddi”. Vuole essere un modo per far conoscere a chi magari è fuori da un certo tipo di informazione, quello che sta passando.
Maria Edgarda Marcucci, a cavallo tra il 2017 ed il 2018 parte come volontaria per il Rojava, Kurdistan occidentale.
Nell’ultimo ventennio, sfruttando l’onda energica e positiva delle pratiche yoga, anche la meditazione ha assunto un ruolo importante nella società moderna occidentale. Inizialmente come parte di una seduta di yoga appunto, poi come disciplina autonoma.
La nascita della meditazione, in oriente, si può far risalire al II secolo avanti Cristo, nella regione del Punjab, tra le attuali India e Pakistan.
“Non c’è più spazio per il maestro. Non parlo solo dei grandi maestri, ma persino dei piccoli maestri, quello di scuola ad esempio.
Quando io andavo a scuola, quello che mi insegnava a leggere e a scrivere era un maestro, un personaggio che ha influenzato tutta la mia vita. Si è rotto il meccanismo che creava dei modelli. Oggi ognuno è il medico di se stesso, tutti hanno visto alla televisione qualcosa, o hanno sentito dire, tutti sono cuochi, sono architetti, tutti sono tutto e nessuno rispetta più niente.”
Molti già conosceranno il mito della Fenice. Volatile in grado di controllare il fuoco e di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte. I primi a raffigurare il mito della fenice sono stati gli egizi, poi, l’uccello dalla grande saggezza e dalle lacrime curative è entrato a far parte dei miti greci e di molte popolazioni orientali.
In particolare in Cina, il termine fenice viene tradotto come Feng Huang ed inizialmente stava a rappresentare non uno, ma due uccelli, uno maschio(feng) ed uno femmina(huang) ed insieme andavano ad ampliare la metafora dello Yin e dello Yang.
Feng huang e Yin e Yang, quindi, come dualità che armonizza ogni cosa.
Il mito della fenice spesso viene associato alla resilienza richiesta all’essere umano per fronteggiare un lutto o qualsiasi forma di trauma.
Jung nel suo libro “simboli della trasformazione” risalta la somiglianza tra il volatile e l’essere umano
“Questa emblematica creatura di fuoco, in grado di risorgere maestosamente dalle ceneri della sua stessa distruzione, simboleggia anche il potere della resilienza, l’ineguagliabile abilità di rinascere molto più forti, coraggiosi e luminosi.”
Quante volte in questi due mesi di lock down ci siamo ritrovati a leggere articoli o ad ascoltare opinionisti che, molto ottimisticamente, auspicavano una società migliore alla fine della chiusura forzata?
Una società dove il vicino sarebbe stato un alleato in questo destino comune e non un avversario sul quale prevalere.
E’ stato veramente così? Siamo tornati fuori dalle nostre case cambiati e pronti ad aprirci e ad accogliere gli altri?
“L’UNESCO definisce dal 1984 l’analfabetismo funzionale come «la condizione di una persona incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità»”.
Un tema molto dibattuto nel sociale negli ultimi mesi è sicuramente quello del “Dopo di noi”, ovvero quella porzione di vita che una persona con una disabilità deve affrontare senza il sostegno dei propri familiari, perchè deceduti o impossibilitati nel fornirlo. Con questo articolo cerchiamo di rendere un po’ più chiaro di cosa si tratta.
Durante il mio viaggio in Myanmar mi è capitato spesso di pensare alla felicità che traspare dai volti delle persone locali, nonostante apparentemente spesso vivano in condizioni di estrema povertà. Un giorno poi, parlando con la guida di un percorso di trekking a proposito dell’Agave, una pianta che cresce principalmente in centro america, ma che è molto presente anche in Myanmar, un ragazzo le suggerisce di utilizzarla per preparare la tequila e che sicuramente può trovare la ricetta in rete. La risposta della ragazza che ci stava accompagnando in quei due giorni è stata allo stesso tempo semplice e illuminante. “Perchè dovrei cercare la ricetta in rete? Perchè devo fare la tequila? Non mi serve!”
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