“Lights out” Abbiamo tutti paura del buio

Martin ha otto anni, vive con sua madre ed ha appena perso suo padre, deceduto prematuramente in circostanze misteriose. Anche la mamma è davvero strana in questo periodo. Passa ore da sola, al buio, parlando con qualcosa che Martin non vede, ma che lo spaventa al punto da non lasciarlo dormire. La sua sorellastra Rebecca sa bene di cosa si tratta, perché lei ha visto quella cosa che si nasconde nell’ombra, e che ha bisogno del buio per spostarsi e uccidere. Quella presenza è reale, anche se Rebecca negli anni si è sforzata di credere che si trattasse soltanto di un incubo infantile. Ma è stata proprio quella presenza ad uccidere il padre di Martin. Rebecca è l’unica che può aiutarlo ed è l’unica disposta a credergli.

“Lights out” è un film di David F. Sendberg del 2016, nelle sale in questi giorni. È stato prodotto da James Wan, regista di Saw, Insidious e The Conjuring. Lo sviluppo del film è deludente, ma lo spunto iniziale è di grande effetto, soprattutto perché il regista ha esplorato una paura che ci accomuna tutti, almeno durante l’infanzia: l’acluofobia, ovvero la paura del buio. Le varie fasi dello sviluppo del bambino sono caratterizzate da diverse paure, che possiamo definire fisiologiche.

Reazioni di ansia e di paura sono condizioni emotive molto diffuse sia nei bambini che negli adolescenti (King, Muris, & Ollendick, 2004). Sono esperienze comuni a tutti gli esseri umani, indipendentemente da fattori culturali e sociali. Normalmente hanno carattere transitorio, ma a volte possono tramutarsi in fobie specifiche, assumendo connotati patologici, andando a determinare un vero e proprio disturbo psicologico. Durante la crescita, esperienze reali, fantasia ed immaginazione possono assumere un ruolo progressivamente più rilevante nella genesi e nel mantenimento delle paure infantili, soprattutto a causa di una più complessa strutturazione del pensiero del bambino e quindi di una maggiore capacità di anticipare conseguenze future (F. Berto, P. Scalari, 1997).

È importante però ricordare che nel bambino alcuni modi irrazionali di pensare fanno parte del normale sviluppo cognitivo ed emotivo, inscrivendosi nel suo sviluppo psichico, per poi scomparire o rimanere sullo sfondo grazie all’acquisizione di capacità astrattive (J. De Ajuriaguerra, 1974). È comune, infatti, che un bambino abbia paura del buio, degli animali, dei mostri, dei fantasmi, delle streghe o di altre immagini frutto della sua fantasia, ma è anche altrettanto normale che, con il passare del tempo, queste svaniscano o si attenuino. Potremmo descrivere un percorso evolutivo all’interno del quale le differenti paure del bambino si presentano, seguendo una sequenza temporale piuttosto tipica. Prima di tutto si manifesta la paura degli stimoli sensoriali caratterizzati dall’essere imprevedibili e molto intensi; in seguito si presenta la paura dell’estraneo, tipicamente durante il primo semestre di vita del bambino, in virtù della quale il bambino manifesta paura di fronte a sconosciuti in assenza della figura materna. Quando il bambino ha raggiunto i 2 – 3 anni di età compaiono le paure degli animali, che si manifestano come paure notturne, in particolare durante l’attività onirica. Il piccolo è spaventato da grandi animali minacciosi, che spesso vengono individuate durante la veglia in animali come i cani. A 4 – 6 anni si sviluppano le paure di animali più piccoli, come insetti e uccelli. È in questa fase che generalmente compare la paura del buio o della notte. Tutte quelle finora elencate sono paure non patologiche, legate al percorso evolutivo del bambino e al suo sviluppo neurologico. Ma quando queste paure non scompaiono con il tempo e tendono a persistere, costringendo il bambino a strategie di evitamento e limitazioni della propria vita possiamo parlare di fobie semplici.   

“Le fobie semplici sono paure intense e persistenti relative ad oggetti e situazioni, eccessive e irragionevoli, attivate dall’esposizione o anticipazione dello stimolo fobico. Sono generalmente associate a comportamenti evitanti, che possono produrre una marcata compromissione funzionale, a sintomi somatici (palpitazione, rossore o pallore, dispnea, tensione muscolare) e a sintomi comportamentali (pianto e rabbia)” (Guidetti, 2007, pp. 208). Le fobie assumono caratteristiche diverse nel corso dello sviluppo in rapporto all’evoluzione delle caratteristiche neuropsicologiche e linguistiche e alle capacità di riconoscere stati emotivi soggettivi del bambino. Secondo il DSM-IV, le paure infantili si evolvono in specifiche fobie quando sono persistenti ed eccessive (criterio A), portano a un’inappropriata attivazione fisiologica (criterio B), causano afflizione o evasione (criterio D), e persistono per sei o più mesi (criterio F).

Da un punto di vista neurofisiologico, a livello del Sistema Nervoso l’amigdala riveste un ruolo centrale nella paura e in generale nelle emozioni, in quanto funge da vero mediatore delle stesse. L’input emotivo giunge al cervello per due strade: attraverso il circuito talamo – corteccia – amigdala oppure direttamente dal talamo all’amigdala. Nella prima strada l’input sensoriale raggiunge il talamo e l’informazione viene diffusa alla corteccia sensoriale fino ad arrivare alle aree associative dell’ippocampo e a porzioni del cervello anteriore, tra cui proprio l’amigdala. Dal cervello anteriore le vie che inviano le informazioni al resto del corpo attivano la risposta endocrina, motoria e autonoma, con effetti somatici variabili.L’amigdala attribuisce significato emotivo a input dal mondo esterno o provenienti dall’interno, come i pensieri e i ricordi. L’altro circuito è più diretto e riguarda connessioni monosinaptiche tra talamo e amigdala, che consentono una risposta immediata a stimoli, però, poco complessi. È un sistema che gli esseri umani hanno in comune con gli animali che non hanno sviluppato la neocorteccia, e che viene utilizzato dai bambini piccoli i quali non presentano ancora una maturazione completa. Per differenti ragioni può capitare, tuttavia, che l’acluofobia perduri o si presenti per la prima volta in età adulta, in persone che sono convinte della natura irreale e irrazionale della loro paura, ma non sono in grado di restare al buio in una stanza senza essere invasi da un profondo senso di angoscia e terrore. Per acluofobia non si intende solo la paura, letteralmente dal greco aclus, ovvero oscurità, ma di ciò che di pericoloso al suo interno potrebbe nascondersi. I fenomeni fisiologici che si accompagnano a questo stato di terrore sono quelli tipici degli stati di ansia acuta, come la tachicardia, la sudorazione, la dispnea e la sensazione di essere in estremo pericolo accompagnata da pensieri incontrollabili e angoscianti. Una condotta di evitamento dello stimolo fobico è tipica nei soggetti affetti da questa fobia, e come per le altre fanno di tutto per evitarne o ritardarne l’esposizione. La presenza di acluofobia in un minore, che non scompare nel corso dello sviluppo, o una sua manifestazione in età adulta possono sottolineare brusche interruzioni evolutive dovute a traumi o forti stress esistenziali e sociali.

Ognuno di noi ha sperimentato questa paura almeno in una fase della propria vita. Il merito del film “Lights out” è quello di essere in grado di farci tornare indietro nel tempo e tremare di nuovo di fronte ad una porta socchiusa, che nasconde nella penombra qualcosa di terribile e minaccioso. Avrete il coraggio di spegnere le luci?

Dott.ssa Valeria Colasanti

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colasantivaleria@gmail.com

Per approfondire:

– Giulio Nicolò Meldolesi; Massimo Biondi, Panico, ossessioni e fobie: psicobiologia dell’ansia. Dalle origini del comportamento ai rapporti familiari. FrancoAngeli, Prima ed. 2011;

– Francesco Aquilar, Emanuele Del Castello, Psicoterapia delle fobie e del panico. Comportamento, convinzioni, attaccamento, relazioni intime, livelli di coscienza, FrancoAngeli, ed. 2000;

– Bear MF,Connors BW,Paradiso MA, Neuroscienze, esplorando il cervello. ed. Edra LSWR, ed. 2007

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