Mese: Maggio 2015

L’abuso sessuale nel mondo dei minori. L’abisso dell’abuso

Ma la notizia si fa forse ancora più perturbante quando questi eventi riguardano ragazze e ragazzi, minori che possono rivestire sia il ruolo di vittima che di carnefice. E il vero problema è quando si verifica quest’ultima eventualità. L’abuso perpetrato dall’adulto a danno di un minore ci fa inorridire e sappiamo bene quale nome dargli: pedofilia. Nel caso invece che l’abuso di un minore sia messo in atto da un altro minore la situazione diventa più complicata. Le sensazioni di disgusto e rabbia rimangono, ma non sempre riusciamo, come nel caso del carnefice adulto, a dare un nome agli eventi, a capire bene di cosa si tratta. C’è il ragazzo quindicenne che ad una festa in discoteca dopo aver bevuto troppo abusa sessualmente di un ragazza non consenziente. C’è anche quello che poi chiama gli amici, anche loro ubriachi, e gli chiede di partecipare.

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Anoressia. Tra narcisismo e conflitti interiori

Maria è una ragazza di 16 anni, frequenta un prestigioso liceo, i voti sono alti, pretende molto da se stessa, in realtà non le piace studiare, ma il possibile fallimento le procura un’ansia incontrollabile che la spinge a fare sempre di più. Quando finisce la scuola viene accompagnata, spesso, dalla madre a fare danza classica, apparentemente molto amata da Maria, ma in realtà con delle regole così “rigide” per la sua mentalità, che è costretta a vivere una vita che non gli appartiene fino in fondo. Ed è proprio nella palestra dove pratica danza, che Maria trascorre la maggior parte del suo tempo: si allena con costanza quasi ogni giorno, è uno sport affascinante, ma la costringe ad un alimentazione povera, molti cibi non sono permessi e il controllo della fame è fondamentale per mantenere la forma. Non ha molti amici, al di fuori di una o due compagne di classe che conosce da parecchi anni, non frequenta praticamente nessuno: ogni relazione apparentemente amicale si trasforma in competizione, ha enormi difficoltà nel fidarsi sia degli adulti che dei coetanei. 

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Lo sviluppo della Mentalizzazione. Comprendere la Mente

Nighthawks – Edward Hopper

Molto spesso mi è capitato di vedere questa scena: una mamma che chiacchiera con le amiche, mentre il bimbo corre e gioca. Ad un certo punto però il bambino inciampa e cade per terra. In realtà non si è fatto nulla, ma la sua prima reazione è quella di voltarsi e guardare la mamma, la quale prontamente corre verso di lui per assicurarsi che tutto va bene. Solo allora quando gli occhi dei due si incontrano, e il bambino scorge la preoccupazione negli occhi della mamma, scoppia in lacrime. Quasi come se tra di loro fosse avvenuta una conversazione in pochi istanti che nessun altro ha potuto ascoltare, dove il bambino le ha chiesto:” Mamma mi devo preoccupare?” e la risposta implicita è stata “Sì”. Nessuno di noi nasce già con la capacità di regolare le proprie emozioni: questa abilità evolve gradualmente attraverso la comprensione e le risposte del caregiver ai segnali di cambiamento dello stato del neonato. La capacità della madre di pensare alla mente del proprio figlio mind-mindeness sembra associata allo sviluppo di una buona mentalizzazione del bambino.

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Amore e odio. Bambino, oggetto e spinta alla riparazione

Pablo Picasso – La bambina con la colomba – 1901

Per il bambino, il primo oggetto indiscusso d’amore è rappresentato dalla madre, sulla quale si concentra la totalità dei sentimenti, con tutte le ambivalenze e il variopinto  ventaglio di sfumature che essi contemplano: ogni elemento è qui espresso su di lei alla massima potenza. Un fluido gioco di alternanze, fatto d’amore e d’odio, in quanto la madre può essere ora rispondente ai suoi bisogni, gratificandolo tempestivamente, e un momento dopo “assentarsi” nonostante le sue pressanti impellenze,  che in lei non  trovano quella soddisfazione tanto ricercata: è a quel punto che lo scenario psichico dell’infante cambia radicalmente, scandendo così pensieri aggressivi diretti proprio verso la madre.  Gli impulsi e i sentimenti sperimentati dal bambino  sono come affiancati da una attività proto-mentale, una sorta di pensiero immaginativo, in cui a  primeggiare è  l’ elaborazione fantastica:  nella mente del piccolo, il suo pensiero ha una traduzione diretta nel mondo esterno, cioè, “pensare” equivale letteralmente a “fare”; pertanto, i suoi pensieri o fantasie distruttive, hanno davvero  la capacità di distruggere l’oggetto, quello da lui  maggiormente investito e più amato.

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Psicopatologia della società moderna. Figli del materialismo

Concretismo, materialismo e razionalizzazione.

Le tre parole che caratterizzano la nostra società occidentale, che non è altro che l’evoluzione incontrollata del pensiero illuminista del passato.

Viviamo in nome della scienza, dunque di causa ed effetto, del visibile. Tutto ciò che non è visibile all’occhio umano non è più contemplato come reale, vero: Scientifico.

È il più profondo terrore della maggior parte degli psicologi, sentirsi dire che la loro tecnica non è supportata da basi scientifiche. Ed ecco dunque che quest’ultimi divengono il fanalino di coda di psichiatri e neurologi, tentando invano di essere riconosciuti come medici e non cartomanti: “Vedete, la depressione esiste, c’è uno scompenso della melatonina!”.

Se da un lato cercare risposte scientifiche ad un metodo psicologico o psicoterapeutico può fornire ai lavoratori della psiche uno strumento in più per tutelarsi dai miscredenti, dall’altro l’utilizzo di internet e di notizie scritte a metà, estrapolando unicamente i contenuti più convenienti, porta la società a convincersi che se la depressione è uno scompenso della melatonina, dunque conviene curarla unicamente con farmaci. 

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Il dismorfismo corporeo. Il peso di uno sguardo

“Se rendo più scure le mie ciglia e gli occhi più lucenti e le labbra più rosse o se chiedo, di specchio in specchio, se tutto va bene, non è per sfoggio di vanità: io cerco il volto che avevo prima che il mondo fosse creato”. W. B. Yeats, 1875 

Ho scelto questi intensi versi di Yeats a introduzione del mio articolo perchè a mio avviso capaci  di cogliere perfettamente il senso di ciò che oggi proverò a raccontarvi. Di quella sensazione primordiale che ciascuno di noi ha sperimentato su di se una volta venuto alla luce. Prima che il mondo fosse creato, appunto. Inizialmente, il bambino possiede un volto e un corpo che si collocano in un certo senso lontano dall’altro. L’infante detiene il tacito convincimento che tutto ciò che possiede e che lo circonda sia semplicemente il frutto di una sua magica creazione. Sposando una visione evidentemente onnipotente delle cose, il volto del suo Io è qui incontaminato. Basta a se stesso. Tuttavia, sentirà ben presto di doversi affidare proprio all’alterità e a quegli occhi riflettenti, così da avere una chiara conferma della propria corporeità ( per un approfondimento si rimanda all’articolo “Funzione Riflessiva e sviluppo del sè-l’importanza di un banale riflesso” nella rivista di Dicembre 2014 ). Quante volte accade che il bambino, intento com’è nel maneggiare e scoprire per la prima volta il nuovo gioco appena ricevuto in dono dai nonni, esclami insistente ed entusiastico: “Mammaaa… guardamiii !”. 

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La dipendenza
Vuoti di vita da colmare

Quando parliamo o sentiamo parlare di dipendenze facciamo spesso i conti con sentimenti di preoccupazione, paura, rabbia… Ci spaventa e ci fa arrabbiare l’idea di perdere il controllo su noi stessi, cadere e superare una fantomatica linea di confine fra il nostro  volere e il subire. A volte ci preoccupa anche solo sapere di non essere indipendenti e dipendere da cose, eventi o persone esterne al nostro mondo interiore.

Guardiamo alle grandi e invalidanti dipendenze (da sostanze, ad esempio) con paura anche quando sono lontane da noi poiché ne conosciamo i meccanismi che quotidianamente sperimentiamo: ogni giorno viviamo piccole forme di dipendenza, comuni e pressoché salutari. Ancor prima della nostra nascita e per molti anni di vita, infatti, sperimentiamo la dipendenza dalle cure e dalle attenzioni di nostra madre. Arriva un giorno in cui crediamo di aver ottenuto un buon grado di indipendenza da lei, molto spesso nella fase di ribellione e separazione adolescenziale, quando impariamo a gestire nel bene e nel male i nostri piccoli impegni e doveri. 

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La schizofrenia e i disturbi psicotici. Il posto degli psicologi

Francis Bacon -Autoritratto

Si sente spesso parlare di Schizofrenia e di Psicosi e spesso si sente dire che si tratta di patologie che possono essere affrontate solo dagli psichiatri. Sarà vero? Uno psicologo potrebbe rispondere di no, ma solamente per allargare il campo del proprio interesse, della propria azione, delle proprie possibilità lavorative. Oppure potrebbe rispondere in base alla propria esperienza, in maniera sincera ed onesta, evidenziando cosa può offrire col proprio l’intervento, ma senza tacerne limiti e criticità.

Tra le psicosi rientrano senza dubbio i disturbi mentali più gravi che compromettono maggiormente la vita dell’individuo. Basti osservare i sintomi riportati dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali per avere un’idea. Quelli caratteristici della Schizofrenia sono:

– deliri;

– allucinazioni;

– eloquio disorganizzato;

– comportamento grossolanamente disorganizzato o catatonico;

– sintomi negativi (ovvero appiattimento affettivo, alogia, abulia).

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