Lo psicologo a scuola. Una risorsa fondamentale per un intervento tempestivo in adolescenza

Cosa succede quando in una scuola arriva uno psicologo?

Come viene accolto? O forse prima bisogna chiedersi…viene accolto? La sua presenza sarà considerata come un possibile valore aggiunto? Oppure come un corpo estraneo infiltrato nel sistema scolastico da tenere a bada?

Non è più così raro che gli studenti, all’interno dell’ambiente scolastico, possano fare una “chiacchierata” con uno psicologo oppure che, invece di fare lezione, partecipino ad un incontro con degli specialisti per parlare delle problematiche tipiche della loro età.

Queste attività vengono organizzate e promosse dai C.I.C., Centri di Informazione e Consulenza, che all’interno delle scuole si occupano di promuovere il benessere psicologico dei ragazzi. Ma come?

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Nella stanza d’analisi. La svolta di un agito

Beatrice si presenta per il primo colloquio con diversi minuti d’anticipo. Bussa tutt’a un tratto ed io sono come presa di soprassalto, faccio per alzarmi, così da accoglierla sulla porta, ma non ne ho il tempo. La paziente è già entrata. Sono un po’ spiazzata, ma chiaramente mi accingo a darle la mano e a presentarmi prima di chiudere la porta alla mie spalle: lei si è già accomodata sulla sedia senza neppure ricambiare il mio tentativo di saluto. Il tutto senza avermi mai guardata negli occhi. Mi scruta da dietro i suoi grandi occhiali scuri, Beatrice, quegli occhiali che terrà per l’intera durata del primo colloquio e che immediatamente richiamano alla mia memoria quelli della Mondaini, ma i suoi sono solo timidi e frammentari accenni di uno sguardo che stenta a concedermi. La paziente è rigida, come avvolta dentro ad un guscio protettivo, addosso avverto tutta quella sua chiusura mista ad un senso di vergogna che ancora non so “dove” collocare.

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Le libere associazioni. Immagini e pensieri senza controllo

Ogni individuo è inseparabile, occupa materialmente un certo spazio, è riconoscibile per certe caratteristiche esclusivamente sue, ossia è uno e unico! Sappiamo e ci percepiamo come un tutt’uno, ma riflettendoci un attimo, è così semplice pensare ad un’immagine unitaria di noi stessi? Ad esempio, siamo in grado di distinguere il nostro corpo dalla nostra mente, ma per quanto riguarda quest’ultima, non siamo in grado di farci un idea coerente. Persino di noi stessi come protagonisti della nostra storia, non riusciamo a darci una costruzione sufficientemente unitaria, perché mancano dei pezzi: l’amnesia infantile, ad esempio, ma anche tutte le amnesie seguenti. Utilizziamo i nostri strumenti psichici, ma non sappiamo sempre darci la spiegazione di come funzionino. Tutto ciò per dire che ognuno di noi necessita di concepirsi come un tutt’uno perché altrimenti si troverebbe in una situazione di grave smarrimento.

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La schizofrenia e i disturbi psicotici. Il posto degli psicologi

Francis Bacon -Autoritratto

Si sente spesso parlare di Schizofrenia e di Psicosi e spesso si sente dire che si tratta di patologie che possono essere affrontate solo dagli psichiatri. Sarà vero? Uno psicologo potrebbe rispondere di no, ma solamente per allargare il campo del proprio interesse, della propria azione, delle proprie possibilità lavorative. Oppure potrebbe rispondere in base alla propria esperienza, in maniera sincera ed onesta, evidenziando cosa può offrire col proprio l’intervento, ma senza tacerne limiti e criticità.

Tra le psicosi rientrano senza dubbio i disturbi mentali più gravi che compromettono maggiormente la vita dell’individuo. Basti osservare i sintomi riportati dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali per avere un’idea. Quelli caratteristici della Schizofrenia sono:

– deliri;

– allucinazioni;

– eloquio disorganizzato;

– comportamento grossolanamente disorganizzato o catatonico;

– sintomi negativi (ovvero appiattimento affettivo, alogia, abulia).

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L’insight. Di come il caos diventa ordine

Escher – Rettili

Tutti abbiamo una questione da risolvere. Dal come incastrare la spesa al supermercato nella successione degli impegni giornalieri, al come rappresentare sulla tela ciò che sentiamo dentro; dal come far entrare tutte le nostre cose dentro al bagaglio a mano, al comprendere se la persona che abbiamo al nostro fianco è quella “giusta”; dal decidere come vestirsi domani a quel colloquio di lavoro, al se e quale università scegliere dopo le scuole superiori; dallo scegliere il film da vedere al cinema, al quale nome dare a nostra figlia.

Tutti abbiamo una questione da risolvere. Una questione che può spaziare dall’ordinaria quotidianità fino ai massimi sistemi. Ma ognuno di noi, in questo momento, ha nella mente quella questione che gli preme risolvere, e che richiama a sé tutte le sue energie psichiche, distraendolo dal resto. Ma come affrontiamo questa questione? Quale è  la nostra modalità di problem solving? Anche nell’articolo “Lascia o raddoppia” nella rivista dello scorso mese è stato affrontato questo tema. 

caos, insight

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Lascia o raddoppia. Come affrontare un problema?

Gediminas Pranckevi – Autum

“Ho la febbre…mi bombardo di tachipirina…domani non posso assolutamente saltare quell’appuntamento”. Quante volte vi è capitato di pronunciare questa frase? Quante volte avete guardato con terrore il termometro e pensato immediatamente agli impegni che proprio non avreste potuto rimandare? Senza dubbio ognuno ha i suoi ottimi motivi per sperare di non dover rimandare determinati impegni. Per sperare di non dover passare due giorni a casa sotto le coperte piuttosto che in ufficio a sbrigare quella pratica importantissima e più che urgente, la cui scadenza risuona ormai come l’ultimo rintocco della mezzanotte fatale per Cenerentola. Speriamo di non essere costretti a perdere tempo, per non dover poi correre più veloci degli orologi che minacciosi segnano il passare delle ore.

Per questo chiediamo l’aiuto di infallibili compagni di mille lotte. Farmaci, pasticche e pasticchette ci rimettono in sesto…forse…non sempre. “Si abbassa la febbre e vado in ufficio”. Passa il sintomo e, anche se non nel pieno delle nostre forze, possiamo andare avanti. Senza fermarci.

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Egosintonia ed Egodistonia. Di musica e psiche

Capita a volte di ascoltare un amico pianista suonare e di lasciarci trasportare dall’armonia dei suoni, sognanti ed un po’ “persi” nei nostri pensieri. Capita di sintonizzarci a tal punto su quell’armonia, da provare una vera sensazione di fastidio quando il panciuto gatto del nostro amico, attratto anche lui da quei suoni e da quelle frequenze, decide di salire sulla tastiera, nel tentativo di emulare gli amici del celebre cartone Disney e sperimentarsi pianista, rompendo quel clima magico che la sensibilità e l’abilità artistiche del nostro amico avevano creato.

Ho preso in prestito la metafora dal mondo musicale, a me molto caro, per poter creare nel lettore quelle sensazioni sinestesiche, di piacere prima, e di fastidio poi, legate all’armonia ed alla disarmonia dei suoni.

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Scegliere di andare dallo psicologo. Siamo tutti pazzi!

Alzi la mano chi almeno una volta nella vita non ha sentito il luogo comune che dallo psicologo ci vanno i pazzi! Sarei curioso di chiedere a coloro che la pensano così come si immaginano chi pratica questo “strano” mestiere. Forse se lo raffigurano come una Chimera dalle mille forme, un po’ indovino, un po’ cartomante…o forse come un essere che scava nel nostro cervello, strappandoci pensieri o ricordi che volevamo rimanessero nascosti? Per noi è facile, al giorno d’oggi dire che non è così, ma proviamo ad immaginare cosa penserebbe la generazione dei nostri nonni e in parte anche quella dei nostri genitori.

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