Autore: Emanuela Sonsini

Claustrofilia e musica. Chiudersi per venire alla luce

Mi fermo e osservo la buca che ho fatto. Mi calo all’interno portando la pala con me, e mi rendo conto della profondità: arriva alla vita. Mi tolgo la camicia ricomincio a scavare da dentro. […] Posso muovermi quanto basta all’interno della buca, riesco a girare su me stesso e, poggiando la schiena su una delle pareti, se allungo le braccia, riesco a toccare la parte di fronte. Lancio la pala fuori e resto nella buca fermo, in attesa. L’attesa. […] Aspettiamo di capire cosa stiamo aspettando. Attendo.

“La buca”, un breve racconto in cui il protagonista intraprende un viaggio, quasi come una fuga, che lo allontana dalla vita quotidiana e caotica nella quale le persone vivono al passo con i tempi frenetici cittadini. Allontanandosi dalla città  arriva in questo posto dove splende il sole e dove non ci sono ombre.

Questo passo che mi ha suscitato diversi pensieri e che apre a molteplici interpretazioni su vari livelli, offre anche un’immagine molto forte, l’immagine di un uomo che scava una buca nella terra per rimanere lì. Uno dei pensieri più immediati che ci stimola è quello di un uomo che sta scavando la propria tomba. In realtà il protagonista descrive la buca come un posto confortevole dove poter stare. Allora uno dei significati simbolici che emerge dalla scena descritta può essere collegato alla situazione in cui molte persone costruiscono un luogo circoscritto e limitato dove vivere e crescere, mettendo a frutto le proprie caratteristiche. Quel luogo che in apparenza le persone identificano come volutamente costruito e realizzato in base alle proprie caratteristiche e alle proprie necessità, in realtà è un ambiente imposto dal contesto in cui si vive.

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Rebeca in Cent’anni di solitudine. Il non detto dei fantasmi

Ed ecco che arriva Rebeca, un’undicenne portata in paese da commercianti di pellame per conto d’ignoti mandanti, con il compito di affidarla a José Arcadio Buendìa. La bambina ha con sé solamente una sedia a dondolo, una lettera e le ossa dei genitori chiuse in un sacco. Nella lettera è scritto che Rebeca è una cugina di Ursula (moglie di Arcadio) di secondo grado, figlia di Nicanor Ulloa e Rebeca Montel, sebbene nessuno dei due Buendìa ricordi qualcuno con quel nome; gli si richiede inoltre la sepoltura delle ossa che però è sempre rimandata mancando in paese un cimitero (non essendo fin lì morto nessuno)… Le ossa chiuse nel sacco, però, durante tutta la storia, piena di accadimenti, non trovano posto, e continuano a far sentire il loro cloc-cloc.

La bambina inoltre, porta con sé il contagio della malattia dell’insonnia. Oltre a impedire di dormire, il morbo provoca una progressiva e grave perdita di memoria, le persone restano sempre in piena energia, ma a poco a poco perdono memoria ed identità.

Un giorno arriva in paese Melquìades che con una pozione debella l’insonnia. L’uomo “era stato nella morte, effettivamente, ma era tornato perché non aveva potuto sopportare la solitudine”.

Anni dopo. Queste le parole di Pilar Ternera, una indovina, cartomante, alla quale Rebeca si rivolge: “Non sarai mai felice finché i tuoi genitori resteranno insepolti”.

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Il mutismo selettivo. Quando parla il silenzio

Il Mutismo Selettivo è un disturbo poco conosciuto perché poco riscontrato, ne sono affetti 7 bambini su 1000, che colpisce prevalentemente i bambini senza distinzioni relative al sesso e all’etnia e che è caratterizzato dalla persistente incapacità di parlare in situazioni sociali specifiche, come ad esempio a scuola, quando ci si aspetta che si parli, mentre in altre situazioni parlare risulta possibile. Nei contesti in cui questi bambini si sentono a proprio agio riescono ad esprimersi normalmente e per questo spesso la loro difficoltà nel parlare viene scambiata per timidezza.

Nel mutismo selettivo lo sviluppo e la comprensione del linguaggio sono nella norma e non sono presenti disfunzioni organiche, disturbi della comunicazione (come la balbuzie) o disturbi mentali (come autismo, schizofrenia, ritardo mentale). Il disagio si può manifestare anche nella difficoltà che i bambini muto selettivi hanno nel mantenere il contatto visivo, nella loro rigidità fisica e nell’inespressività del volto. I bambini affetti da questo disturbo possono comunicare attraverso gesti, annuendo o scuotendo il capo in segno di diniego.

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Psicologia in Musica. In bianco e nero di Carmen Consoli

“In bianco e nero” è un brano scritto da Carmen Consoli e portato al Festival di Sanremo del 2000 dalla stessa cantautrice catanese inserito nell’album “Stato di necessità”.

Carmen Consoli con la sua voce straordinaria dà vita a testi pregni di messaggi che desidera trasmettere al pubblico.

Ascoltando questa bellissima canzone chiudo gli occhi ed immagino una giovane donna che guarda con malinconia le foto di sua madre, ormai defunta, e che intraprende un bellissimo monologo introspettivo rimpiangendo il fatto di non aver condiviso con lei le sue perplessità rispetto al loro rapporto conflittuale. Il titolo “in bianco e nero” rimanda ai colori di un’antica foto della madre ancora infante, ma trasporta inesorabilmente la mia mente verso il concetto di contrasto, di conflitto e assenza di gradazioni e sfumature, proprio come il rapporto istaurato tra le due donne, ma al tempo stesso è “sbiadito” come se quella ostilità e quella rabbia si siano affievolite con la scomparsa della madre, dando spazio a sentimenti di rimpianto.

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Le fiabe in psicoanalisi, I musicanti di Brema

I fratelli Grimm, tramite questa interessante fiaba aprono la possibilità di riflettere su vari temi che a mio avviso oggi sono modernissimi: a partire dal cercare di essere sé stessi, alla possibilità di realizzare i propri sogni e al coraggio di cambiare. (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo La funzione psicologica della fiaba – Il regno del proprio inconscio).

Il racconto vede come protagonisti un asino, un cane, un gatto e un gallo. L’asino ormai vecchio, capì le cattive intenzioni del suo padrone, che voleva macellarlo, e così pensò di scappare e di cominciare a fare il musicante. Sulla strada incontrò prima il cane, poi il gatto e infine il gallo, tutti nelle stesse condizioni. I quattro giunsero a sera nel bosco e lì videro una piccola casa dove c’erano dei briganti. L’asino dalla finestra vide la tavola imbandita.

Avevano fame e dunque architettarono un piano: l’asino poggiò le sue zampe anteriori sul davanzale, il cane salì su di lui, il gatto si arrampicò sul cane e il gatto si posò sulla testa del gatto. Al segnale ognuno di loro fece il proprio verso e spaventarono i briganti che scapparono subito nel bosco. I quattro entrarono in casa e si rifocillarono, spensero la luce e si coricarono. Al ritorno di uno dei briganti, il gatto lo graffiò, il cane lo azzannò, l’asino gli tirò un calcio e il gallo fece forte il suo verso. Il brigante fuggì e disse al suo compagno che la casa era infestata dai fantasmi. Così quella casa diventò la felice dimora dei musicanti di Brema.

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Immaginare per curare

Quando la musica incontra le immagini

È noto che in ambito della salute mentale sono molte le tecniche che usano l’immaginario per portare avanti un lavoro psicologico. Tale modalità è rintracciabile in tantissimi riti religiosi, ma anche medico terapeutici. Uno di questi è ciò che riguarda la medicina greca praticata nell’asklepion, il templio ospedale dedicato al dio della medicina Asklépios. Il trattamento che veniva effettuato era quello dell’incubazione, ovvero i pazienti venivano condotti in ambienti bui e silenziosi nei quali sperimentavano uno stato oniroide indotto da formule rituali recitate, musiche ritmiche e profumi di incenso ed erbe varie. Il più famoso di questi templi ospedale, fu l’asklepion di Epidauro, che presenta una pianta labirintica circolare seminterrata. 

Questo particolare percorso che va verso il centro rimanda al valore di introversione dei percorsi immaginativi. Tali trattamenti, vengono visti da molti ipnotisti moderni, come delle esperienze di “sonno artificiale”, di ipnosi e simili alla tecnica di rilassamento immaginativa di M. Sapir.

Tramite queste tecniche è possibile accedere ad una dimensione onirica dell’esperienza in cui le immagini subiscono delle trasformazioni e delle evoluzioni che hanno un contenuto simbolico.

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Il lutto. Perdere se stessi con l’altro

Benché sappiamo che dopo una […] perdita cesserà lo stato acuto del lutto, sappiamo anche che resteremo inconsolabili e che non potremo trovare un sostituto. Qualsiasi cosa possa colmare il vuoto, ammesso che possa essere del tutto colmato, resterà comunque qualcosa di diverso. Ed è ciò che deve effettivamente accadere. È il solo modo per perpetuare quell’amore a cui non vogliamo rinunziare”.

Sigmund Freud, Lettera di condoglianze a Binswanger, 1929

“… sai la vita continua…”  Questo è il messaggio di una madre a sua figlia inciso, qualche anno dopo la sua morte, su quella chiara lastra di marmo…Quando la morte ci porta via una persona che amiamo, questo provoca in noi uno stato di inesorabile sofferenza che ci confina in uno stato depressivo e che ci mette a contatto con quell’incolmabile dolore determinato dal grande vuoto che tale perdita ha lasciato.
Durante il lutto noi tutti siamo in un qualche modo impegnati a proteggere la memoria del defunto e a congelare quel momento precedente la morte come per confermare dentro di noi che ciò non sia mai accaduto. Si vive così una sorta di dedizione al lutto che difficilmente lascia spazio ad altri interessi ed attività. La persona che non c’è più lascia inevitabilmente un vuoto, che difficilmente potremo colmare e che se anche dovessimo riuscirvi, come diceva Freud “resterà comunque qualcosa di diverso”.

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Psicologia di Babbo Natale
La magia della fiaba natalizia

Ci siamo quasi… Babbo Natale sta per arrivare! Nelle scuole, tra i bambini si respira fortemente questa magica atmosfera, sono tutti in trepidante attesa e qualcuno l’ha già incontrato per le strade…

Una bambina, contentissima mi ha detto “maestra, maestra!! Lo sai che io ne ho visti due! Anche l’elfo!!!” … e in un altro momento altri due parlavano tra loro e discutevano su come inviare la letterina a Babbo Natale: una raccontava di averla già spedita in una cassetta della posta propria di Babbo Natale, l’atro sosteneva che non bisognava spedirla e che non ce n’era bisogno. E così mi hanno interpellata, chiedendomi come bisognava fare e chi dei due avesse ragione… voi che avreste risposto?

I bambini vivono intensamente l’attesa; sanno che presto arriverà, con il suo vestito rosso e il suo gran pancione scenderà dalla canna fumaria del camino e lascerà i doni che i bambini hanno tanto desiderato.

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La vergogna
Quando arrossire ci mostra agli altri

In moti proviamo vergogna, probabilmente ognuno di noi l’ha provata almeno una volta nella vita, ma credo anche di più. Diverse situazioni, dal parlare in pubblico, fare un reclamo, affrontare un esame, al chiedere un’indicazione, possono condurci ad uno stato di preoccupazione riguardante l’impressione che gli altri hanno di noi e iniziamo ad aver paura di essere criticati, di apparire ridicoli, non adatti alla situazione, goffi e così il nostro comportamento viene alterato ed incappiamo in “errori stupidi” che non avremmo mai fatto, peggiorando a volte la situazione. Sono tutte situazioni in cui siamo esposti all’altro, che ci “vede” in un determinato modo e che forse non collima con la percezione che abbiamo di noi stessi (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “L’insicurezza patologica – Ciò che non amo di me“).

Dal punto di vista fenomenologico la vergogna viene spesso paragonata ad una sensazione improvvisa di disagio e di nudità, ci si sente come se si fosse completamente a nudo, scoperti davanti all’altro. Ciò porta l’individuo che prova vergogna a desiderare di scomparire all’istante, di diventare invisibile; la sensazione è quella di essere bloccati, pietrificati.

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