Anoressia virale
Il dca nei per te

Ogni società, in quanto insieme di individui pensanti, in azione e in relazione,crea i suoi disturbi. 

La nostra è la società in cui il voyeurismo viene nutrito con caviale e champagne, in cui tutti facciamo a gara a chi riesce ad essere più vistæ, dove pur di soddisfare la fame di sguardi siamo disposti a ridefinire la parola “impossibile”. 

In principio era la narrazione sul disturbo mentale; normalizzare il parlarne per sradicare la credenza per cui dallæ psicoterapeuta “ci vanno solo i pazzi”. 

Una volta apparentemente raggiunto l’obiettivo si è passati ad altro. 

La narrazione del disturbo da parte di chi lo vive. in linguaggio social, la formula magica per attirare orde di visualizzazioni, folle di followers adoranti.

È successo quello che pochi potevano prevedere, che la maggior parte non potevano neanche immaginare. 

“SE DIVENTO COSÌ, SE VIVO LA MALATTIA E LA MOSTRO, GUARDERANNO ANCHE ME. RENDERANNO CELEBRE ANCHE ME”

Ma la mente non si può mostrare e le parole sono arbitrarie. 

L’unica cosa a cui la gente crede è ciò che può vedere. Non lo sentiamo dire continuamente: 

“gli altri riconoscono la malattia solo quando possono vederla. Le loro emozioni si muovono solo quando il “mostro” è visibile ai loro occhi”?

L’anoressia, la più “gettonata” tra i disturbi mentali. 

È visibile, è deteriorante, è incomprensibile, muove emozioni, attiva le viscere. 

Quello che i social ci propongono costantemente sono video di persone ricoverate in reparti psichiatrici o istituti per il recupero di Dca che condividono i loro pensieri, la loro storia, come tutto è cominciato. 

Attirano. Like, followers, commenti; generano dibattiti, fanno eccitare gli algoritmi. 

A questi contenuti accedono anche persone che con il cibo hanno sempre avuto un buon rapporto ma il cui bisogno di attenzioni risulta perennemente denutrito. 

È necessario dare alla gente dietro gli schermi un motivo per attirare lo sguardo: mostrare il proprio corpo non vale più, con la body positivity e neutrality ogni corpo è diventato bello. La volgarità ormai non attira, l’hanno capito che è una farsa, e stucca anche. Il sesso…che noia. 

La moda…siamo tutti fashion icons. Il make up…ormai siamo una unica grande accademia di make up artist. 

I tuttologi stanno fanno indispettire e i dottori sono troppo difficili da capire. 

Rimane una cosa sola: 

la malattia mentale. 

“Se non guardano me, guarderanno la mia malattia”

“Se divento anoressicæ, se faccio questo anche io, se gioco con chi mi dice cosa mangiare e quando mangiare, se combatto contro la malattia in live, verrò vistæ anche io”

Lo sciame, incantato come i topi del pifferaio magico, si sposta.

Scegliendo man mano l’account più spaventoso, quello che parla di più di quel mostro di cui non riesce a capire e che teme possa entrare anche in casa sua.

D’altro canto bisogna guardare in faccia i mostri per riuscire a non averne più paura, no?

“Che fortuna, quando con il mostro abbiamo la possibilità di entrare in contatto solo in modo virtuale. 

E con questo mostro ci possiamo dialogare, lasciargli commenti di supporto, sostegno, incoraggiamento. 

Va là che il mostro ci rende anche più buonæ e piæ di quanto pensassimo”.

Intanto chi con il mostrO ha deciso di conviverci sente di aver soddisfatto il suo bisogno principale: esser vistæ, avere un pubblico affezionato, sentire di ESSERE qualcuno, almeno nel virtuale.

Non importa che sotto i riflettori ci sia la malattia, non la persona. L’importante è averli puntati addosso. 

Come nello show di Viktor and Rolf: la modella, il corpo che sosteneva il vestito era al centro della passerella, con i riflettori su di se, ma l’unico protagonista, separato, mal posizionato su quel corpo, era il vestito.

Nell’anoressia virale quello che avviene è un ciclo infinito e sempre più popolato di bisogno, condizionamento e rinforzo:

una persona avverte l’urgenza di essere vista, modifica il suo corpo in modo da urlare abbastanza forte da attirare l’attenzione, il pubblico accorre.

Il pubblico guarda, non ne ha mai abbastanza: commenta per sentirsi buono; più l’altro si aggrava, soffre, più lui ha la possibilità di mostrare il suo gran cuore. 

La persona che indossa l’anoressia (che in questa variante viene portata proprio come un vestito) fa, in parte, ciò che la sua folla adorante vuole, mentre lotta per mantenere quella immagine, che è l’unico motivo che la tiene attaccata a lei. 

Dimagrisce sempre di più, piange a commento (non a comando), sente quello che le dicono di sentire. 

La sua immagine distorta si rafforza sempre di più, si radica come un albero nella terra.

Un’immagine che la fa essere vistæ al punto da stringere collaborazioni, ricevere regali; immagine che la fa diventare una delle vetrine più luminose e ammirate della città.

Sempre più difficile da lasciare, soprattutto quando grazie ad essa anche chi orbita vicino alla Dca-star capisce che è la manna grazie alla quale ritagliarsi, finalmente, la sua fetta di notorietà.

Mi sono sempre chiesta per quale motivo siamo così ossessionati da ciò che ci provoca paura e disgusto, che suscita in noi sensazioni spiacevoli a livello viscerale. 

Come è possibile che nel virtuale restiamo incollati a guardare ciò che ci repelle e/o terrorizza?

“Quando ci si toglie una crosta o ci si spella, si prova un sollievo simile a quello che si prova dopo aver fatto sesso. Non è una gratificazione sessuale in sé, ma è un senso di sollievo e una risposta chimica simile”, spiega la sessuologa Fleischman. “Questa risposta si chiama dopamina, e inonda il nostro cervello come ricompensa neurologica a tutti quei comportamenti che promuovono la cura e la prevenzione delle malattie”.

Secondo lo psicologo Alexander Skolnik la ragione è da ricercare nel fatto che siamo attratti da ciò che ci mette a disagio. In questi casi la nausea è superata dalla curiosità. 

Nella vita reale, quotidiana, più siamo terrorizzati o disgustati da qualcosa meno ne siamo incuriositi.

Nei video però l’esperienza è totalmente diversa: “credo riguardi l’avere a che fare con qualcosa di spaventoso e/o disgusto in maniera sicura. Hai sempre il potere di spegnere”

Guardando i video le persone sono spaventate o disgustate ma non abbastanza da spegnere o scappare. 

Nel virtuale la curiosità vince, porta la gente a credere di imparare qualcosa da quello che vede e le illude che, più guarda quelle immagini, più parla con quei mostri cattivi, più sarà capace di controllarli nella vita reale. 

Quel che è certo è che, da brava società, stiamo sfornando delle nuove malattie che sconvolgono tutte le semi certezze che avevamo raggiunto; e da brava società struzzo, come sempre, osserviamo i soliti schermi ripetersi, mettiamo like al male, coniamo nuovi pregiudizi-scudo, e tiriamo avanti, con la testa sotto la sabbia,  nell’ameno sentiero della normalizzazione a tutti i costi. 

Dott.ssa Anastasia Giangrande

Psicologa a Milano

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