Lo stigma della depressione
Il caso Marco Bellavia al GFVip

In questi giorni hanno creato molto scalpore le vicende che coinvolgono Marco Bellavia e il manifestarsi di sintomatologie depressive all’interno del Grande Fratello Vip. Il noto programma televisivo ci conferma ancora una volta quanti enormi pregiudizi ci siano intorno alle patologie mentali, in special luogo sulla depressione.

Ciò che ha creato più scalpore e indignazione è stato il trattamento riservatogli dagli altri concorrenti, carico di aggressività e rabbia o di giudizi e indifferenza, mettendo in luce la profonda ignoranza presente nella nostra società rispetto alla salute mentale, retaggio di secoli di storia dove il trattamento del “malato mentale” che non si rimetteva in tempo era l’esclusione dalla società e l’isolamento in manicomi, con annesse pseudo-torture e violenze fisiche, come ad esempio l’elettroshock.

La storia ci insegna che l’impostazione cattolica identifica nella malattia mentale una colpa o l’indice di una presenza del male da estirpare, demonizzando la persona e le sue sofferenze, a eccezione dei deliri religiosi che talvolta venivano interpretati come canale di comunicazione con il divino. Questo retaggio si è infuso nella psichiatria del passato, generando un trattamento delle persone con patologie mentali simili a quelle di criminali. Nonostante gli enormi passi avanti fatti tramite le ricerche scientifiche e le lotte sociali come quelle portate avanti da Basaglia, ancora tuttora però possiamo assistere ad atteggiamenti oppositivi o difensivi verso queste patologie.

“Sei la causa dei tuoi mali”, “Si merita di essere bullizzato”, “Se hai dei problemi stai a casa tua” e ancora “scemo”, “ignorante”, “patetico”, questi sono solo alcuni esempi delle frasi ed epiteti che gli altri concorrenti del GF Vip hanno rivolto, direttamente o indirettamente, a Marco Bellavia.

La depressione viene molto spesso stigmatizzata o sminuita perché è interpretata come espressione di “ricerca di attenzioni” o di “debolezza del carattere”, ma inconsciamente attiva anche nell’altro un contatto con le proprie parti vulnerabili e sofferenti che, come abbiamo potuto vedere nel programma, non tutti sono in grado di tollerare. Accusare solo i concorrenti di un atteggiamento becero e prenderli come capro espiatorio non ci aiuterà però a comprendere quanto è radicata in molte persone e nella società attuale la paura della depressione. Viviamo in una società che ci invita costantemente alla felicità e all’entusiasmo e ancora di più rispetto al passato condanna la tristezza ed il dolore come stato mentale da non provare nella vita, e dunque anche senza la presenza di patologie mentali, molto spesso ci saremo trovati almeno una volta a sentirci dire delle frasi come “tirati su” o “non essere triste” oppure “non ti impegni abbastanza per far migliore le cose”. Viene a mancare la sintonia empatica perché si è terrorizzati dal contatto profondo con l’altro, e lo esprime chiaramente una partecipante del programma Tv che confida “non ce la faccio a stargli vicino, mi sento un peso nel petto che non riesco a sopportare”.

Il bullismo che ha colpito Marco Bellavia  fa parte di una dinamica sociale purtroppo diffusa di fronte a situazioni di difficoltà o diversità, che portano a isolare ed escludere il ‘diverso’ dal gruppo sociale.

Afferma il professor Davì dell’università Unicusano “La diversità non viene accolta ma derisa, perseguitata, tormentata. Ciò che non fa parte della tipicità dei comportamenti viene messo all’angolo, giudicato e, in qualche modo, eliminato dall’ambiente.”.

L’angoscia delle patologie mentali e della depressione appartiene anche alla società capitalista, che poggia le sue basi sulla ricerca della felicità e del benessere, oscurando le coscienze delle persone dalle profonde crisi depressive che stiamo vivendo: della guerra, pandemica, economica e climatica.

Forse, dovremmo concedere a noi stessi di deprimerci ed accedere alle nostre angosce più profonde, non solo per entrare in profondo contatto con l’altro, ma talvolta per vedere delle realtà che ci terrorizzano e spaventano, ma reali verso cui intervenire e smettere di spegnare il cervello con programmi televisivi che inneggiano al Trash come massima espressione del non pensiero.

Dott. Dario Maggipinto

Psicologo Psicoterapeuta a Chieti

Per Approfondire

Andersson, Matthew A. and Sarah K. Harkness (2017). Forthcoming. “When Do Biological Attributions of Mental Illness Reduce Stigma? Using Qualitative Comparative Analysis to Contextualize Attributions.” Society and Mental Health.

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