“Il linguaggio dell’amore è un linguaggio segreto e la sua espressione più alta è un abbraccio silenzioso.”
Robert Musil
L’abbraccio rappresenta un gesto primordiale, il primissimo contratto tra la mamma e il neonato pochi minuti dopo la nascita, che trasmette al figlio calore e protezione.
Parlando con una mia giovane paziente, qualche tempo fa, mi sono ritrovata a riflettere sulla grande potenza dei meccanismi di difesa, in particolare dei processi di rimozione e dissociazione. Anna è una giovane donna che all’età di 14 anni ha subito la perdita della propria madre a seguito di un tumore al seno. A distanza di anni, lamenta il fatto di non riuscire a ricordare nessun evento precedente questa perdita, né tanto meno il ricordo del momento in cui si è trovata ad affrontare questo lutto. Difficile affermare se effettivamente Anna non ricordi nulla della malattia della mamma, o non voglia consciamente ricordare quel periodo della sua vita che l’ha segnata profondamente. Soffre ancora per la sua perdita e pur sforzandosi di far riaffiorare alla memoria quell’evento, ancora non è in grado di ricordare. Così come per la perdita della mamma, Anna non ricorda neppure altri episodi che, se riportati, potrebbero essere potenzialmente utili sul piano clinico. Parlandomi di sé noto la totale assenza di racconti legati ad alcuni periodi della propria infanzia.
Mi fermo e osservo la buca che ho fatto. Mi calo all’interno portando la pala con me, e mi rendo conto della profondità: arriva alla vita. Mi tolgo la camicia ricomincio a scavare da dentro. […] Posso muovermi quanto basta all’interno della buca, riesco a girare su me stesso e, poggiando la schiena su una delle pareti, se allungo le braccia, riesco a toccare la parte di fronte. Lancio la pala fuori e resto nella buca fermo, in attesa. L’attesa. […] Aspettiamo di capire cosa stiamo aspettando. Attendo.
“La buca”, un breve racconto in cui il protagonista intraprende un viaggio, quasi come una fuga, che lo allontana dalla vita quotidiana e caotica nella quale le persone vivono al passo con i tempi frenetici cittadini. Allontanandosi dalla città arriva in questo posto dove splende il sole e dove non ci sono ombre.
Questo passo che mi ha suscitato diversi pensieri e che apre a molteplici interpretazioni su vari livelli, offre anche un’immagine molto forte, l’immagine di un uomo che scava una buca nella terra per rimanere lì. Uno dei pensieri più immediati che ci stimola è quello di un uomo che sta scavando la propria tomba. In realtà il protagonista descrive la buca come un posto confortevole dove poter stare. Allora uno dei significati simbolici che emerge dalla scena descritta può essere collegato alla situazione in cui molte persone costruiscono un luogo circoscritto e limitato dove vivere e crescere, mettendo a frutto le proprie caratteristiche. Quel luogo che in apparenza le persone identificano come volutamente costruito e realizzato in base alle proprie caratteristiche e alle proprie necessità, in realtà è un ambiente imposto dal contesto in cui si vive.
In cucina. Lei, che le chiedeva sempre di assaggiare la pasta per verificare se fosse finalmente al dente e se mancasse o meno di sale, eh che nel farlo, sorriso complice e sornione, le porgeva una manciata di spaghetti “sapurìti”, direttamente prelevati dal generoso pentolone del sabato col suo forchettone di legno, ormai consumato dal tempo. La felicità racchiusa in un rituale semplice. Probabilmente, uno dei ricordi più intrisi d’amore e dolcezza, che parlano di Irene e di sua nonna. Un fotogramma prezioso in cui tutto quel rapporto appare come condensato. Ma quando perdiamo qualcuno o qualcosa d’amato, che peso assume un ricordo?
<<Pigmalione aveva rinunciato a sposarsi e passava la sua vita da celibe, dormendo da solo nel suo letto. Grazie però alla felice ispirazione dettatagli dal suo talento artistico, scolpì in candido avorio una figura femminile di bellezza superiore a quella di qualsiasi donna vivente e si innamorò della sua opera. Questa aveva l’aspetto di una fanciulla vera, tanto che la si sarebbe creduta viva e desiderosa di muoversi, se non l’avesse impacciata il pudore. L’arte era tanto grande da non apparire addirittura. Pigmalione stesso è preso dall’immagine di quel corpo e contemplandolo concepisce una passione ardente. (…) E viene il giorno della festa di Venere (…) anche Pigmalione porta il suo dono agli altari, davanti a cui si ferma sussurrando timidamente: “O dèi, se è vero che voi potete concedere tutto, io ho un desiderio: vorrei che fosse mia sposa…”. L’aurea Venere, che è presente in persona alla sua festa, percepisce il significato reale di questa supplica ed ecco che la fiamma, interprete della benevolenza della dea, tre volte si riaccende e guizza verso l’alto. Pigmalione, non appena torna a casa, si reca dalla statua della sua fanciulla e sdraiandosi sul letto accanto a lei, prende a baciarla: gli sembra di incontrare qualcosa di tiepido. Di nuovo accosta la bocca e le tocca il petto con le mani: al tocco l’avorio si ammorbidisce, deponendo la sua rigidità. (…) Il giovane resta attonito, quasi si lascia andare alla gioia ma teme di ingannarsi: pieno d’amore torna a toccare più e più volte l’oggetto dei suoi desideri: è proprio un corpo vivo! Le vene pulsano sotto la pressione del pollice. Allora sì che trabocca di gratitudine e cerca le parole per esprimerla a Venere! Finalmente preme le sue labbra su una bocca vera e dà dei baci che la fanciulla sente: arrossendo ella leva timidamente verso di lui lo sguardo e ai suoi occhi appare contemporaneamente la visione del cielo e quella dell’uomo che l’ama>> (Dalle “Metamorfosi” di Ovidio)
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