Dipendenza da Serie TV
Le emozioni tele-amiche
2015. Sabato sera a casa di amici.
Tavola imbandita, amatriciana, buon vino e chiacchiere generali su un pettegolezzo di quartiere.
Seduti vicini, A. ed M. si estraniano dalla conversazione di gruppo, iniziando a parlottare fra loro di un qualcosa che alle mie orecchie sembra molto interessante.
Incuriosita li osservo e ascolto la conversazione che diventa sempre più a toni coloriti.
“BIV” dice A. offrendo ad M. un bicchiere di vino bianco.
“…STA SENZA PENSIER” risponde M. con tono rassicurante, ma duro.
Segue la risata spassionata dei due che si guardano con la complicità di chi condivide un qualcosa di intenso. Mi guardo intorno e mi accorgo che quel “teatrino” smuove pian piano l’attenzione di tutti presenti. Ecco che d’un tratto crescono le risate generali e il parlottio di sottofondo rende i miei pensieri confusi.
Non capisco, ma mi sento divertita.
Chiedo all’amica accanto a me cosa stesse succedendo; lei mi guarda con occhi increduli: “Non hai mai visto “Gomorra-la serie?”.
D’improvviso mi sento fuori dal mondo di chi conosce a memoria quei dialoghi, lontana dagli interessi dei miei coetanei, sprofondata nella mia ignoranza televisiva.
Ebbene no, non avevo e non ho mai visto Gomorra-La serie, ma posso dire con estrema certezza che fra i presenti, quella sera, ero decisamente l’unica!
Quale valore possiamo attribuire alle Serie TV, oggi?
Sempre più spesso ci si approccia alle Serie Tv con un atteggiamento compulsivo, che, in casi estremi, può sfociare in una moderna forma di dipendenza. Con le scuse più svariate, si rimane in casa a guardare le puntate, una dietro l’altra, anche molteplici al giorno. Socialmente, il rischio è una spinta all’isolamento e all’accentramento della comunicazione sociale intorno alla trama, alle curiosità e alle novità della serie.
Sempre più rapiti dall’intensità delle storie, si sperimenta il “bisogno” di approfondire la vita di quei personaggi che inevitabilmente entrano a far parte della quotidianità. Joshua Meyrowitz definisce tele-amicizia la relazione che può instaurarsi tra un protagonista di una serie TV ed uno spettatore. È un sentimento autentico che cresce con il susseguirsi delle puntate, l’intricarsi della storia, in un processo inevitabile ed inconsapevole di identificazione, che può rappresentare anche una difesa dalle ansie e paure di tutti i giorni.
Un recente studio dell’Università dell’Ohio ha paragonato il dispiacere per la morte (nella serie) di un protagonista a cui siamo affezionati al sentimento per la fine di una storia d’amore (reale). Un lutto in piena regola!
Con il passare delle ore di Binge Watching (abbuffate o “maratone” di serie tv) ci si affeziona ad un personaggio specifico: il più simpatico, il più simile a noi o semplicemente colui che rappresenta ciò che vorremmo essere. Con l’andare avanti della trama, iniziamo ad interpretare gli eventi sempre più attraverso il suo il punto di vista: assumiamo tratti, qualità e caratteristiche di personalità del nostro tele-amico e ne sperimentiamo empaticamente le sensazioni.
La sua vita ci coinvolge tanto da esserne “rapiti” e, in un mondo in cui le certezze sono a tempo determinato, cerchiamo rifugio nella sicurezza della tele-vita del nostro personaggio preferito, ubriacandoci di puntate che assumiamo insaziabilmente. Piangiamo, ridiamo, ci arrabbiamo insieme a lui e in un’escalation di emozioni pensiamo: “in fondo è solo un telefilm” … e ci sentiamo così scemi a piangere di fronte alla TV o a battere le mani per quel bacio finalmente arrivato.
Reazioni forti, incontrollabili e liberatorie che rappresentano il disgelarsi delle nostre emozioni per mezzo di colui che fa crollare il freno delle difese e della razionalità e intensamente ci permette di cedere ad esse.
Non dimenticandoci i possibili rischi associati allo strutturarsi di una dipendenza, primo fra tutti l’isolamento sociale e la perdita di contatto con la realtà, possiamo riconoscere nelle serie TV una grande opportunità: ci permettono di sperimentare e rivivere le nostre emozioni attraverso i personaggi in un lungo processo di scoperta di noi stessi e crescita del nostro senso di identità personale e sociale.
E dunque…Con Genny e il Libanese siamo attratti dalle regole del male tanto da riuscire a credere nell’esistenza di in un pizzico di giustizia in un mare di illegalità. Viviamo le esperienze di Dawson trasportati dalle nostre emozioni adolescenziali. Gioiamo per i successi di Derek e Meredith tra i ferri e in amore e ci rattristiamo scoprendo che Cristina aprirà un ospedale a Zurigo, lontano da noi. E, nonostante alla fine ci rincuori sapere che Desmond Hume sarà sempre una costante, ci sentiamo bloccati su quell’isola che non c’è insieme ai protagonisti di Lost, con la voglia di andare avanti verso la nostra terra ferma e crescere…
Dott.ssa Emanuela Gamba
Per approfondire:
White R.B. & Gilliland R.M., “I Meccanismi di Difesa”, Ed. Astrolabio, 1977
Meyrowitz J. ,“The Life and Death of Media Friends: New Genres of Intimacy and Mourning” In: American Heroes in a Media Age, Ed. Susan Drucker and Robert Cathcart, 1994
Cohen J. “Defining identification: a theoretical look at the identification of audiences with media characters”. Mass Communication & Society, 2001
Lather J. & Moyer-Gusé E., “How do we react when our favorite television characters are taken away? An examination of a temporary parasocial breakup”. Mass Communication & Society, 2011
Per riderci su:
VLOG 36 – Telefilm
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