Il Disturbo Evitante di Personalità
Un semplice “asociale”?
Undici Gennaio. È da poco iniziato l’anno nuovo che, come i precedenti, con la festività dell’epifania ha posto fine al periodo delle vacanze natalizie. Chi è riuscito ad avere dei giorni di ferie ne avrà senz’altro approfittato per passare un po’ di tempo in famiglia e con gli amici. Nei normali giorni lavorativi può risultare difficile concedersi sane frequentazioni amichevoli e perciò in questo periodo molti ne approfittano per ritrovare un po’ di vita sociale. Giocate a carte, cinema, brindisi, amici, parenti.
Tanti stimoli che non tutti in realtà riescono a tollerare.
Mi riferisco alle persone che presentano un Disturbo Evitante di Personalità, per le quali le occasioni di contatto sociale rappresentano più un pericolo che una gioia.
Nel linguaggio comune si usa spesso il termine “asociale” riferendosi a coloro che rifuggono occasioni di incontro e preferiscono stare in solitudine. Viene anche frequentemente usato con un’accezione dispregiativa come se fosse un difetto.
Nella nostra cultura essere in grado di vivere in mezzo ad altre persone e cercarne la presenza è una caratteristica positiva. Le persone socievoli vengono considerate migliori rispetto a quelle che al contrario sembrano somigliare più a pianeti solitari.
La psicologia, al di la di considerazioni di carattere culturale e giudizi di valore, ha il compito di occuparsi del disagio e dei disturbi che peggiorano la qualità della vita. Perciò non si può limitare a parlare di persone “asociali”, ma deve affrontare il fenomeno cercando di comprenderne le varie sfaccettature e diverse motivazioni sottostanti.
Chi è depresso può avere poca voglia di incontrare i propri amici perché non si sente di avere le energie necessarie per uscire e incontrare persone (per un approfondimento si può consultare l’articolo La Depressione – La crosta di una ferita interna nella rivista del mese di Gennaio 2015). Chi soffre d’ansia può ritrovarsi da solo perché, per mantenere le proprie frequentazioni, sarebbe costretto a sottoporsi ad abitudini e contesti che vive come ansiogeni.
Altri individui, invece, possono evitare contatti sociali perché tendono a sospettare di chiunque. Si tratta di coloro che soffrono di Disturbo Paranoide di Personalità.
Infine, prima di arrivare al protagonista del nostro articolo, si può citare il Disturbo Schizoide di Personalità nel quale vi è una mancanza di interesse nei confronti dei rapporti sociali, distacco emotivo e freddezza (per un approfondimento si può consultare l’articolo Disturbo Schizoide di Personalità – Guardando il mondo da un oblò: quella lente che protegge nella rivista del mese di Giugno 2015).
Nel caso del Disturbo Evitante di Personalità il soggetto, più che essere disinteressato ai contatti sociali, li rifugge in quanto li teme. Vi è infatti un quadro di grave inibizione sociale con sentimenti di inadeguatezza e ipersensibilità ai giudizi negativi. Il comportamento patologico è causato da un’estrema sensibilità al rifiuto. La paura di sentirsi inadeguati, rifiutati, indesiderati e umiliati porta a vivere ogni occasione sociale come fonte di angoscia e quindi ad evitarla.
Secondo il DSM IV-TR per effettuare diagnosi di Disturbo Evitante di Personalità devono essere presenti almeno quattro dei seguenti elementi:
– evita attività lavorative che implicano un significativo contatto interpersonale, poiché teme di essere criticato, disapprovato o rifiutato;
– è riluttante nell’entrare in relazione con persone a meno che non sia certo di piacere;
– è inibito nelle relazioni intime per il timore di essere ridicolizzato o umiliato;
– si preoccupa di essere criticato o rifiutato in situazioni sociali;
– è inibito in situazioni interpersonali nuove per sentimenti di inadeguatezza;
– si vede come socialmente inetto, personalmente non attraente, o inferiore agli altri;
– è insolitamente riluttante ad assumersi rischi personali o a ingaggiarsi in qualsiasi nuova attività, poiché questo può rivelarsi imbarazzante.
L’ “asociale” Evitante quindi non è realmente disinteressato alle situazioni sociali, ma più che altro le vive come fonte d’angoscia perché potenzialmente potrebbero renderlo vulnerabile. Essendo notato, essendo costretto a rivelarsi, teme di risultare incapace o inadeguato e ciò rappresenterebbe un fallimento insormontabile ed esageratamente doloroso.
Si fa presto a dire “asociale”.
Dott. Roberto Zucchini
Approfondimenti:
Lingiardi, V. (2004). La personalità e i suoi disturbi. Lezioni di Psicopatologia dinamica. Milano: Il Saggiatore.