L’attacco di panico. Quei sani sabotatori interni

Tutti noi abbiamo almeno una volta sentito parlare del “celebre” attacco di panico, molti di noi conoscono persone che ne hanno avuto uno, altri lo hanno sperimentato in prima persona, altri ancora se lo sono autodiagnosticato grazie alle notizie frammentarie provenienti da amici, conoscenti, internet etc.

Si potrebbe quasi dire che l’attacco di panico è la patologia di questi anni. Un po’ come era avvenuto per l’isteria tra fine ‘800 e inizio ‘900. Infatti, le patologie, soprattutto quando parliamo dell’area psichica, rappresentano un riflesso della cultura, del pensare comune e del periodo storico in cui si manifestano. Così come l’isteria era una patologia che metteva in scena sul corpo tutta una serie di vissuti emotivi inaccettabili per la società del tempo e quindi per la coscienza dell’individuo (per un approfondimento si rimanda all’articolo sull’Isteria della rivista di aprile), così nell’attacco di panico, i black out incontrollabili cui l’individuo va incontro rappresentano dei segnali che la nostra mente, attraverso il nostro corpo, ci manda, per segnalarci che qualcosa non sta funzionando come dovrebbe. 

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Il boomerang delle emozioni. Viverle o evitarle.

Il bacio, Hayez 1859 – Pinacoteca di Brera

Antonino Ferro spiega come l’evitamento delle emozioni sia un’attività principale delle nostre menti, sia di quelle patologiche che di quelle ben funzionanti. Egli parla di proto-emozioni, ovvero primitivi dati sensoriali che in alcuni casi vengono raccolti, contenuti e trasformati in emozione, in altri casi, essendo in esubero, vengono evacuati. Secondo Ferro, però, quando una modalità di evacuazione prevale nettamente sulle altre diventa un sintomo. Per fare alcuni esempi: vi sono meccanismi evacuativi di proiezione all’esterno che danno vita a fenomeni come paranoia, schizofrenie e allucinazioni; meccanismi di evacuazione nel corpo che danno vita a malattie psicosomatiche. Se la strategia è quella dell’evitamento degli stati proto-emotivi si ha l’ossessività; se la strategia è il controllo, l’ipocondria. Insomma, vi è tutta una serie di attività evacuative della nostra mente che sono vitali e la differenza fra funzionalità e patologia risiede nella modalità e nell’intensità con cui questo processo viene affrontato. Alcune persone non vivono passioni brucianti e si spengono nella routine, nella ripetitività, nella noia, pur di tenere un basso profilo di emozioni circolanti. Le emozioni non vissute possono generare in seguito paura, insicurezza e persecuzione. Se è vero però che un’attività della nostra mente è quella di difenderci dalle emozioni, è anche vero che vi è un’altra funzione che cerca di ricontattare quanto viene espulso, segregato o comunque messo a distanza.

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Disturbo Ossessivo Compulsivo (D.O.C.). Rituali consapevoli ma necessari

Didascalia: M. C. Escher “Mani che disegnano” (1948)

La sveglia non ha suonato, mi devo sbrigare! Metto la macchinetta del caffè sul fuoco e intanto scelgo i vestiti da indossare, faccio colazione e poi subito sotto la doccia. Esco dal bagno, mi asciugo, mi vesto, controllo di aver preso tutto, cellulare, portafoglio, chiavi, sì ok c’è tutto! Esco, chiudo la porta di casa con entrambe le mandate e…l’ho chiuso il gas?? Nella vita quotidiana è plausibile incorrere in dubbi circa la validità delle proprie azioni (verificare ad esempio due volte di aver chiuso la porta di casa e di incorrere nuovamente nel dubbio dopo averlo fatto): questo, fortunatamente, non accade sempre, visto che il nostro cervello effettua, al di fuori della coscienza, dei controlli costanti che ci garantiscono la sicurezza. La caratteristica principale di coloro che sono affetti da disturbo ossessivo compulsivo (DOC) riguarda invece l’alterazione di tale processo, che non consente loro di “raggiungere la conclusione logica delle proprie azioni”. Il DOC è una sindrome caratterizzata da ossessioni e compulsioni che durano almeno un’ora al giorno ed hanno un’entità tale da interferire col normale funzionamento della persona nella vita quotidiana. Le ossessioni sono vissute sotto forma di pensieri, impulsi o immagini intrusivi che provocano un marcato stato d’ansia e disagio; le compulsioni sono atti mentali o comportamenti ripetitivi che la persona è obbligata a mettere in atto per alleviare l’ansia provocata dalle ossessioni. 

Disturbo Ossessivo Compulsivo

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Ipocondria
Silenzi del corpo, rumori dell’anima

Ci capita, a volte, di aver paura di qualcosa che a mente fredda reputiamo inverosimile.

Come quelle sensazioni fisiche comuni e diffuse (un mal di testa, un mal di pancia o la scoperta di piccole e antiestetiche macchioline sulla nostra pelle..) che ci spaventano ed evocano in noi incontrollabili preoccupazioni per la nostra salute. Tendiamo ad esternare le paure dal momento che parlarne le rende più digeribili e sopportabili; esse vengono, però, apostrofate come “esagerazioni” dai nostri cari e come “distorte interpretazioni di sintomi somatici” dai medici a cui ci rivolgiamo frequentemente per ricevere rassicurazioni sulla nostra condizione fisica.

Nel persistere di uno stato di angoscia e preoccupazione, ci convinciamo che quel semplice doloretto o fastidio fisico sia il sintomo attraverso cui il nostro corpo ci comunica l’esistenza di una malattia ben più grave. Dal sintomo, alla paura, alla convinzione di nascondere in noi un “seme malato” che può distruggerci piano piano e di fronte cui ci sentiamo deboli ed inermi. Arriviamo a pianificare nella nostra mente strategie poco concrete per scampare alla morte o ad immaginarci catastroficamente come sarà breve il percorso da lì alla fine dei nostri giorni. 

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La Dislessia
Gli struzzi non mettono la testa sotto la sabbia

Qualche giorno fa ero dal medico poiché, in seguito all’influenza, desideravo farmi visitare. 

Mi trovavo in sala di attesa  e, mentre il mio animo ipocondriaco contemplava la possibilità di aver contratto il virus dell’Ebola ed immaginava tutte le possibili soluzioni per scampare alla morte, attaccò bottone una signora di circa 60 anni. Parlammo del più e del meno (ovviamente anche dell’Ebola e delle nostre preoccupazioni), era visibilmente molto stanca e affaticata nell’eloquio. Dopo essersi interrotta nella comunicazione varie volte ed aver fatto fatica a trovare le parole giuste da dirmi, affermò con distrazione:

“Mi scusi, oggi sono proprio dislessica non riesco a parlare”.

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