Cease-fire, now!
Dov’è l’occidente democratico?
Scrivere di quello che sta succedendo in Palestina non è semplice.
Non è semplice scrivere senza scadere in banalità, non è semplice scrivere a tanti km di distanza e senza essere mai stati fisicamente sul posto. La cosa più sensata che si possa fare è affidarsi a chi quel territorio l’ha visto e vissuto da vicino, a chi ha contatti diretti con i locali e riesce a ricevere informazioni direttamente da lì.
Rispetto a questo va riportato che purtroppo sono già morti più di 40 tra giornalisti e giornaliste, per la maggior parte palestinesi e che in concomitanza dell’intensificazione degli attacchi e delle incursioni via terra, viene completamente tagliato ogni tipo di collegamento con la striscia di Gaza.
Non è semplice, né dovuto, né richiesto scrivere del conflitto israelo-palestinese, ma quel blocco allo stomaco, causato da quanto sta vivendo la popolazione palestinese e da quanto hanno vissuto i civili israeliani il 7 ottobre, in qualche modo cerca di uscire fuori e prendere forma.
Ormai siamo a più di un mese da quel tremendo 7 ottobre e da quello che spesso viene definito dai media, “inizio del conflitto”.
1.400 morti, quasi tutti civili israeliani, nell’attacco di Hamas del 7 ottobre.
Più di 10.000 morti, quasi tutti civili palestinesi, causati da più di un mese di bombardamenti e attacchi dell’esercito israeliano nella striscia di Gaza.
Quasi il 40% delle vittime sono bambini e bambine.
A questi vanno aggiunte le uccisioni di civili palestinesi, da parte dei coloni israeliani, in Cisgiordania, West Bank, territorio palestinese.
Da giorni vengono bombardati ospedali, scuole, campi di rifugiati; vengono uccisi arbitrariamente civili per le strade. Dall’inizio dei bombardamenti, alla popolazione palestinese non è stata data possibilità di mettersi in salvo. Gli è stato detto di spostarsi verso sud, ma anche a sud ci sono continui attacchi aerei. In più di un mese sono stati fatti entrare nella Striscia pochissimi aiuti umanitari, una presa in giro rispetto alle reali necessità.
La popolazione palestinese sta iniziando a bere l’acqua del mare. Il cibo sta finendo; forse è rimasto soltanto un forno operativo che riesce a sfornare pane. L’aria è piena di polvere causata dai bombardamenti; ci sono corpi in decomposizione che non possono essere recuperati dalle macerie; gli scarichi dei water non hanno più acqua e non funzionano; il rumore degli attacchi è forte e costante da non permettere alle persone di dormire quasi mai.
Non arriva acqua, non c’è gasolio per far funzionare i generatori di energia degli ospedali. Non c’è un posto sicuro!
Come detto, parallelamente in Cisgiordania continuano le aggressioni dei coloni ai civili palestinesi, che vengono costretti a lasciare le loro case, quando va bene, e uccisi a sangue freddo per le strade, nella peggiore delle ipotesi. Ad oggi i coloni in territorio palestinese sono circa 700.000, appoggiati ed armati dal governo del primo ministro Netanyahu.
Il conflitto israelo-palestinese va avanti da decenni. Questo è sicuramente il picco più alto mai raggiunto, ma ce ne sono stati altri negli anni passati.
Giorno dopo giorno siamo costretti ad ascoltare o leggere politici, ambasciatori e ministri del governo di estrema destra israeliano che inneggiano all’invasione, all’uccisione e addirittura allo sterminio di tutta la popolazione palestinese.
Dov’è l’Europa? Dov’è L’America? Dov’è tutto quell’occidente democratico che sempre, in passato, anche molto recente, ha preso una posizione netta contro gli oppressori in giro per il mondo?
Con quale coraggio si dirà a quei fortunati sopravvissuti, si perché, si tratta solo di fortuna, che potranno riprendere la loro vita, che la guerra è finita e ora possono ricominciare a vivere? Senza un padre o una madre, senza un marito o una moglie, senza un figlio o una figlia, o soli, avendo perso un’intera famiglia. Con quale coraggio si chiederà di crescere a quei bambini e bambine che sono riusciti a non morire? In che modo questi piccoli potranno crescere?
Oggi i mass media parlano con tanta superficialità, riducendo spesso il tutto ad un numero, delle persone che stanno perdendo la vita e viene da pensare a quanto poco si parlerà dei traumi dei superstiti.
L’occidente sta scegliendo di appoggiare l’invasione israeliana della striscia di Gaza, come ha scelto di non vedere l’invasione dei coloni in Cisgiordania nel tempo.
Solo l’Onu, tramite il suo segretario generale, Antonio Guterres, ha espresso il suo sdegno, condannando sia l’attacco di Hamas, che l’invasione israeliana, chiedendo l’immediato cessate il fuoco e la fine della guerra.
Solo negli ultimi giorni gli Stati Uniti, tramite il Segretario di Stato, Blinken, hanno comunicato di non essere favorevoli ad un’occupazione da parte di Israele della striscia di Gaza. Forse un po’ tardi.
Concludo lasciando uno spunto di riflessione lanciato daCecilia Sala, nel suo podcast “Stories”, riportandoun articolo del giornalista palestinese Muhammad Shehada, che ponendosi la domanda “cosa farei io, se fossi al posto di Israele?”, si dà una risposta che personalmente condivido.
Shehada dice che “Israele dovrebbe ribaltare le carte in tavola in sfavore di Hamas. Israele dovrebbe offrire un vero Stato Palestinese in cambio dello smantellamento dei gruppi militanti come Hamas.”
Non una guerra tra due Paesi, tra due eserciti.
Un attacco terroristico contro dei civili ed uno sterminio indiscriminato di una popolazione. Basta!
Dott. Diego Bonifazi
Assistente Sociale a Roma
(+39) 3296614580
Email: diego.bonifazi@yahoo.it
seguire sui loro canali e podcast Valerio Nicolosi, Cecilia Sala, Francesca Mannocchi e Anna Maria Selini tra gli altri e le altre.
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