Profezia che si autoavvera
Quando l’auto sabotaggio passa dall’armadio

Il concetto di “profezia che si autoavvera” (o auto adempie o autodetermina) fu introdotto nel 1948 dal sociologo Robert K. Merton nel libro “Teoria e struttura sociale”. 

Essa consiste in una previsione che si realizza solo per il fatto di essere stata espressa: viene formulata una predizione che dà origine ad un evento; nel modo in cui si svolge, l’evento va a confermare e verificare la predizione, dando vita ad una relazione circolare vincolante e auto confermante (per approfondire si rimanda anche all’articolo “La profezia che si autoavvera-il potere delle aspettative sulla realtà“)

In psicologia avviene quando una persona si crea una credenza, una convinzione, ed agisce in base ad essa: comportandosi come se fosse reale, la rende reale.

Ciò avviene in quanto la credenza influenza il pensiero, il comportamento, quindi l’andamento degli eventi.

Le azioni e i comportamenti che la persona mette in atto hanno così il fine di confermare il sistema di convinzioni che è stato creato, sia esso negativo o positivo.

Il caso più esemplificativo è quello inerente gli esami universitari. 

Se la convinzione è quella di non essere sufficientemente preparati o di essere talmente sfortunati da ricevere la domanda sull’argomento non studiato per bene, si agirà in modo tale da compromettere il buon esito della prova, impegnandosi anche meno nella preparazione della stessa. E questo per confermare la credenza (disfunzionale) iniziale. 

A volte ciò succede in modo subdolo, quasi inconsapevole.

Se siamo convinti che l’esame non andrà bene basterà leggere (o ascoltare) la domanda, rintracciare la virgola che confermi la credenza, e rinunciare a qualsiasi tentativo di riuscita.

Di contro, se la convinzione è di essere preparati e di passare l’esame, si farà appello a tutte le  proprie risorse pur di confermarla e ottenere un risultato positivo.

Da cosa deriva la profezia che si autoavvera?

Tutti possediamo un bagaglio di nozioni e convinzioni introiettate ed altrettante esperienze vissute, che influenzano il modo in cui percepiamo noi stessi, gli altri e le situazioni che viviamo, e che guidano i nostri comportamenti.

Siamo convinti di queste idee e ci comportiamo in loro funzione, anche se negative e causa di grosse difficoltà.

Ciò avviene perché le persone, chi più chi meno, lottano costantemente per aver ragione, per confermare ciò in cui credono, nel bene e nel male. Anche se causa della propria insoddisfazione e infelicità.

La profezia che si auto avvera si applica a tutte le convinzioni e le azioni che popolano il nostro vissuto quotidiano, anche all’abbigliamento.

Le credenze connesse al significato simbolico dei vestiti infatti possono influenzare emozioni, processi cognitivi, e di conseguenza, il risultato delle azioni.

Come altri mezzi a nostra disposizione, anche i vestiti sono partecipi del processo che avviamo per confermare le nostre idee e pilotare gli eventi.

Ad esempio, immaginate di dover andare ad un appuntamento romantico. Se il pensiero guidante è “questo incontro sarà bellissimo” farete di tutto perché ciò avvenga. Indosserete l’abito più bello, che esalta le vostre qualità e vi fa sentire a vostro agio, sicuræ di voi. 

Con esso indosserete anche un atteggiamento positivo e propositivo; vi spoglierete di parte delle vostre difese e cercherete in ogni modo di vivere positivamente l’appuntamento.

Ed anche se dovesse tradire le aspettative, attribuirete l’esito a fattori esterni da voi; non lo considererete un fallimento personale.   

Al contrario, se l’idea di partenza è “sarà un’altro incontro fallimentare, inutile anche presentarsi”con molta probabilità porrete le condizioni perché sia così. 

Non curerete la vostra immagine, sceglierete l’abito che vi trasmette un arsenale di bad vibes, non sarete brillanti e simpatichæ, anzi di sicuro annoiatæ e annoianti. La serata terminerà proprio come vi aspettavate. E tornerete a casa dicendo “lo sapevo, non va mai bene niente”, innalzando ulteriori resistenze alla vostra realizzazione personale e relazionale.

Lo stesso può succedere nel caso di un colloquio di lavoro.

Se la credenza è che andrà male, l’atteggiamento sarà quello di chi non ha interesse nell’essere assunto: si sceglierà un outfit che comunica resa o che provoca ostilità nell’intervistatore e si agirà in maniera disinteressata e superficiale.

Se invece si è convinti di essere adatti per quella posizione e di poterla ottenere ci si comporterà esattamente al contrario: il look sarà curato nel minimo dettaglio, studiato per presentare la versione migliore di sé; si investiranno tempo ed energie per prepararsi al colloquio e ci si presenterà quel giorno con la giusta armatura e sicuræ di sé.

Bisogna essere consapevoli, dunque riconoscere gli schemi disfunzionali che si mettono in atto,  prendere le distanze da essi e considerarli come delle opzioni, non come obblighi. Quindi bisogna assumersi la responsabilità della scelta che facciamo dei nostri comportamenti e dei loro esiti. 

Anche nel caso della profezia che si auto avvera le ancore salvifiche sono due: consapevolezza e responsabilità. 

Convinzioni, esperienze pregresse, proiezioni degli altri, possono essere messi in discussione , modificati e/o sostituiti con credenze e comportamenti funzionali e positivi. 

A noi la scelta.

Dott.ssa Anastasia Giangrande

Psicologa e Psicoterapeuta in formazione a Milano

mail. anastasia.giangrande@gmail.com – IG. @thefashiontherapist

Per Approfondire

fonte: lopsicologoonline.com

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