Donne vittime di tratta
Parole in viaggio

Illustrazione di Guen Ravazzoni del Libro “E sono andata via” di “Il viandante editore”

Opportunità. Lascio il mio paese semplicemente per questa parola. Il mio paese è bello, vivevo con i nonni in campagna, ma un’amica benestante di mia zia aveva bisogno di me all’estero e io ho accettato. ‘Estero’ è una parola che affascina e spaventa, ha due volti. Io, ho incontrato quello sbagliato.

Penso all’aereo che devo prendere, all’esotico, alla parola opportunità. Una settimana di cambi di autobus, di incertezza e di polvere, mi ritrovo vicino la Libia, delle persone con un copricapo iniziano a smistarci. Mi addormento, distrutta.

Oggi è un altro giorno, scopro che ci sono ritardi, che l’aereo che avrei dovuto prendere non c’è. L’esotico svanisce e appare una donna: ‘se vuoi attraversare, devi pagare 30.000 dirham’. Io non le credo, ma piano piano apprendo che è tutto vero e che avrei potuto saldare la quota grazie a un lavoro che avrebbero trovato per me. Mi hanno condotta in una casa con una recinzione.

Gli uomini da una parte, le donne dall’altra. Le donne bevevano e fumavano, si prostituivano, erano sicure di sé o per lo meno così sembrava. Io volevo solo tornare a casa ma, anche scegliendo la strada del ritorno, avrei dovuto pagare la somma di denaro richiesta. Se non avessi fatto come dicevano, avrebbero depilato le mie parti intime e divulgato le foto di me nuda. Chi sono? Perché? Il terrore si mescola alla vergogna. Otto lunghi mesi, bloccata, senza andare né avanti, né indietro. La parola opportunità si trasforma in una trappola. Ho paura. Faccio la prostituta contro ogni mia volontà.

Non mi viene concesso di tornare indietro, il mio paese è più lontano, costa di più, posso solo proseguire verso l’Europa. Tornare indietro non si può, la mia voce potrebbe rompere le loro azioni, diventare pericolosa, mentre io tremo solo di paura e non so più chi sono. Ci caricano su un barcone ma, dal nulla, nel nulla, ci fanno tornare indietro e finisco in prigione. Sei mesi di carcere, resto incinta. La maman torna su di me, mi dà una pillola per farmi abortire e resto altri quattro mesi in Libia, vuota, in silenzio, gli occhi assenti.

Intorno a me, lei (la maman), gli asma boys, la polizia. Forti, organizzati, invincibili. Mi spediscono su un barcone, riproviamo la traversata: ragazze, ragazzi, ci sono pure i bambini. Una nave non italiana ci intercetta, prego senza respirare. Ci portano in Sicilia, veniamo accolti bene, ci forniscono un cambio, piano piano, esco dall’apnea, sento il sangue scorrere dentro le vene, denso, avvelenato, riprendere il suo corso. Sono passati due anni, la mia famiglia non ha notizie di me. Tra l’abuso e il diniego, di notte, ho abbracciato la campagna dove vivevo con i nonni. Arrivo a Napoli. Riesco a dire ai miei cari che sono viva, racconto loro la mia storia, cosa ho passato e mia zia denuncia la sua amica, che viene scagionata perché benestante e ha contatti. Napoli ha delle sorprese per me: il pocket money e il lavoro nel ristorante africano mi rendono autonoma, perdo per le strade di una città nuova le scorie. Il chiasso e il camminare libera lavano le mie ferite. Quelli napoletani sono due anni di ricostruzione, per ritrovare me. A poco a poco sento di riprendere il controllo della mia vita.

Oggi vivo in Abruzzo con il mio ragazzo, lavoro come assistente familiare, il mio lavoro mi piace. La parola opportunità, a caro prezzo, si è trasformata ma, oggi, non voglio voltarmi indietro, non più.

Racconto Trappola – Tratto dal Libro “E sono andata via” – Edizione “il viandante” – Testi Michele Di Conzo

Questo libro, a cui abbiamo potuto partecipare nella stesura, mediante la raccolta delle storie, nasce dall’esperienza vissuta e condivisa del progetto “D-HUB – Parole in Viaggio”.

Un progetto corale, che trova protagoniste le donne, viaggiatrici, migranti.

All’interno del libro ritroviamo le loro parole, i loro sguardi e le loro mani contratte, ma anche i loro tratti decisi, le loro sfumature, le loro cadute e riprese. Leggendo questo libro, sarà viva per le lettrici e i lettori l’esperienza del viaggio tra i racconti e le illustrazioni rappresentanti la storia di vita di ognuna delle donne intervistate.

Le interviste nascono, dunque, come raccolta della loro storia.

Nell’ascolto ci imbattiamo nei loro occhi che ci riportano a momenti bui e oscuri, a strappi e separazioni, a terrori e speranze.

Ci raccontano la loro storia con tanti non detti e molti impliciti nei propri silenzi troppo violenti da raccontare, altre volte il racconto lo estirpano come un dente marcio e ce lo gettano addosso senza volerci più avere a che fare, molte volte sono accompagnate da lacrime e occhi lucidi per le perdite subite, dentro e fuori. Quasi sempre il racconto è accompagnato dalla rabbia, soprattutto verso gli uomini sfruttatori, manipolatori, mentitori. Abbiamo raccolto queste storie e, attraverso le parole, le abbiamo trasformate in racconti; attraverso l’arte, in illustrazioni.

Ecco dunque una delle nove storie (2. Trappola) che, come i nove mesi di una gravidanza, ci inducono a sostare nei loro mondi interiori. Sono racconti individuali che, intrecciati alle illustrazioni, formano un racconto polifonico, collettivo, di entità altra, femminile e migrante che perde la propria identità individuale, per incontrare quella di un gruppo che si muove, soffre, gioisce e vive: l’umanità.

Illustrazione di Guen Ravazzoni del Libro “E sono andata via” di “Il viandante editore”

“Mafia”, “Camorra”, “’Ndrangheta”, in Italia la conosciamo con diversi nomi, tante terminologie per indicare un’unica cosa: un’organizzazione criminale basata su violenza e omertà. Secondo i vari stereotipi – rafforzati anche da diversi fatti storici susseguitesi negli anni – le organizzazioni mafiose sono spesso associate all’Italia. Tuttavia, purtroppo, organizzazioni delinquenziali di questo calibro sono diffuse ovunque nel mondo, dall’IRA Irlandese, alla Yakuza Giapponese.

Nel territorio del Mediterraneo è tristemente conosciuto il gruppo armato degli “Asma Boys”, colpevole di rapimenti, maltrattamenti e nel territorio Libico. Molti si soffermano solo sulla questione dei salvataggi in mare e dell’arrivo degli immigrati sulle coste italiane, ma pochi sanno quanto sia difficile e soprattutto pericolosa la situazione in Libia. Tante ragazze e ragazzi immigrati raccontano infatti di aver avuto a che fare con gli Asma Boys, solitamente prima di potersi imbarcare in maniera assai precaria su una barca diretta verso l’Europa: i giovani vengono rinchiusi in prigioni sovraffollate e lasciati senza cibo né acqua per giornate intere, mentre vengono torturati. Questa situazione può durare anche diversi mesi, e termina solo nel momento in cui genitori, parenti o conoscenti riescono a mettere insieme la somma di denaro del riscatto richiesto. Spesso però capita che alcuni giovani non abbiano collegamenti, quindi al fine di raggiungere la quota – che può arrivare fino a migliaia di euro – sono costretti dai membri dell’organizzazione a prostituirsi per mesi contro la propria volontà.

Per capire bene il fenomeno dello sfruttamento sessuale, nello specifico nei confronti delle donne Nigeriane, dobbiamo prima sapere cos’è la tratta degli esseri umani.

Nel fenomeno della tratta di persone c’è sempre l’uso dell’inganno così come possiamo dedurre dall’articolo numero 3 del Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite : “tratta di persone che indica il reclutamento, trasporto, trasferimento, l’ospitare o accogliere persone, tramite l’impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme di denaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi”.

Le torture subite quotidianamente per diversi mesi spesso portano a condizioni croniche sia a livello organico che psicologico, mente e corpo vengono sottoposti a terribili atrocità e questo ha chiaramente delle conseguenze: alcuni testi scientifici sottolineano come queste ripetute violenze possano condurre ad un’insorgenza di disturbi dello spettro post-traumatico e/o depressivo, condizione molto simile a quella che si presenta nei reduci di guerra. A questo si sommano gli stereotipi e i pregiudizi che spesso li accolgono al termine di questo estenuante viaggio.

Varie ricerche mostrano che le donne vittime della tratta esperiscano molti sintomi come abuso di sostanze psicoattive e dipendenza  reazioni psicosomatiche, aggressività e ostilità, reazioni psicologiche e conseguenze psicofisiche di malattie sessualmente trasmissibili. Il trauma vissuto dalle vittime della tratta include ansia, depressione, alienazione, disorientamento, aggressività, ostilità, ideazione suicidaria, deficit di attenzione e disturbo da stress post-traumatico

La salute mentale è forse la dimensione sanitaria più dominante nei casi di tratta di esseri umani a causa del profondo danno psicologico causato dai vari eventi traumatici e dai comuni disturbi somatici che spesso si traducono in dolore o disfunzione fisica. Tra i sintomi maggiormente rilevati, vi è la depressione, il disturbo post-traumatico da stress (PTSD) e l’ansia. Pochi studi analizzano altri aspetti, quali l’ostilità, l’ideazione suicidaria. Ad esempio, la depressione viene spesso rilevata tra coloro che sono state abusate sessualmente.

Per questo motivo, data la precaria e difficile condizione psicologica con cui queste persone arrivano sulle coste europee, sarebbe opportuno investire adeguatamente su percorsi riabilitativi che vadano a contenere le loro angosce. L’obiettivo primario sarebbe reinserirli in un contesto sociale accogliente, accrescere il loro senso di autostima e autoefficacia e ristabilire una fiducia verso quello stesso genere umano da cui si sono sentiti traditi.

Ci sono tematiche fondamentali riguardo le conoscenze e le caratteristiche che gli psicologi che lavorano con le donne vittime della tratta devono possedere come ad esempio essere formati e preparati nel lavoro con persone che hanno subito traumi sessuali e interpersonali.


Diviene necessario prestare attenzione alle esperienze di vita dei migranti, vittime di tratta, per comprendere il loro background sociopolitico, culturale, storico ma anche i traumi pre-migrazione, l’adattamento psicosociale, il loro sistema di valori e morali e le esperienze di discriminazione. Secondo Bemak e Chung (2002) i servizi di supporto rivolti verso queste popolazioni dovrebbe includere una psico-educazione sulla salute mentale, la psicoterapia, l’empowerment culturale e l’integrazione dei metodi di guarigione indigeni e occidentali. Tali livelli dei servizi devono essere interconnessi e utilizzati contemporaneamente con la presenza di mediatori linguistici e culturali, molto spesso assenti nei servizi pubblici di prima assistenza, come ad esempio la questura e gli ospedali.

L’assistenza socio-psicologica è fondamentale per una presa in carico delle donne vittime della tratta di esseri umani ed è fondamentale che ci sia un supporto psicologico culturalmente e linguisticamente appropriato assieme a servizi mirati a prendere provvedimenti riguardo la loro insicurezza economica, sociale e legale. Infine, è importante comprendere meglio come i complessi e gravi effetti delle forme di violenza e di coercizione impattano la salute mentale per poter costruire piani di assistenza adeguati per le donne vittime della tratta di esseri umani.

Articolo a cura della Dott.ssa Ottavia Fasciano

Psicologa Clinica e della Salute

e del Dott. Dario Maggipinto

Psicologo Clinico e Psicoterapeuta

Per Approfondire:

https://www.edizioniilviandante.it/libri-autori/e-sono-andata-via/

https://www.osservatoriodiritti.it/2017/05/16/inferno-libia-storie-migranti/

https://crprotezioneinternazionale.files.wordpress.com/2017/10/libia-e28093-gruppo-e2809casma-boyse2809d.pdf

– Bemak, F & Chung, R.C. (2002). Counseling and psychotherapy with refugees. In Pedersen, P.B., Draguns, J.G., Lonner, W.J. & Trimble, J.E. (Eds.), Counseling across cultures (2nd ed.). pp. 209-232. Thousand Oaks: Sage.

– La mafia nigeriana. Origini e ascesa della piovra nera | Rivista Africa (africarivista.it)



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