La vecchiaia oggi. Quando l’anziano ritorna feto

Nel corso degli ultimi decenni, la società umana economicamente avanzata ha subito un enorme salto in avanti dal punto di vista tecnologico. Ogni aspetto dell’ambito umano ha dunque goduto di questa evoluzione, dalla comunicazione ai trasporti, dall’edilizia alla sanità. Questo notevole salto in avanti pone l’essere umano dinanzi ad un quesito etico, rappresentato in molti film cinematografici, ossia come la tecnica influenzi o sovrasti l’uomo. Possiamo affermare che ad oggi non è più l’uomo che ha potere sulla tecnica. Galimberti afferma che non vi è più l’utilizzo della tecnica per i propri fini, bensì il contrario: sono gli scopi che vengono modellati intorno alle nuove tecniche ( si rimanda all’articolo Psicopatologia della società moderna – Figli del materialismo). C’è dunque un crollo della finalità autentica dell’uomo, che comporta a livello generale una crisi identitaria, compensata dalle mille foto caricate online per modellare, attraverso la tecnica, un’identità fittizia, un falso sé virtuale: un avatar composto da come vorremmo essere percepiti dall’altro ( si rimanda agli articoli Il Falso Sé – Modellati nell’ambizione e Il Falso Sè – Sul sentimento di autenticità).

L’avvento della veloce tecnologia ha spinto la società a concentrarsi sempre di più sulla quantità, piuttosto che sulla qualità, e, come afferma Giacobbi, anche sulla vita umana ci ritroviamo a concentrarci sul mantenere in vita il più a lungo possibile un nostro caro, arrivando anche a 100 anni, tralasciando però tutto l’aspetto della qualità della vita. È sempre più comune vedere anziani stremati, senza coscienza ne stimoli, completamente inermi, mantenuti in vita solo per un proprio obbligo morale, perché ora, mediante la tecnica medica, è possibile diventare facilmente centenari, ma senza compensare il tutto con un miglioramento adeguato della qualità della vita: si perde dunque il fine, perché sono in vita?

Ovviamente questi sono quesiti etici molto importanti, quanto delicati. Senza ovviamente augurare la morte di nessun anziano, è auspicabile invece concentrarci su come questa medicalizzazione avanzata abbia portato ad un fenomeno che Giacobbi definisce “fetalizzazione” o “società fetalizzata”, laddove, appunto, l’anziano si ritrova a subire un sostegno e delle cure a 360 gradi, come appunto un feto o un bambino appena nato. Tale processo di fetalizzazione crea uno scenario drammatico rispetto all’avvento della morte. Mentre in passato i propri cari morivano in casa, con un tempo annunciato dal medico ( il famoso “ ha un mese di vita”) e i propri familiari intorno al letto del morente che ritualizzavano ed elaboravano la morte come un evento famigliare che sanciva un percorso doveroso della vita, ora la morte viene sempre più allontanata da evento naturale che permette di creare uno spazio per nuove nascite, ed i famigliari, i cosiddetti caregiver ( si rimanda all’articolo Il Caregiver – Quando la famiglia cura) si ritrovano a spendere gran parte della propria vita per sostenere il proprio caro fetalizzato e, il momento del decesso viene vissuto in ospedale, privando i famigliari di ogni aspetto rituale, vivendolo talvolta come una perdita angosciante, fredda e sterile come le stanze d’ospedale. Ovviamente non auspico di tornare al passato, dove la medicina non avanzata impediva il più delle volte di riconoscere le cause di un malanno, ma mi preme sottolineare come l’avanzamento della tecnica abbia sconvolto il nostro modo di vivere, e mettere in luce come “ossessionati” dalla quantità, perdiamo sempre più di vista la qualità della vita. L’anziano perde il suo archetipo Junghiano del “Senex”, il saggio, diventando un eterno giovane fino all’arrivo di una vecchiaia fetalizzante. Dinanzi al sopraggiungere della vecchiaia, l’anziano inizia a guardare al passato, terrorizzato dal proprio futuro, con ipotetiche infermità o patologie mortali. L’anziano diviene estremamente vulnerabile allo stress, sia da cause ambientali che relazionali. Sempre in riferimento all’attenzione sulla qualità della vita, comprendiamo come nessuno dovrebbe essere lasciato da solo a fronteggiare i problemi dell’età che avanza e le tematiche riguardanti la morte. La solitudine svuota di senso le giornate – il potenziale “tempo libero” tende ad essere percepito come “vuoto” – innescando o alimentando un disagio psicologico che può sfociare in ansia e depressione.
In un’ottica di resilienza ( si rimanda all’articolo Resilienza – I veri eroi sono quelli che resistono ), l’anziano ha bisogno di avere accanto una sorta di “tutore di resilienza”- una figura affettivamente significativa (un parente, un amico, uno psicoterapeuta, un operatore assistenziale, od un semplice volontario) – che ascolti la sua storia colmando eventualmente le lacune esistenti, o che gli rammenti il suo vissuto, tante e più volte, per mantenere viva una traccia, conservare un ricordo. Si ipotizza che un ambiente a “bassa emotività espressa” dove l’atteggiamento prevalente verso l’anziano comprenda accettazione ed empatia con adattamento flessibile alle richieste ed ai bisogni espressi, direttamente o indirettamente, sia “protettivo” nei confronti della salute psicologica dell’anziano.  Solo mediante una attenta stimolazione emotiva, mediante l’ascolto, i sorrisi e i ricordi di ciò che si è, può permettere di ridonare un colore ed una degna qualità di vita alla persona anziana, cercando di contrapporsi ad un’idea della vita basata unicamente sui numeri, la produttività e la quantità; ma se ci pensiamo bene, tutto ciò non è valido soltanto per la persona anziana, bensì per la persona umana.

Dott. Dario Maggipinto

Riceve su appuntamento a Chieti

(+39) 334 9428501

dario.maggipinto@gmail.com

Per Approfondire

Giacobbi Secondi (2013) “Vecchiaia e morte nella società fetalizzata”

Galimberti Umberto (2002) ” Psiche e Techne. L’uomo nell’età della tecnica”

Guenon REne (1945) ” Il regno della quantità e i segni dei tempi”

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