Hikikomori
L’isolamento “volontario”
Nonostante non venga catalogato come disturbo psichiatrico nel DSM-5, la sindrome di Hikikomori
è una problematica dilagante nella società odierna.
Si tratta di una sindrome che colpisce i giovani, caratterizzata dall’isolamento sociale del tutto
volontario; osservata e studiata primariamente in Oriente.
I giovani colpiti da questo disturbo, sono orientati a ritirarsi socialmente, isolarsi nelle proprie
camere, anche per più di sei mesi. Le uniche relazioni che intraprendono sono relazioni online,
effimere.
Nei casi in cui la patologia è avanzata, il soggetto tende a isolarsi anche dai propri genitori,
sigilla le finestre, rimane completamente al buio. Possiamo quindi definire questa patologia non solo
una malattia psichiatrica, ma anche sociale. E come tutte le malattie, presenta dei sintomi, come:
- Disturbi dell’ansia
- Disturbi dell’umore
- Disturbi psicotici
- Fobia sociale
Il soggetto inizia a manifestare i primi sintomi con un’assenza scolastica prolungata, per poi isolarsi
dai vari ambienti sociali che frequenta normalmente, come palestre, parrocchie, centri ricreativi,
gruppo dei pari.
Secondo stime non ufficiali, sono circa 100 mila gli hikikomori tra i 14 e i 30 anni presenti in Italia e
dato il numero sempre più in crescita, gruppi di psichiatri e studiosi, stanno mettendo a punto tecniche di rilevazione della patologia. Un esempio è il questionario Hikikomori Risk Inventory (HRI-
24), in cui vengono sottoposte domande inerenti alle aree colpite dal disagio, come l’agorafobia, paranoia, depressione; in base alle risposte ottenute si calcola un punteggio da 1 a 5.
Essendo, come detto precedentemente, una malattia psichiatrica ma anche sociale, l’intervento
terapeutico per curarla può essere differente e molteplice. Per curare la mattia dal punto di vista
psichiatrico ci sono terapie farmacologiche, eventualmente ricoveri presso servizi ospedalizzati nel
caso subentrino disturbi quali schizofrenia, fobie, comportamenti ossessivi-compulsivi. Dal punto di
vista sociale, invece, gruppi di ascolto, sedute psicoterapiche individuali ma anche familiari; utile
può essere la pet therapy, in quanto ci si prende cura di un animale, ci si rende conto di essere utile
agli altri.
Fondamentale è ricreare con il giovane, il confronto diretto, il contatto umano, che il giovane aveva
preferito allontanare; bisogna far sì che il giovane si riscopra come fonte di benessere, permettere
la crescita dell’autostima. Per questo è importante il ruolo degli educatori, della scuola, dei genitori
e, quando serve, di esperti, che attraverso terapie possono aiutare gli hikikomori a uscire dalla
patologia, per esempio attraverso la terapia motivazionale.
Frase tipica di chi soffre di questo disturbo è “io sto bene da solo/a”; ma quanto è vero? Quanto si
può stare bene lontano da tutti, lontano dai propri cari, parenti, genitori, amici; star bene solo con
strumenti tecnologici governati e manipolati dal soggetto stesso?
Le principali cause possono essere uno dei genitori assente, oppure il giovane è vittima di bullismo,
ansia sociale, ha paura di essere giudicato, troppa pressione da parte dei genitori all’interno delle
mura domestiche. Anche l’avvento dei videogiochi, le nuove tecnologie, hanno dato il loro
contributo alla crescita del fenomeno.
Tutti campanelli d’allarme che, gestiti e curati in tempo, possono evitare questa patologia e
permetterebbero ai giovani di vivere serenamente la loro età.
Dott.ssa Fiorentino Marianna
Assistente sociale