Drugs
Farmaci e droghe in Psicoterapia

Accattivat* da questo titolo? Effettivamente la parola “drugs” che somiglia molto all’italiano “droghe” suscita numerose fantasie in ciascun* di noi. Eppure il “drugs” anglosassone è una macro categoria che contiene due termini che in Italia ci guardiamo bene dall’integrare: la categoria di quelli che chiamiamo farmaci e la categoria delle droghe.

Il bisogno tutto italiano di separare queste due categorie, quasi a volerle far rientrare nelle dimensioni binarie di buono (ovviamente farmaci) e cattivo (ovviamente droghe), ha a che vedere con il bisogno culturale di classificare suggerendo un giudizio di valore alla categoria, associato peraltro al concetto di legalità versus illegalità.

Di fatto stiamo parlando di sostanze che hanno un effetto che altera la nostra situazione fisiologica e che può avere effetti differenti. Noi consideriamo positivi gli effetti curativi di una sostanza (es: il paracetamolo che mi fa abbassare la febbre) e negativi i “side-effect” della stessa (es: problemi gastrointestinali spesso causati dagli antibiotici di cui si fa uso senza un gastro-protettore). Ma se andiamo alla categoria da noi definita “droghe”, anche qui possiamo trovare effetti curativi (es: la cannabis che dal 2006 può essere prescritta medicalmente in Italia per alleviare il dolore legato a patologie croniche) ed effetti collaterali negativi, dove la prima cosa che viene alla mente è la cosiddetta sindrome da astinenza causata da alcune sostanze che inducono dipendenza). Ma la dipendenza riguarda solo quelle che noi chiamiamo droghe?

Pensiamo ad esempio che nell’ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM 5) è stata codificata la “Sindrome da astinenza da caffeina”. Consideriamo forse il caffè o il tè delle droghe? E lo zucchero?

Oppure pensiamo per esempio all’alcol e alla nicotina. Non sono forse sostanze che possono indurre dipendenza con dei “side effect” che potrebbero risultare spiacevoli tanto quanto quelli delle cosiddette droghe? Recentemente i media hanno affrontato il tema della cancerogenicità dell’alcol in quanto, secondo le nuove normative internazionali, va indicato il fattore di rischio in una scala identificata dall’International Agency Research in Cancer (IARC) sull’etichetta di ogni prodotto di consumo alimentare e la lobby del vino si è opposta a questa decisione. Tutto questo per sottolineare come sia difficile definire in termini assoluti il valore di una sostanza perché questo ha a che vedere con il momento storico e la cultura d’appartenenza, e dove si sceglie di tracciare il confine tra buono e cattivo, legale e illegale. In fondo il termine greco “pharmakon” raccoglieva già questa ambiguità: poteva avere il duplice significato di medicina o di veleno.

E a proposito di dimensione culturale…

In Nuova Zelanda c’è una proposta di legge per vietare la vendita di sigarette alle persone nate dopo il 2008.

Nella chiesa nativa americana si fa uso controllato di peyote per connettere l’essere umano alla dimensione gruppale e divina, mentre l’alcol è vietato. Così come è vietato in molte culture con prevalenza di religione islamica.

Insomma, come possiamo comprendere da questi pochi esempi, bene e male sono due concetti estremamente relativi. Ed è in questo contesto di relatività che vorrei introdurre il tema di questo articolo (so che il tema delle sostanze è accattivante e potrebbe prendere molto altro spazio, consiglio pertanto alle persone interessate di consultare la bibliografia in calce): gli usi terapeutici di farmaci e droghe. 

Non abbiamo bisogno di affrontare il tema della psicofarmacologia, giusto? Numerose evidenze scientifiche sottolineano come questi farmaci psicoattivi (quindi sostanze psicotrope legali) abbiamo un effetto comprovato sul miglioramento di alcuni disturbi psicologici e psichiatrici (es: ansiolitici, antidepressivi, antipsicotici…). 

Anche il potenziale degli psichedelici era noto sin dagli anni Cinquanta, ma il proibizionismo instaurato da Nixon contribuì a classificare queste sostanze come “droghe” e a spostare il loro commercio nel “mercato nero”.

Quanto all’uso delle cosiddette droghe psichedeliche, “si va dalla facilitazione dell’accettazione della morte nei malati terminali (il primo esperimento approvato, nel 2008), alla cura delle dipendenze (già testata con successo negli anni Sessanta); dal trattamento di ansia e depressione all’uso in psicoterapia; dalla cura della cefalea a grappolo fino a nuovi possibili impieghi -in virtù della capacità psichedelica di stimolare neuroplasticità e neurogenesi- nel recupero di chi ha subito un ictus o nell’ alleviamento dei disturbi dello spettro autistico. A tutto ciò si aggiungono gli studi sull’Mdma contro il disordine da stress post traumatico e sulla ketamina contro la depressione resistente a trattamenti: due sostanze non precisamente psichedeliche ma da sempre facenti parti della farmacopea di raver e hippie.” (Da “Cos’è il Rinascimento Psichedelico” di Gianni Santoni in “Cose spiegate bene – Le droghe in sostanza”, p.238).

Vorrei fare un affondo sull’uso dell’Mdma nel disturbo post-traumatico da stress che, soprattutto negli Stati Uniti, grazie al programma chiamato Expanded Access della Federal Drug Administration (FDA), ha portato all’apertura di vedere e proprie “cliniche di retreat” che anziché proporre yoga e meditazione nella natura (o magari anche questo!), offrono un uso supervisionato da personale medico di Mdma in casi gravi di disturbi da stress post-traumatico.

A tal proposito suggerisco la visione della serie tv non così distopica “Nine perfect strangers” che racconta l’esperienza di “nove perfetti sconosciuti” in una clinica di questo tipo nelle colline californiane. 

L’Mdma sembra indurre una serie di cambiamenti nel cervello riducendo l’attività dell’ amigdala, aumentando l’attività della corteccia prefrontale e incrementando le connessioni tra l’amigdala e l’ippocampo al fine di lasciare i ricordi traumatici nel passato nella memoria a breve termine e non più “in evidenza”, come accade per i traumi non elaborati.

Dunque, questo breve pezzo divulgativo non è un manifesto a favore dell’uso delle sostanze psichedeliche o altre sostanze affini in ambito terapeutico, né tantomeno si arroga il diritto di trattare in maniera esaustiva un tema così ampio e complesso, ma vuole stimolare la curiosità nei confronti del progresso in psicoterapia e delle tante applicazioni che a volte vanno oltre quello che credevamo possibile. Nell’ottica di avere sempre più strumenti per migliorare la salute mentale complessiva della popolazione, mi viene da concludere: monitoriamo! Cercherò di tenere aggiornata una rubrica sulle diverse evidenze scientifiche in questo campo che emergeranno nei prossimi anni.


Per approfondire

Cose spiegate bene. Le droghe, in sostanza (2022) di Ludovica Lugli (a cura di), Paolo Nencini (a cura di), Paolo Bacilieri (Illustratore)
Terapie psichedeliche (2019) di Adriana D’Arienzo e Giorgio Samorini

droghe; sostanze psichedeliche; farmaci; drugs; psicofarmaci; psicoterapia; mdma; trauma

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Contattaci

Newsletter


Seguici


I contenuti presenti sul blog "ilsigarodifreud.com" dei quali sono autori i proprietari del sito non possono essere copiati,riprodotti,pubblicati o redistribuiti perché appartenenti agli autori stessi.  E’ vietata la copia e la riproduzione dei contenuti in qualsiasi modo o forma.  E’ vietata la pubblicazione e la redistribuzione dei contenuti non autorizzata espressamente dagli autori.


Copyright © 2010 - 2022 ilsigarodifreud.it by Giulia Radi. All rights reserved - Privacy Policy - Design by Cali Agency