Casa dolce casa
Il bisogno di confini e intimità

Nessun posto è bello come casa mia”  – Il Mago di Oz

l Mago di Oz è un film della mia infanzia.

Il viaggio onirico di Dorothy e il suo Totò alla ricerca di un modo magico per esaudire il più grande desiderio mai provato: tornare a casa. Centrifugata da un tornado, persa in un luogo sconosciuto e fantastico, perseguitata da una strega cattiva e insieme a tre fantastici compagni di viaggio, Dorothy scopre che tutto ciò che cerca è semplicemente dentro di lei. La sua casa, sinonimo di famiglia, la porta sempre con sé ovunque vada. Svegliarsi con una nuova consapevolezza che profuma di affetti e, soprattutto, di costanza di affetti è il finale migliore, che supera lo stupore di qualunque magia possibile.

Ovunque tu sia, è casa mia, la mia unica casa”  – Charlotte Brontë – in Jane Eyre

La casa è fatta di affetti, calore, abitudini, certezze, dinamiche conosciute e rassicuranti. Rappresenta, nell’inconscio collettivo, il luogo dell’intimità e dei desideri più grandi. È così per ogni cultura: appartamento, loft, igloo o capanna che sia, la casa è un posto sicuro.

Sappiamo che per molti, soprattutto per molte, casa non significa in realtà sicurezza, rispetto e amore, ma gabbia, pericolo e violenza. Non affronterò in questa sede la tematica della violenza, a cui è necessario aver dedicato e continuare a dedicare spazi specifici di approfondimento e analisi. Farò invece appello alle costruzioni psicologiche, culturali e sociali condivise, che ci spingono a desiderare un luogo sicuro e a lottare per tutelare il diritto di tutti all’intimità e alla sicurezza.

In psicoanalisi, la casa è una sostituzione del ventre materno, ovvero il primo luogo sicuro in assoluto. A livello intrapsichico, desideriamo una casa che ci dia la stessa protezione che abbiamo sperimentato nella vita intrauterina, ricerchiamo quell’agio e quella sicurezza.

La casa ha una funzione di contenimento, secondo Eiguer.

Casa = dentro; tutto il resto = fuori.

Dentro = certo e buono; fuori = incerto e potenzialmente pericoloso o invadente.

Queste equivalenze sottolineano il bisogno umano di distinguere la vita intima, dalla vita pubblica.

Il bisogno sano di confini.

La casa è dunque uno spazio fisico che custodisce simboli e significati. Viene interpretato come riflesso del nostro mondo interiore: la sua architettura rispecchia la nostra architettura interna e parla di come ci relazioniamo, come condividiamo e come sappiamo stabilire confini. Le porte, le finestre, le mura… sono elementi che creano confini e costituiscono spazi di intimità e condivisione in un contesto nato come indifferenziato; se e come questi elementi arricchiscono la nostra casa, fa la differenza.

Non  è raro ascoltare pazienti intrisi in dinamiche familiari patologiche che, nella descrizione della propria casa, rappresentino una totale assenza di confini: bagni senza porte o chiavi alle porte, stanze grandi in condivisione, assenza di elettrodomestici vitali o di elettricità, assenza di letti… insomma, pazienti che vivono “in una casa molto carina, senza soffitto, senza cucina.. in via dei matti n. 0”.

Anche il “disegno della casa” di un bambino, usato come test proiettivo, fornisce importanti elementi di valutazione relativi alla propria personalità e alle dinamiche familiari.

La casa, nella sua totalità, simboleggia un confine concreto e psichico: è “una pelle psichica” attraverso cui cerchiamo di tutelarci da alcune dinamiche del mondo esterno e custodiamo in maniera autentica la nostra identità.

Casa è la più perfetta espressione del sé” – Olivier Marc

La nostra casa ci identifica.

In un’ottica maggiormente sociale, è bene soffermarsi su come la società e le mode architettoniche del momento condizionino il nostro vivere. Gli ingressi e i grandi corridoi delle case di un tempo nascevano come spazi di transizione fra il fuori e il dentro, luoghi che permettevano e sottolineavano il passaggio (anche psichico) da un contesto pubblico a un contesto intimo, privato. L’architettura odierna, figlia di una società moderna e liquida, ha rinunciato a questi spazi di transizione in virtù di luoghi openspace, dove viene favorita la confusione, l’indifferenziato in cui l’uomo moderno galleggia.

Anche le recenti esigenze mondiali hanno letteralmente colpito il bisogno condiviso di intimità. La pandemia da COVID-19 e le conseguenti restrizioni, hanno reso lo stare a casa una restrizione, un dovere e trasformato l’intimità in spazi da condividere con l’esterno.

Il tempo vissuto in casa è diventato anche il tempo del lavoro e delle lezioni scolastiche online. Ci siamo trovati a muoverci all’interno delle abitazioni nella spasmodica ricerca di angoli protetti da intrusioni di familiari e animali domestici, a tutela della nostra privacy. Quei luoghi in cui prima dormivamo, leggevamo un libro e, talvolta, ci rilassavamo sotto la doccia sono diventati lentamente terreno di tutti. La camera da letto, la cucina, i bagni come aule di scuola, uffici virtuali o la stanza dello psicologo.

Il mezzo virtuale ha permesso il totale annientamento della distinzione necessaria tra il dentro e il fuori, invaso i nostri spazi intimi permettendo comunicazioni impossibili e riducendo al minimo il desiderio di comunicare con i nostri familiari, con coloro che erano lì, in presenza. Il privato, come nei migliori documentari sui social network, è lentamente diventato pubblico.

La casa ideale –da lockdown e non – è l’abitazione che conserva spazi di tutela della privacy che garantiscano la possibilità di isolarsi, ma offre anche luoghi di condivisione, non esclusivi ed escludenti.  

È bene lavorare per la costruzione di contesti di privacy nelle nostre abitazioni, che parlino solo di noi e di spazi di condivisione che raccontino della famiglia.

Arricchiamo gli spazi con un arredamento che ci faccia stare bene. I bambini lo fanno con i giochi o con i disegni, gli adolescenti con i poster dei beniamini famosi, noi possiamo trovare il nostro modo di donare calore alla nostra casa, alla nostra famiglia e a noi. A volte anche solo un quadro o una foto, fa la differenza.

Un’ultima riflessione: proviamo a non mettere mai in secondo piano il valore del nostro tempo.

Anche se nei prossimi giorni dovessimo passare in casa più tempo del previsto, non dimentichiamoci dell’importanza dei confini.  Il tempo in casa deve essere soprattutto il tempo dell’intimità.

L’intimità va tutelata, spegnendo pc e dispositivi di lavoro , chiudendo ogni possibilità di invasione dall’esterno oltre il tempo definito da noi.

Solo noi abbiamo il potere di cavalcare il mare di indifferenziato e confusione che ci sta travolgendo.

Dott.ssa Emanuela Gamba 

Psicologa, Psicoterapeuta e Psico-Oncologa

Riceve su appuntamento a Roma- zona Prati

tel. (+39) 389.2404480

mail. emanuela.gamba@libero.it

Per Approfondire:

Eiguer A. (2004) “L’inconscio della casa”, Borla

Jung C. G. (1977) “Tipi psicologici”, Bollati Boringhieri

Marc O. (1994) “Psicanalisi della casa”,  Red Edizioni

Pesare M. (2008) “Le radici psicodinamiche dell’abitare”, Dialegestha- rivista di filosofia

Pinetti R. (2017) “Il linguaggio segreto della casa – psicologia dell’abitazione”, Youcanprint

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