Farsi Grinch. Il vissuto del natale
Foto dal film “Il Grinch” (Ron Howard, 2000)
La festività del natale, come molte festività connotate religiosamente, deriva in realtà da una consuetudine pagana risalente al 273 dopo Cristo, il “sol invictus”, letteralmente il sole non vinto. Collocata a ridosso del solstizio d’inverno (il 21 dicembre) sancisce infatti la fine delle tenebre e la vittoria della luce sull’ombra: il sole ricomincia il suo ciclo e le giornate iniziano ad allungarsi (la tradizione vuole che tocchi il picco il 13 Dicembre, la giornata dedicata a santa Lucia, “il giorno più corto che ci sia”).
La vittoria delle luce sulle tenebre è stata rappresentata dalla tradizione cristiana con la nascita del figlio di Dio. Qui ha origine la tradizione del presepe, la riproduzione della scena della natalità oggi rappresentata “in tutte le salse” e meta di pellegrinaggi in comitiva durante le feste.
Come non citare poi l’anziano canuto sovrappeso portatrice di doni. Le origini di Santa Claus (così rinominato dagli americani) risalgono al periodo cristiano, probabilmente a San Nicola, vissuto in Asia Minore, del qaule l’imperatore Costantino autorizzò il culto nel 313. La sua reputazione di dispensatore di doni e protettore dei bambini è legata a due episodi leggendari: uno in cui salvò tre sorelle dalla prostituzione donando anonimamente tre sacchi d’oro al padre che potè pagare i suoi debiti e dare così una dote alle figlie, l’altro in cui resuscitò tre bambini, fatti a pezzi e serviti come cibo ai clienti del proprietario di una locanda. La Riforma protestante abolì a partire dal 500 il culto dei Santi in gran parte dell’Europa del nord, così nel mondo germanico presero vita figure a metà tra folletti e demoni che garantivano che i bambini facessero i buoni, minacciando di frustarli o, addirittura, di rapirli. È nei primi decenni dell’800 che il Natale viene trasformato in una festa di famiglia, recuperando anche San Nicola che, alla fine del secolo, grazie alle illustrazioni di Thomas Nast e a quella della celebre pubblicità della Coca Cola del 1931 ad opera di Haddon Sundblom, Babbo Natale diventa mito.
A tal proposito, ricordo uno scambio avuto con un amico brasiliano che raccontava come il Natale con neve lucine e maglioni trash stile Briget Jones fosse poco applicabile alla loro calda estate dicembrina, eppure, ammetteva lui, la potenza del marketing annullava ogni contraddizione apponendo pupazzi di neve e slitte sui chiringuiti carichi di caipirinha di Copacabana.
Il Natale insomma è la festa che più di tutte rappresenta le contraddizioni di questa nostra società occidentale, mixando con successo sacralità, consumismo e valori tradizionali. A Natale puoi, le campane suonano (rif. Jingle bells) e suonano rock (rif. Jingle bells rock), siamo tutti più buoni, tutto quello che voglio sei tu (rif. All I want for Christmas is you), buttati che è morbido, ballando sulla neve (rif. Dancing through the snow), non soffrire più… sono tutti slogan che ci risuonano nelle orecchie e nella mente.
Ma non si tratta soltanto di slogan pubblicitari o ritornelli stampati nella mente. In molti casi (seppur sempre meno frequenti) ci troviamo ad avere del tempo libero, in vacanza dal lavoro, a passare tempo con i cari che magari vivono lontani da noi. Il Natale, quindi, produce un alterazione degli abituali ritmi di vita, delle nostre routine e ci espone a situazioni inusuali.
L’aspettativa richiesta dal marketing, che sottilmente comunica anche con i motti di cui sopra, ci porta a pensare di dover celebrare le relazioni importanti della nostra vita, magari ritualizzandole con un dono, di riscaldarci al calore degli affetti, di fare gesti solidali e mostrare la nostra carità per festeggiare il bene che vince sul male.
Quest’atmosfera idilliaca, riproposta nelle tante rappresentazioni del Natale, da cui siamo bombardati da almeno un mese prima, non prevede deviazioni. Purtroppo viviamo in un epoca che non tollera fisiologici stati d’animo quali la malinconia o la tristezza. È un epoca dove tutto deve essere e soprattutto apparire happy.
Non c’è spazio per gli aspetti irrisolti delle nostre relazioni con familiari, parenti e amici. Come se magicamente con l’accendersi delle lucine di Natale nelle vie dello shopping della città, dovessero riattivarsi anche gli affetti positivi, sciogliendo tutti i nodi relazionali. Almeno fino al 6 Gennaio.
Questa mentalità che preferisce fingere indifferenza piuttosto che affrontare i problemi è quella che probabilmente ha generato nell’immaginario degli sceneggiatori la figura del Grinch, questo mostro verde che “tenta di rubare il Natale”. Non si tratta di nient’altro che un essere traumatizzato e poco amato che trasuda cinismo e vuole disilludere chi nel Natale sembra credere veramente. Poi (attenzione spoiler, seppure dubito che ci sia ancora qualcuno che non abbia visto questo evergreen delle vacanze natalizie), dopo aver sabotato il lato consumistico del Natale deviando i regali, scopre che le persone sono ugualmente felici, così si “redime”, il suo cuore si ingrandisce e… vissero tutti felici e contenti.
Cosa fare però con il nostro Grinch interno? O col Grinch delle persone a cui vogliamo bene?
La contraddittorietà del Natale è tollerabile solo se allontana la consapevolezza delle nostre vite e delle nostre relazioni fino al 24 Dicembre e dopo il 26 Dicembre. E’ quindi più che comprensibile che ci sia una schiera di persone non disposte a piegarsi alla logica del buonismo a comando, mantenendo una posizione scomoda e antipatica come quella del Grinch.
Non tutti abbiamo una famiglia originaria o acquisita a cui tornare, non tutti ci torniamo con piacere. Non tutti quindi sentiamo il bisogno di dover celebrare il Natale con le nostre famiglie, non tutti forse sentiamo il bisogno di celebrare il Natale con le sue implicazioni. Non tutti siamo pronti a far entrare la luce nelle nostre vite scavalcando lo scoglio dell’inverno: a volte si ha bisogno di restare quanto basta nel proprio personalissimo inverno prima di esser pronti ad una possibilità di sole. Ed è forse solo rispettando i tempi di ciascuno di noi, l’autenticità di ognuno di noi di trovare un compromesso con la contraddizione, che possiamo continuare a festeggiare il Natale traendone dei benefici. Se prendiamo il Natale come un’occasione per riposare e ripensare la nostra umanità, con i nostri cari vicini e con quelli meno vicini, allora possiamo pensare che la festa del sole non vinto sia una festa possibile ogni giorno, grazie alla nostra perseveranza e alla forza di non arrenderci quando i nostri occhi non vedono che tenebre. Il Natale diventa quindi la festa che celebra il nostro coraggio, che è venuto al mondo, anche in un posto non fertile, o forse proprio grazie a questo.
Come mai alcune persone odiano il Natale, Lloyd?
Spesso non si odia il Natale, ma ciò che il Natale ricorda, sir
Mi chiedo se ci sia qualcosa che possiamo donargli per renderglielo migliore…
Qualcosa ci sarebbe, sir
Cosa, Lloyd?
Il rispetto per i loro sentimenti, sir
Regalo costoso, Lloyd
Si dice prezioso, sir. Prezioso.
Ph.D., Psicologa, Psicoterapeuta
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Per Approfondire
Tempia S. (2016) Vita con Lloyd