L’origine dell’arte dalle pitture rupestri di Lascaux a oggi
“Gli uomini di Cro-Magnon che quindicimila anni fa dipingevano le grotte di Altamira e di Lascaux siamo noi, e uno sguardo all’incredibile ricchezza e bellezza di quest’opera ci convince, nel modo più istintivo e viscerale, che Picasso non aveva un vantaggio, quanto a raffinatezza mentale, su quegli antenati con cervelli identici ai nostri.”
Le parole di Stephen Gould, paleontologo e biologo, restituiscono il senso di infinita meraviglia che un esemplare di uomo moderno può sperimentare di fronte alle pitture rupestri delle grotte di Lascaux, nella zona Franco Cantabrica. Nella zona della Francia Sud – Occidentale e della Spagna Settentrionale si possono ammirare le caverne di Niaux (scoperta nel 1864), Lascaux, Chauvet e Altamira. In Italia è conosciuto al momento solamente il sito di Grotta Paglicci, in Puglia, mentre altre grotte sono state ritrovate recentemente in Australia e in Africa.
Le pitture di Chauvet sono risultate le più antiche, databili ben 32.900 anni fa, nel Paleolitico Superiore.
I soggetti rappresentati dall’arte pittorica dell’epoca rientrano in tre gruppi: gli animali, le impronte delle mani, le figure antropomorfe. La maggior parte delle rappresentazioni finora scoperte ritraggono gli animali; in particolare grandi erbivori rappresentanti nell’atto di fuggire durante affollate scene di caccia. Pesci, uccelli ed elementi vegetali sono praticamente assenti. Gli autori di queste immagini erano gli uomini di Cro-Magnon, una variante della specie Sapiens Sapiens. Prevalentemente raccoglitori e cacciatori era totalmente dipendenti dal mondo naturale. Nei siti della zona Franco Cantabrica è stata rilevata una tecnica specifica composta da due fasi: la prima prevedeva l’incisione o il disegno a carboncino dei contorni della figura, che in una seconda fase veniva colorata con dell’ocra rossa. Spesso le incisioni venivano eseguite nella parte più interna e inaccessibile della caverna.
Queste scene colpiscono per la vitalità e il dinamismo delle rappresentazioni, sebbene bidimensionali, incredibilmente espressive, vive e drammatiche. Spesso gli elementi architettonici naturali venivano sfruttati per trasferire maggiore verosimiglianza alle immagini, spesso accompagnate da pittogrammi e simboli al momento ancora indecifrabili. Nel tempo diversi studiosi si sono approcciati a queste opere nel tentativo di interpretarle e comprenderle. Inizialmente l’uomo del Paleolitico veniva visto come un raccoglitore immerso in un ambiente ricco di risorse, in cui sopravvivere era facile, grazie all’abbondanza di selvaggina e risorse naturali. Nel tempo libero, quindi, questa variante del Sapiens Sapiens avrebbe avuto tempo di dedicarsi alla pittura rupestre secondo questi teorici. “Questa concezione si inseriva perfettamente in una visione dell’uomo preistorico ancora privo di qualunque forma di religione. La scoperta dell’arte parietale alla fine del XIX secolo determinò la crisi di queste idee, dimostrando che l’arte paleolitica era un fenomeno ben più complesso.”
Anche i luoghi in cui queste pitture erano eseguite suggeriva un intento ben diverso dalla mera rappresentazione figurativa a fini estetici. È con l’abate Henri Breuil agli inizi del secolo scorso che prende piede la concezione magico – rituale dell’arte paleolitica. L’arte rupestre era interpretata come un rito propiziatorio della caccia. Incidere sulla pietra l’immagine della preda avrebbe concesso agli uomini di assicurarsi la vittoria sulla preda, e la rappresentazione stessa sarebbe avvenuta all’interno di rituali magici ospitati nel ventre nascosto delle caverne.
“Questi riti magici includevano la raffigurazione degli animali sulle pareti delle grotte. Ma questa magia non aveva nulla in comune con quello che noi intendiamo per religione, nel senso di credenza in potenze ultraterrene. Le immagini facevano parte dell’apparato di questa magia, perché esse erano insieme rappresentazione e cosa rappresentata.
Nell’immagine da lui dipinta, il cacciatore paleolitico aveva la convinzione di possedere la cosa stessa; credeva, riproducendolo, di acquistare un potere sull’oggetto. La rappresentazione era l’anticipazione dell’evento. Non si trattava, dunque, di sostituzioni simboliche, ma di vere azioni dirette ad uno scopo, atti reali che ottenevano effetti reali. Una sorta di incantesimo.” Non vi sarebbe stata separazione, quindi, tra arte e realtà. Le mani rappresentate attorno a queste figure rappresenterebbero in senso concerto la presa di possesso dell’oggetto rappresentato; accumulandosi nel tempo nei siti in cui questi nostri antenati vivevano e prosperavano.
Dopo soltanto quattro anni dalla morte di Breuil l’opera “Préhistoire de l’art occidental” di André Leroi-Gourhan cambia completamente il paradigma interpretativo dell’arte del Paleolitico. Tra il1945 e 1965 Leroi – Gourhan fotografò e riprodusse in scala le planimetrie di ogni caverna conosciuta producendo un repertorio classificato per voci distinte, individuando quattro stili che hanno delineato lo sviluppo cronologico e stilistico dell’arte dell’epoca.
“Lo stile I o prima fase primitiva si sviluppa all’incirca tra 32000 e 25000 BP (BP sta per before present). In questo periodo, secondo Leroi-Gourhan, non esiste ancora arte parietale. Le rare manifestazioni artistiche comprendono rare figure animali, spesso solo accennate, e numerose figure schematiche di organi sessuali, prevalentemente femminili.
Lo stile II o seconda fase primitiva si data tra il 25000 e il 19000 BP e con esso ha inizio l’arte parietale nelle caverne, ma solo nelle parti più vicine all’entrata, raggiungibili dalla luce del giorno. Le figure animali sono tracciate secondo uno stile sintetico, con la linea cervico-dorsale ad andamento sinuoso. In genere la parte anteriore del corpo è maggiormente sviluppata (dorso, testa e corna), mentre i dettagli anatomici sono piuttosto schematici.
Lo stile III o Arcaico si sviluppa lungo l’arco di 4000 anni, tra 19.000 e 15.000 BP. Le pitture e le incisioni vengono ora eseguite nelle parti più profonde e recondite delle caverne, a volte di accesso estremamente difficoltoso.” Sebbene mantenga aspetti dello stile precedente come la linea cervici-dorsale sinuosa e le dimensioni voluminose la figura animale è più completa, appaiono dettagli delle pelli e le caratteristiche specie specifiche, rappresentate in modo bicromatico. La grotta di Lascaux è attribuita a questo stile.
“Lo stile IV o Classico segna l’apogeo dell’arte paleolitica sia parietale che mobiliare all’incirca tra 15000 e 11000 BP. A questo periodo appartiene la maggior parte di tutte le opere d’arte parietale e mobiliare del Paleolitico superiore. Fu, quindi, un periodo di grande creatività e fioritura artistica.” L’animale rappresentato è più realistico in termini di proporzioni, movimento e prospettiva. “Le pitture possono essere a linea di contorno nera con spazio interno vuoto oppure a campitura policroma con uso di colori diversi e di diversa intensità di tono per le varie parti del corpo. Questo consente all’artista paleolitico di realizzare effetti chiaroscurali.”
La fase più recente è contraddistinta da uno stile ancor più realistico, come Las Monedas e Altamira nella regione cantabrica.
La grande innovazione insita nella teoria di Leroi-Gourhan sull’interpretazione dell’arte paleolitica è l’affermazione del carattere non utilitaristico e magico sostenuto da Breuil, ma mitico religioso. I pittori non hanno rappresentato animali a caso, ma determinati animali, i quali non svolgevano necessariamente un ruolo. L’arte delle caverne è un gioco costante di associazioni simboliche, fondate su un sistema dualista il cui tema fondamentale è la coppia primordiale Bisonte-Cavallo, animali che rappresentano due principi opposti e nello stesso tempo complementari, dove il cavallo è il simbolo del principio maschile, il bisonte di quello femminile. “L’analisi di Leroi-Gourhan ha dimostrato che nell’arte parietale la disposizione delle figure animali e dei segni non è casuale, ma risponde a uno schema generale, una struttura che costituisce una forma di linguaggio simbolico, accuratamente codificato. L’arte parietale esprime, quindi, una visione del mondo, una cosmologia, quella dei popoli cacciatori del Paleolitico superiore, accentrata sulla divisione della natura in elementi femminili ed elementi maschili.”
Come ha osservato il filosofo Cassirer, “attraverso il simbolo l’uomo riconosce ed esprime in forma sacrale o rituale le potenti forze che sente intorno a sé, in questo modo le domina e le conduce al controllo sociale”.
Secondo Leroi-Gourhan, in conclusione, l’arte paleolitica è un mitogramma, “un insieme strutturato di figure simboliche che non esprimono una determinata azione, non hanno carattere descrittivo, non hanno bisogno di una struttura narrativa, ma sono immediatamente comprese da coloro che fanno parte della società che le ha prodotte (a noi moderni restano invece oscure, in quanto non possediamo più i codici di interpretazione).” Secondo questa interpretazione le caverne sarebbero “templi” in cui visivamente e immediatamente erano rappresentate le prime forme di mitologie cosmogoniche.
L’espressione artistica compare con la maturazione definitiva delle strutture e dei processi cerebrali che permettono il linguaggio, l’immaginazione e il pensiero simbolico astratto.
Dott. ssa Valeria Colasanti
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Per Approfondire
Raffaele C. de Marinis, L’arte Paleolitica, Dispensa del corso di Preistoria, A.A. 2006/2007.
Gloria Fossi (a cura di), Arte viva. Dalla preistoria al gotico, Artedossier, Giunti.
André Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, Einaudi 1977.
André Leroi-Gourhan, Interprétation esthétique et religieuse des figures et symboles dans la préhistoire, In Archives des sciences sociales des religions, N. 42, 1976.