Chiedilo a Kurt Cobain. Approccio psicoanalitico al suicidio

“Il segreto è che ha realmente vita solo ciò che può anche sopprimersi da sé”. (cit. C. G. Jung)

Kurt Cobain muore ucciso da un colpo di fucile autoinflitto nel 1994. Il protagonista della scena grunge odiava le armi da fuoco. Aveva la fobia per gli aghi ed era eroinomane.

Aveva paura delle altezze ma durante i concerti lo si poteva osservare destreggiarsi sulle impalcature, costantemente in bilico tra la noia e la ricerca di emozioni forti per sopperire al dolore o per fare esperienza prematura della morte: questa era la sua vita a cui ha deciso di rinunciare.

Mentre c’è chi fa di tutto per rimanere in vita, secondo L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), quasi un milione e mezzo di persone all’anno sceglie di non farlo perché non riesce più a sopravvivere alla morte psichica ed ha raggiunto un grado talmente alto di insopportabilità alla sofferenza da creare l’illusione che il suicidio sia fonte di forza per ricominciare a vivere. La speranza è la rinascita in un posto dove non esiste dolore, angoscia, vergogna, svalutazione di sé, rabbia, solitudine e senso di colpa per non riuscire ad essere felici per sé e per gli altri.

L’ulteriore ambivalenza sta nel fatto che chi scegli questa via vuole essere salvato ma ritiene allo stesso tempo che nulla e nessuno possa farlo anzi, il tentativo è anche quello di salvaguardare l’altro dalla propria angoscia percepita come distruttiva che viene introiettata e successivamente diretta verso il corpo il quale ne diviene la vittima privilegiata.

Il comportamento estremo è determinato da un meccanismo di depersonalizzazione che implica un temporaneo ma fatale distacco dalla realtà per cui non esiste consapevolezza della propria morte dunque della propria esistenza e il corpo non fa più parte della persona e diviene l’unico oggetto attraverso il quale le emozioni possono trovare la massima espressione. L’angoscia è lenita al pensiero di poter trovare sollievo e il senso di colpa non ha più ragione di esistere.

La situazione è di stallo dove nulla è più possibile: il passato è da dimenticare, il presente è insostenibile e nel futuro non vi è alcuna possibilità di progressione. Tutto è fallito e la ricerca di un aiuto è frenata dalla paura di essere invasi da un nuovo sentimento di delusione lì dove non c’è percezione della capacità di riuscire a sostenerlo.

Al senso di impotenza di non riuscire più a gestire i propri sentimenti e pensieri si sostituisce il senso di onnipotenza legato alla possibilità di poter avere il controllo del proprio corpo e di decidere per la propria vita nella speranza di trovare la pace attraverso l’annullamento di sé, l’unico modo possibile per annientare la tensione e sopprimere l’angoscia.

In un tutt’uno psicosomatico, l’individuo fa dunque del proprio corpo il capro espiatorio ottimale verso cui dirigere l’odio verso di sé e la morte rappresenta la fantasia di autopunizione che garantisce la fine della sofferenza verso un paradossale appagamento di un desiderio.

Non è possibile pensare alla mente come separata dal corpo e se essa muore è perché non è più in grado di pensare ai sentimenti che l’involucro fisico ci permette di sentire. Se il tono dell’umore è orientato verso il basso il corpo non sente e l’anima è depressa.

Dunque “non è solo nella testa” la depressione o l’illusione di non farcela ma è il corpo che è anestetizzato e l’utilizzo di sostanze psicoattive quali alcool o droga diventa una prerogativa allo scopo di restituire a se stessi l’artificiale possibilità di provare sensazioni perché una persona triste sa che potrà illuminarsi solo in vista di uno stato di piacere e quando non c’è tristezza c’è il polo emozionale opposto, quello dell’estasi più pura, finché non ce ne è a sufficienza così l’effetto svanisce e il vuoto interiore diviene sempre più profondo.

Ma l’anima è fragile? Non mi limiterei a questa affermazione dettata da un impulso di sopravvivenza che porta ad una forma di negazione per difendersi dall’angoscia di morte e tiene l’altro, colui che ha appreso la notizia, lontano ed estraneo dal forte conflitto emozionale di chi ha deciso di liberarsene.

Se la personalità è debole e se vogliamo destrutturata è perché la realtà non è quella desiderata e la mente tenta di renderla meno sfavorevole e accettabile attraverso la percezione di sé come persone capaci e meritevoli di essere amati. Non penso esista essere umano che non sia mai ritrovato in tale condizione.

A tal proposito, il fondatore della sociologia moderna Émile Durkheim, il quale riconduce a fattori esterni le cause del suicidio, afferma che chiunque può diventare un potenziale sucida posto in determinate condizioni.

Si rinuncia a lottare proprio quando nella vita si è fatto tanto e le persone più creative e brillanti sono quelle più a rischio che vivono la loro esistenza in un’alternanza tra depressione e trionfo, tra frustrazione e stati ipomaniacali o maniacali, tra narcisismo e grandiosità. Così la sublimazione delle proprie energie pregne di angoscia, porta alla creazione di capolavori che i più grandi artisti ci hanno regalato e spesso una prospettiva di piacere serve solo a lenire la depressione e accrescere l’autostima, sentirsi amati e rivestire un ruolo prestigioso che forse è tale solo per il mondo all’infuori di sé.

Poi accade che si arriva a capire che la vera vita, quella che ci permette si sentirci e ascoltarci, si può vivere pienamente e in maniera “sana” solo ad un livello personale.

“Per esempio quando siamo nel backstage e le luci si spengono e sento il maniacale urlo della folla cominciare, non ha nessun effetto su di me, non è come era per Freddie Mercury, a lui la folla lo inebriava, ne ritraeva energia e io l’ho sempre invidiato per questo, ma per me non è così. Il fatto è che io non posso imbrogliarvi, nessuno di voi”. (cit. Kurt Cobain).

Ad un certo punto non importa più quanto rumore faccia l’acclamazione della folla, il pubblico e chi ci ammira perché abbiamo scelto di indossare una maschera che possa restituirci il certificato di esistenza che probabilmente durante l’adolescenza e ancor prima nell’infanzia ci è stato negato.

La società ci impone di avere successo, di produrre molti soldi perché così possiamo guadagnarci l’approvazione dell’altro e possiamo sentirci “qualcuno” ma il rischio è che la posizione sociale che abbiamo scelto di rivestire sostituisca la reale percezione della nostra anima la quale è unita al nostro corpo finché non si giunge all’incapacità di percepirlo e i sentimenti non possono essere vissuti.

L’energia è diretta verso il raggiungimento di scopi illusori, la persona stessa non si vede più per quella che è, costantemente centrata sull’immagine irreale e fittizia, finché non perde il contatto con la realtà dunque con il corpo. Si rimanda all’articolo “L’autenticità-l’arte di essere liberamente sé” della rivista di novembre 2017 de Il Sigaro di Freud.

La religione considera il suicidio come peccato, le legge un reato e la società lo rifiuta. La psicoanalisi cerca di comprendere i moti dell’anima affrontando il tema della vita ma anche quello ostico della morte, accogliendo angoscia e sofferenza e tenendo bene in mente il bisogno dell’individuo di liberazione da questi stessi sentimenti.

“La morte può essere scelta” afferma James Hillman psicologo analista junghiano, filosofo e saggista statunitense. La frase esprime un bisogno forte di un riscatto da parte di chi non ha scelto come vivere ed ora, sceglie di morire. Il desiderio dell’anima è di giungere alla morte sia nell’illusione di rinascere e sia perché è l’unica via apparentemente percorribile.

La psicoanalisi ha il dovere di non categorizzare ma il compito di comprendere in profondità ciò che la persona a rischio sente, addentrandosi in un modo scomodo e a tratti surreale, allo scopo di rendere il paziente capace di preservare la parte buona di sé alla stregua di una trasformazione che sembra impossibile ma ardentemente desiderata.

Forse dovremmo capovolgere la questione per poter capire, chiedendoci non tanto perché si sceglie di morire ma perché si sceglie di vivere.

La persona a rischio non conosce risposta a questa domanda e non è tangibile dalla sua mente l’idea che, come canterebbe Morissey dei The Smiths, ci sia una luce che non si spegnerà mai.

CRAWLING TESTO LINKIN PARK
 

Crawling in my skin
These wounds they will not heal
Fear is how I fall
Confusing what is real

There’s something inside me that pulls beneath the surface
Consuming, confusing
This lack of self-control I fear is never ending
Controlling, I can’t seem

To find myself again
My walls are closing in (Without a sense of confidence
I’m convinced that there’s just too much pressure to take)
I’ve felt this way before
So insecure

Crawling in my skin
These wounds they will not heal
Fear is how I fall
Confusing what is real

Discomfort endlessly has pulled itself upon me
Distracting, reacting
Against my will, I stand beside my own reflection
It’s haunting how I can’t seem

To find myself again
My walls are closing in (Without a sense of confidence
I’m convinced that there’s just too much pressure to take)
I’ve felt this way before
So insecure

Crawling in my skin
These wounds they will not heal
Fear is how I fall
Confusing what is real
Crawling in my skin
These wounds they will not heal
Fear is how I fall
Confusing, confusing what is real

(There’s something inside me that pulls beneath the surface
Consuming)
Confusing what is real
(This lack of self-control I fear is never ending
Controlling)
Confusing what is real

CRAWLING TRADUZIONE LINKIN PARK
 

Strisciando dentro la mia pelle
Queste piaghe non guariranno
Sono caduto per paura
Confondendo ciò che è reale
C’è qualcosa che preme dentro di me, sotto la superficie

Consumando
Confondendo
Temo che questa assenza di autocontrollo sia senza fine
Controllando
Non mi sembra
Di ritrovare me stesso
Le mie pareti mi stanno intrappolando (Senza fiducia)

(Sono convinto che ci sia troppa pressione da sopportare)
Mi sono già sentito così
Così insicuro

Strisciando dentro la mia pelle
Queste piaghe non guariranno
Sono caduto per paura
Confondendo ciò che è reale
Il disagio si è sempre impossessato di me
Distraendo
Reagendo

Contro la mia volontà resto accanto alla mia immagine riflessa
Mi sta ossessionando
Come se io non riuscissi…
Di ritrovare me stesso
Le mie pareti mi stanno intrappolando

(Senza fiducia)
(Sono convinto che ci sia troppa pressione da sopportare)

Mi sono già sentito così
Così insicuro

Strisciando dentro la mia pelle
Queste piaghe non guariranno
Sono caduto per paura
Confondendo ciò che è reale
Strisciando dentro la mia pelle
Queste piaghe non guariranno
Sono caduto per paura
Confondendo, confondendo ciò che è reale

C’è qualcosa che preme dentro di me, sotto la superficie
Consumando
Confondendo ciò che è reale
Temo che questa assenza di autocontrollo sia senza fine
Controllando
Confondendo ciò che è reale

Dott.ssa Ilaria Pellegrini

Riceve su appuntamento a Roma e Pomezia

(+39) 3897972535

Email: ilariapellegrini85@gmail.com

Per Approfondire:

“Il suicidio e l’anima” James Hillman

“Adolescenza e breakdown evolutivo” Moses e M. Eglé Laufer

“La depressione e il corpo” Alexander Lowen

“La prevenzione del sucidio” Maurizio Pompili

Consigli musicali:

“Kurt Cobain” Brunori Sas

Consigli cinematografici:

“Fortunata” Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini

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