Rimozione e dissociazione. Difese del nostro Io
Parlando con una mia giovane paziente, qualche tempo fa, mi sono ritrovata a riflettere sulla grande potenza dei meccanismi di difesa, in particolare dei processi di rimozione e dissociazione. Anna è una giovane donna che all’età di 14 anni ha subito la perdita della propria madre a seguito di un tumore al seno. A distanza di anni, lamenta il fatto di non riuscire a ricordare nessun evento precedente questa perdita, né tanto meno il ricordo del momento in cui si è trovata ad affrontare questo lutto. Difficile affermare se effettivamente Anna non ricordi nulla della malattia della mamma, o non voglia consciamente ricordare quel periodo della sua vita che l’ha segnata profondamente. Soffre ancora per la sua perdita e pur sforzandosi di far riaffiorare alla memoria quell’evento, ancora non è in grado di ricordare. Così come per la perdita della mamma, Anna non ricorda neppure altri episodi che, se riportati, potrebbero essere potenzialmente utili sul piano clinico. Parlandomi di sé noto la totale assenza di racconti legati ad alcuni periodi della propria infanzia.
Secondo Freud la rimozione è uno dei più grandi e potenti meccanismi di difesa utilizzato da tutti noi per poterci proteggere da una grande sofferenza psichica che altrimenti sarebbe troppo dolorosa e invalidante per la nostra psiche. Per definizione, è quel meccanismo inconscio che permette di allontanare dalla nostra consapevolezza esperienze, vissuti, fantasie emotivamente distruttive. Non è considerato un deficit della memoria, in quanto la persona memorizza l’episodio, ma non le fantasie, i desideri e le emozioni ad esso associati e l’evento vivrà quindi nella parte inconscia della psiche. Questo meccanismo ha una funzione adattiva, in quanto permette alla persona di continuare a vivere in modo coerente la sua esistenza, andando a “soffocare” quegli istinti che la spingerebbero ad affrontare la situazione in altro modo. E’ uno dei meccanismi più importanti sul quale se ne struttura un altro, la formazione reattiva (per un approfondimento, si rimanda all’articolo “I meccanismi di difesa – Quei garanti della sopravvivenza”): qui, ci troviamo di fronte a un capovolgimento delle emozioni legate ad un particolare episodio. Ad esempio la rabbia, l’odio, la gelosia, il rancore provati a seguito della nascita di un fratello, vengono convertiti in sentimenti di gioia e amore profondo verso quel piccolo esserino che in realtà ci ha stravolto la vita. Stando a quest’ultimo esempio è possibile affermare che il meccanismo di difesa della formazione reattiva, è del tutto normale nei bambini in un’età compresa tra i tre e gli otto anni, in quanto non sono ancora in grado di comprendere le ambivalenze delle proprie emozioni.
Per loro non è possibile pensare di nutrire odio e amore per la stessa persona e sono convinti che provare sentimenti negativi porti all’annientamento dell’altro individuo, proprio in ragione della potenza distruttiva inconscia che quell’emozione provoca. L’Io sente di provare odio, ma quest’odio non è socialmente accettabile ed è potenzialmente pericoloso, di conseguenza la persona attuerà un blocco inconscio che porterà a mascherare e convertire l’odio in amore.
La dissociazione invece, è un altro meccanismo di difesa inconscio più arcaico, messo in atto a tutela dell’integrità del nostro Io. E’ un processo complesso che ha inizio nel momento in cui ci si trova davanti ad una situazione di natura traumatica: la persona si separa dalle emozioni che quel trauma suscita in lui. La paura, il terrore o l’idea della morte vengono vissute lontane come da sé, come se cioè fossero emozioni provate da un’altra persona.
Avendo una natura adattiva, il fatto di vivere esperienze di dissociazione nel quotidiano rientra nella normalità: basti pensare a quando, alla guida della nostra automobile, arriviamo a destinazione senza tuttavia ricordarci la strada percorsa, oppure quando ci troviamo immersi in una lettura così piacevole da estraniarci temporaneamente e totalmente dal mondo circostante. La sua funzione è quella di ridurre lo stress o l’ansia provata nel momento in cui si affronta una situazione avversa. L’evento traumatico non verrà quindi memorizzato nella memoria autobiografica, in quanto non avviene un’integrazione della coscienza, della memoria, dell’identità della persona e del comportamento messo in atto. La dissociazione (per un approfondimento, si rimanda all’articolo “Dissociazione e trauma – Come se non fosse mai accaduto”) può riguardare i pensieri, le emozioni o l’identità della persona, che è portata così a vivere un’esperienza di depersonalizzazione (inteso come “distacco da se stessi”: la persona non percepisce più il proprio corpo o parti di questo) e derealizzazione (inteso come “distacco dalla realtà”, dalle situazioni fino ad allora note e familiari).
Sul piano psicopatologico invece, fare continue esperienze di dissociazione durante la propria infanzia come risposta ad abusi, può incidere sullo sviluppo di un vero e proprio disturbo, chiamato disturbo dissociativo.
In questo caso il bambino “separandosi” dalla realtà traumatica, sarà portato a credere che quelle violenze vengano in realtà subite da qualcun altro vicino a lui, come ad esempio un amico immaginario; con il passare del tempo questa strategia di sopravvivenza verrà utilizzata per superare anche altre situazioni potenzialmente pericolose, col rischio di perdere così definitivamente l’integrazione del proprio Sé.
Infatti, la caratteristica principale del disturbo dissociativo è la presenza di due o più stati di personalità ben distinte tra loro, capaci di pensare, percepire e relazionarsi con altre persone. Non sempre la persona è consapevole della presenza delle due personalità, al punto che spesso esso riferisce di sentire una voce che la guida nelle azioni o che ne giudica i comportamenti. Un’altra caratteristica del disturbo dissociativo riguarda la presenza di amnesie, da intendersi come perdite di memoria, non spiegabili diversamente.
Così come nel caso di Anna, parecchie persone riferiscono di non ricordare eventi vissuti nel passato, interi periodi di vita o anche situazioni avvenute nel presente come attività quotidiane o addirittura, proprie informazioni personali.
E’ quindi possibile affermare che i meccanismi di difesa sono fondamentali per un buon funzionamento psichico dell’individuo fino a che questi non si trasformano nel modo predominante in cui la persona “funziona”, in quest’ultimo caso il rischio è proprio quello di sviluppare psicopatologie significative ed invalidanti. Saperli riconoscere è sicuramente il miglior modo per poter capire veramente se stessi ed è anche il primo passo per la risoluzione di conflitti interni inconsci, può però essere necessario che alcuni di questi meccanismi rimangano nella parte più oscura della mente proprio per salvaguardare il benessere psichico della persona, farli riaffiorare alla mente può essere rischioso se prima non vengono gettate le basi per una possibile elaborazione
Dott.ssa Serena Bernabè
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Per Approfondire:
- McWilliams, Il caso clinico. Dal colloquio alla diagnosi, Raffaello Cortina Editore, 2002
- A.Freud, l’Io e i meccanismi di difesa, 1936
- S.Freud, Metapsicologia,Bollati Borringhieri,1978