Dipendenze Affettive, Lo specchio delle Mancanze
In questi anni di formazione e di profondo studio sul mio personale, mi è capitato tantissime volte di entrare in contatto con quello che negli ultimi anni si è confermato essere il “problema a catena” più sottovalutato e, proprio per questo, il più nocivo: la dipendenza affettiva.
Prima di procedere con l’approfondimento di questo argomento, partiamo dalla base, cercando di risalire alle fondamentali. Chiediamoci, prima di tutto, cosa si intende esattamente per “dipendenza” (per un maggiore approfondimento si rimanda all’articolo “La Dipendenza- Vuoti di vita da colmare”). Basandoci sul significato letterario del termine, altro non è che l’incapacità di fare a meno di una determinata situazione (sia questa legata ad una persona, sia questa legata a sfere più materiali: sostanze tossiche e simili), vista da noi, erroneamente, come unica possibilità di benessere.
Ovviamente vi sono vari tipi di dipendenze, ma personalmente credo fortemente che a fare da capo a tutte le altre forme sia quella affettiva( per un maggiore approfondimento si rimanda all’articolo “Dipendenze affettive- Né con te, né senza di te”), ed in qualche modo ognuno di noi ne è influenzato (chi più, chi meno), in quanto è nei tanti meccanismi della mente esigere continue conferme, un irrefrenabile bisogno di continua approvazione da parte dell’altro, di sentirsi accettato, di avere conferma e sostegno… Tutto un bisogno che fungerebbe da rafforzativo ad un’autostima vacillante.
Una delle paure più comuni che spingerebbe alla dipendenza affettiva, all’attaccamento viscerale nei confronti dell’altro o comunque di tutti coloro che ci circondano, senza alcun dubbio è legato a dei piccoli-grandi traumi alla base della sfera emotiva, con possibili imprinting (ovvero quel bagaglio energetico e mentale che forma la storia personale di ognuno di noi, dalla nostra famiglia ai nostri Avi, condizionandoci su determinati modi di vedere, percepire e vivere la vita), non del tutto salutari.
Sono stati in molti gli psicologi che hanno dedicato parte dei loro studi sull’argomento, affermando e dimostrando quanto può influenzare l’ambiente famigliare in cui si nasce e si cresce (studi sul bambino e sul suo processo cognitivo – Erickson, Piaget, Freud ed altri luminari della Psicologia), per poi intensificarsi nella fase più importante, e per certi versi più critica: l’adolescenza, nella quale si manifesteranno tutte le lacune e le mancanze e che, se non curate, metterà radici nell’inconscio, intaccando qualsiasi tipo di rapporto tenteremo di costruire.
Proviamo nuovamente a fare un salto negli studi del passato: classificando la dipendenza come conseguenza di mancanze, l’individuo comincerebbe ad avvertire con più concretezza il disagio proprio nell’adolescenza, esattamente nei momenti di confronto con i propri simili – oppure con i genitori stessi, in quanto (spesso), rivedrebbe i suoi ideali nel gruppo stesso, anziché nei genitori stessi che, anzi, vive come ostacolo – che per sua natura porta ad una, più o meno, totale rivisitazione del proprio Io.
Mentre quando si è piccoli, vi è una tendenza ad essere guidati da uno stato della coscienza chiamato ES (in riferimento allo studio dell’approccio topografico di Freud, o meglio conosciuta come “metafora dell’iceberg“): altro non è che la parte più istintiva, governata dall’inconscio ed è esattamente quella parte in cui vengono “depositate” tutte le emozioni che, se non analizzate e riconosciute, prenderanno totale dominio della nostra quotidianità, fino a farci diventare ciò che temiamo.
Un altro grande studioso dell’animo umano se non anche dell’oltre umano ma ben poco rinominato (e secondo me è un grande peccato) è Carl Gustav Jung (psicologo, psicanalista, antropologo e prima ancora allievo di Sigmund Freud), il quale sosteneva che l’uomo possedesse quatto sfumature: l’animus (parte maschile nel femminile), anima (parte femminile nel maschile), l’ombra (la parte oscura ed inconscia che ci si riguarda da tenere riservata) e la personalità (quella parte mostrata a tutti).
Ma tornando al centro del nostro argomento e tenendo presente il sunto dei concetti espressi poc’anzi, possiamo affermare o comunque dedurre che una delle fonti dei traumi a catena, sfocianti poi nella relazione con l’altro, siamo solo noi stessi. In maniera più pratica: la relazione altro non è che uno specchio che ci mette in contatto con quelle mancanze che per tanto tempo abbiamo tentato di soffocare. Esistono mancanze generiche e quindi ereditarie, come esistono mancanze dovute a traumi, ma l’obiettivo principale è quello di poter risalire alla fonte di queste, accettarne (e quindi non ignorando) l’esistenza e con pazienza, rigore, fiducia e responsabilità, scioglierle.
Se cercassimo di risolvere i nostri quesiti esistenziali, evitando così di trasformare ogni nostra interazione con l’altro in un campo di sterminio e la nostra salute psico-emotivo e psico-fisica in un filo spinato, non solo impareremmo molto di più su noi stessi (magari riscoprendoci più forti di quanto pensassimo), non solo avremmo relazioni costruttive (e questo non vuol dire sempre tranquille, ma neanche nocive), non solo inizieremmo ad amarci per poi veramente cominciare ad amare, non solo ci attireremmo ciò che dall’esterno risuonerebbe al meglio con la nostra meraviglia interiore e la nostra più alta vibrazione, ma cominceremmo (soprattutto) a capire quanto siamo incredibilmente forti.
Sensibilizzeremmo il nostro sentire a tal punto da comprendere e percepire anche quanto è fondamentale il luogo in cui tutto questo avviene, quel luogo in cui nasciamo e cresciamo facendo nascere e crescere a nostra volta… Sarebbe di aiuto tenere sempre presente che siamo fatti di energia (oltre che di fibre muscolari, molecole ed ossa), di onde alpha ed onde beta e che queste vengono assorbite (come trasmesse) dalle stesse mura in cui decidiamo di vivere, per il semplice fatto che (come affermò il grandissimo A.Einstein) tutto è energia, noi compresi.
Christian Spadaro
Lettore vincitore del contest “We want you” per il mese di Maggio 2017