Dell’Arte e del Dolore
La questione umana

Vedere triste una persona che amiamo è un’esperienza dolorosa. Per via di quella storia dell’empatia e dei neuroni specchio, che ci fanno provare il dolore dell’altro come se fosse nostro, sulla nostra pelle.

Vorremmo poter coprire quel dolore, farlo scomparire.

Un celebre pezzo dei Coldplay diceva teneramente “I’ll fix you”, “Io ti aggiusterò”.

Ma purtroppo non possiamo togliere il dolore, non siamo in grado di “aggiustare” gli altri.

È a questo punto che i cinici desistono, sentendosi impotenti.

Un po’ come nel dilemma del porcospino di Schopenhauer, dove due porcospini si avvicinano, per scaldarsi l’un l’altro, ma avvicinandosi non possono che ferirsi, con i loro aculei. È qui che si può fuggire, per timore di ferire l’altro, o di ferirsi.

L’alternativa è più impegnativa, richiede impegno e dedizione. È la ricerca minuziosa di una “giusta distanza”, dove ci si può scaldare reciprocamente senza ferirsi. È una strada di prove ed errori, non esente da fallimenti, al di là dei quali si trova la relazionalità, l’autentico incontro con l’altro (si rimanda all’articolo “L’arte della relazione – Sulla capacità di essere soli” della rivista di Gennaio 2017).

Forse non possiamo togliere il dolore dell’altro, ma non siamo neppure completamente impotenti.

Possiamo tentare di esserci, alla giusta distanza. E tollerare che l’altro provi dolore, senza che noi possiamo alleviarglielo. Perché il dolore ha una sua funzione. “Un giorno questo dolore ti sarà utile” suggeriva Peter Cameron nel suo romanzo.

Se vivessimo in un posto dove tutti siamo felici e appagati, smetteremmo di cercare qualcosa, smetteremmo di produrre arte. Non esisterebbe la musica. Non ci sarebbe nulla di cui scrivere. Vivremmo in una realtà piatta e inespressiva.

Invece all’essere umano è stata data questa nobile possibilità di trasformare il dolore in bellezza, dal momento che, come ci suggerisce Pierre-Auguste Renoir, “Il dolore passa, la bellezza resta”. Ed immergendoci in quell’esperienza umanamente inevitabile del dolore, abbiamo il privilegio di sentirci un tutt’uno con i grandi della storia della poesia, della letteratura, della filosofia, della musica, della pittura, della scultura, del teatro, dell’arte in genere.

Riconoscersi in una poesia del VII secolo a.C., nelle parole di un antico Capo indiano, nei dipinti del Rinascimento italiano, in una tragedia Greca o in un romanzo giapponese, è una forma di empatia, di sentire insieme a Saffo, Tuiavii di Tiavea, Michelangelo Buonarroti, Sofocle o Kobo Abe. Di sentire come la nostra esperienza umana non cambi attraverso i secoli, attraverso i continenti e attraverso le culture, ma che ci siano frammenti di esperienza simili in ogni essere umano. E il dolore che porta alla sublimazione artistica è uno di questi frammenti di esistenza in comune.

Salinger ne “Il giovane Holden” ci racconta di come provasse questo sentimento di amicizia, di affiliazione con i suoi ispiratori, dicendo: “Quelli che lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando hai finito di leggerli e per il tempo che segue, vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che vuoi”.

L’uomo insomma da sempre si interroga sul senso della propria esistenza.

E la questione, eterna e forse irrisolvibile, può farlo cadere nell’angoscia relativa alla sua finitezza.

E qui, di nuovo, le opzioni sono due.

Fuggirne, e fondare la propria esistenza su distrattori più o meno efficaci nel permettere l’elusione della Domanda (per un approfondimento si rimanda agli articoli “La dipendenza – Vuoti di vita da colmare” “Il Narcisismo – L’arresto della capacità di amare”“La dipendenza affettiva – Nè con te, nè senza di te”).

Oppure restare, esserci, immergersi nel proprio e altrui dolore.

Uscendone mai soli, mai impoveriti. Ma probabilmente anche senza risposte. Invece, con ancora domande.

In fondo, se avessimo la risposta alla questione esistenziale, ci annoieremmo infinitamente, proprio come quando guardiamo un film che ci è stato spoilerato.

Forse perché, dogmatismi a parte, la questione, la domanda esistenziale, è essa stessa il senso.

Dott.ssa Giulia Radi

Riceve su appuntamento a  Perugia
(+39) 320 0185538
giulia.radi@hotmail.it

Per Approfondire:

Cameron P. (2007) Un giorno questo dolore ti sarà utile.

Salinger J.D. (1951) Il giovane Holden.

scultura Rodin A. (1902) Der Denker.

Tuiavii di Tiavea (1920) Papalagi.

dipinto Van Gogh V.W. (1889) Iris

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