Mese: Luglio 2016

La coazione a ripetere. Sempre i soliti errori

A: “Mi sono persa nel tuo quartiere. Mi guidi tu per telefono per arrivare in macchina fino al bar del nostro appuntamento?”

B: “Certo, dimmi dove sei”

A: “ (posizione) ”

B: “Ok, allora, (indicazioni), poi al bivio giri a sinistra… Uh, aspetta ti vedo, ecco, gira ora a sini… non là, a sinistra!”

A: “Caspita, ho perso l’uscita…”

B: “Dai rifai il giro, e, mi raccomando, quando sei al bivio di prima gira a sinistra”

A: “Ok, capito”

B: “Ma che fai? A sinistra ho detto!”

A: “Ma io ho girato a sinistra…”

B: “No, sinistra è dove ti sto aspettando io… Va beh, fa niente, fermati che arrivo a piedi”

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Il senso di colpa. Schiacciati da se stessi

San Michele e il drago, Raffaele Sanzio.

Il possedere o ricercare una colpa, ossia una causa del male, è caratteristico del genere umano. Nelle antiche tribù, ad esempio, il concetto di morte naturale non esisteva ma si supponeva che quella determinata persona moriva per una colpa che aveva commesso dinanzi agli spiriti della natura oppure era vittima di un sortilegio nemico. Con l’avvento della religione cristiana il sentimento di colpa si insidia ancora di più nella società occidentale. Si crea una netta scissione tra pulsioni, desideri e istinti, che vengono relegati nell’inconscio malefico, personificati nel serpente satanico e, sull’altro fronte, la ragione e la coscienziosità che combattono e mettono a tacere le proprie pulsioni, rappresentati dal divino o, in una famosa opera, da San Michele che sconfigge il Drago. Questa impostazione cristiana fonda sul senso di colpa la propria fede, sul pentimento come redenzione, ed ammette la possibilità di cadere nelle proprie pulsionalità, unicamente se subito dopo ci si pente e si chiede perdono. È da questa tipologia culturale che nel 1800 si è sviluppata in tutta europa l’isteria (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “L’isteria – Psicopatologia dei sessi” ), una patologia mentale dove i propri desideri e le proprie pulsioni non potevano essere espresse, se non con il corpo. Il sentimento di colpa nelle donne era predominante e derivava dalle regole ferree della società patriarcale. Con il passare degli anni, il senso di colpa si è sempre di più strutturato intorno a delle regole interne, e non più unicamente esterne.

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Genitori Tossicodipendenti. Amore tossico

Sempre di più oggi viene utilizzato il termine Addiction per indicare la dipendenza da droghe/sostanze psicotrope, caratterizzata da compulsione a ricercare la sostanza, perdita di controllo nell’assunzione della stessa e presenza di uno stato umorale prevalentemente negativo quando la sostanza non è disponibile. A livello neurobiologico comporta l’iperattivazione della asse ipotalamo-ipofisi-surrene e il conseguente rilascio di cortisolo nel sangue. In termini evolutivo-clinici, questo meccanismo può essere altrimenti spiegato come un retaggio di esperienze traumatiche vissute in infanzia e non mentalizzate. Le analisi del 2012 in Italia sul consumo di sostanze stupefacenti condotte su un campione rappresentativo di circa 19.000 italiani riportano il numero totale dei consumatori (intendendo con questo termine sia quelli occasionali che con dipendenza da sostanze con uso quotidiano) pari a 2.327.335 (Dipartimento Politiche Antidroga, 2012). Dati provenienti da alcuni studi forniscono un quadro dettagliato in merito all’entità del problema: negli Stati Uniti le donne che fanno uso di cocaina e altri oppiacei in gravidanza sono circa il 3% del totale, dati simili si sono registrati in Australia, mentre è stato calcolato che tra l’11 e il 16% delle donne in gravidanza in carico ad ambulatori neonatali di Londra fanno uso di droghe.

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Donne e Cancro. In guerra con se stesse

Sorrow, Van Gogh

Lo sentii quasi subito. Tutto, era già partito: umori, dinamiche e pensieri. Detti e non – detti, piacevoli e spiacevoli. Gli elementi indicativi di un transfert già potente e pesante, c’erano tutti (per un approfondimento, si rimanda agli articoli “Nella stanza d’analisi – La svolta in un agìto” e “Relazioni terapeutiche – Riflessioni su un caso di buona separazione”). Mi vedevo già lì, intenta a percorrere un sentiero psichico che non sapevo ancora dove mi avrebbe condotto; ma, nonostante tutto, io c’ero, e non avevo alcuna intenzione di fuggire. Per certi versi, si presentò proprio come me l’ero figurata, Carla: a vederla così agghindata si faceva fatica a crederlo, eppure la paziente, splendida donna dagli occhi color nocciola, era prossima ai settanta. E glielo lessi subito sul volto quanto aveva vissuto: un’anima che la vita l’aveva divorata, attraversandola in ogni anfratto e tenendo il piede perennemente puntato sull’acceleratore. Che non si era mai fermata, e forse, neppure ascoltata. Un’anima, che facevi fatica a seguire lungo i discorsi che instancabilmente delineava, tante erano le “cose” e le persone di cui aveva amato circondarsi sino ad allora. Il fare sofisticato, un’intelligenza viva e pungente, eh quel sorriso dolcissimo anche se appena accennato. Ma di colpo, si faceva largo un’ombra, pronta ad incupirla dal di dentro sino a gelarne i densi racconti: quando era il buio a regnare su di lei, sembrava quasi assumere altre sembianze, Carla; l’espressione si faceva inquieta, a tratti interrogativa, ed il volto era talmente provato da condizionarne temporaneamente le fattezze, salvo poi restituirgliele intatte. Eccola lì – pensai anche quella volta – è nuovamente “tornata in sé”.

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