La colite psicosomatica
L’evacuazione di un sè non accettato
Nell’arco della propria vita, chiunque, dal più sensibile al più razionale, avrà avuto modo di constatare che il proprio corpo e i propri organi sono, molte volte, il rappresentante simbolico di uno stato emotivo inesprimibile verbalmente, divenendo l’organo stesso il mezzo con cui parlare. Ce ne rendiamo conto quando il nostro cuore batte forte dinanzi ad un carissimo amico di cui siamo innamorati ma di cui non possiamo prenderne coscienza perché spaventati dalle conseguenze, oppure dinanzi ad un gran mal di testa, dopo che ci siamo detti “Basta, non ci pensare” (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “La cefalea psicosomatica – La logica che uccide”) , o davanti ad una gastrite lancinante causata dai nostri vani tentativi di reprimere vissuti di rabbia verso una persona cara (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “La gastrite psicosomatica – Il dolore delle emozioni indigeribili” ). Un organo che viene preso molto spesso in considerazione, dinanzi alle proprie angosce, è l’intestino, rappresentante non solo dei “bassi istinti” ma anche della funzionalità che esso ricopre: eliminare le scorie e, dunque, i vissuti e le parti di sé inaccettabili, attraverso le coliti.
La colite è un sintomo prevalentemente psicosomatico, che può presentarsi in forma sporadica, rispetto ad un evento particolare o in forma cronicizzata nei “colitici”.
La forma sporadica della colite psicosomatica è collegata prettamente alla funzionalità dell’intestino di eliminare ed evacuare, senza elaborazione, il proprio vissuto emotivo. La capacità di digerire dello stomaco è strettamente collegata alla capacità della mente di elaborare i propri vissuti emotivi. Nel momento in cui la mente è incapacitata nel digerire nuovi stati emotivi, ecco che quest’ultimi vengono direttamente evacuati a livello intestinale, come una grossa indigestione (il detto “Fai gli incubi perché hai avuto un’indigestione” in realtà si riferisce esattamente a questa colleganza tra mente e apparato digerente).
Immaginiamoci una ragazza intenta a studiare gli ultimi 10 minuti, sui gradini dell’università, prima di entrare in aula per un esame. La sua ansia è molto forte, più forte di quanto lei possa sopportare; la propria mente non è in grado di elaborare e “digerire” tutta quest’ansia, provocando, dunque, una colite, ossia un’evacuazione diretta di questi vissuti ansiogeni. Dopo la scarica diarroica la ragazza si sentirà comunque ansiosa, ma ad un livello che la propria mente è in grado di gestire. Un altro esempio può essere collegato ad un vissuto di un’altra persona che risuona su nostri vissuti non ancora coscienti. Pensiamo ad un ragazzo che ha paura delle responsabilità e di maturare (per un approfondimento si rimanda all’articolo “I giovani Peter pan di oggi – Volere o volare”) e che da poco si è fidanzato con una ragazza che le dice che una sua cara amica è rimasta incinta. Molto probabilmente il ragazzo potrebbe identificarsi con questa situazione e la paura inconscia di crescere e diventare padre può essere per lui così forte ed inelaborabile da provocarli una colite. In queste forme di coliti, notiamo dunque che la sintomatologia è legata unicamente ad un sovraccarico del quantitativo emotivo, legato perlopiù ad un determinato evento, che viene scaricato sul corpo attraverso la funzionalità dell’intestino.
Nella forma cronicizzata, entriamo più in un quadro di personalità caratterizzato da eccessiva attenzione alla pulizia con un atteggiamento metodico, moralista, ordinato e con un grande controllo dell’ambiente circostante ed interno. In questo caso le feci della colite rappresentano i pensieri sporchi, collegati a fantasie sessuali, impulsi aggressivi o propositi contrari alla morale di riferimento. Si tratta dei “bassi istinti” che non devono essere visti all’esterno e spesso vengono anche sottratti alla propria coscienza, eliminandoli posteriormente, lontani dalla propria vista, delineando, talvolta, una vera e propria personalità isterica (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “L’isteria – Psicopatologia dei sessi”). Il colitico ha un estremo bisogno di sentirsi pulito, fuori e dentro e si sottopone a rituali ed abitudini molto spesso igienici che acquisiscono nel tempo un carattere inconscio di veri e proprio riti di purificazione. Le scariche diarroiche rappresentano il tentativo di scissione che il colitico tenta di effettuare, conservando di sé un’immagine pulita e retta ed eliminando tutte le parti di sé inaccettabili. Il caos e le pulsioni viscerali riescono così a scaricarsi, mantenendo seppur un precario equilibrio psicofisico. Nei casi più gravi, tale sintomatologica cronicizzata può dipendere da molestie o abusi sessuali subiti in infanzia (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “L’abuso sessuale nel mondo dei minori – L’abisso dell’abuso”) o da un contesto familiare invischiante e senza confini, dove i segreti, anche sessuali e di tradimenti, dei genitori vengono condivisi anche con i propri figli, caricandoli di vissuti per loro ancora troppo pesanti e inelaborabili.
In quest’ultimi casi è sentitamente consigliata una psicoterapia che permetta, attraverso una relazione sana con il terapeuta, di elaborare tali vissuti e integrarli nel proprio equilibrio mentale.
Nella vita di tutti i giorni, invece, quando abbiamo un attacco di colite, dovremmo approfittarne per chiederci cosa stiamo nascondendo a noi stessi, come stiamo e, soprattutto, perché non accettiamo quella emozione che, in maniera così naturale, è nata nel nostro corpo. Accettare le nostre emozioni non significa avvicinarci al mondo istintuale ed animale, bensì significa accettare noi stessi e dare voce e forza alle nostre esigenze emotive e ai nostri desideri, molte volte inespressi per paura della solitudine e del cambiamento. Nulla come un “attacco” di colite ci indica che stiamo facendo una violenza a noi stessi, gettando quella parte di noi giù nello sciacquone.
Dott. Dario Maggipinto
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Per Approfondire:
R. Morelli, P. Fornari, V. Caprioglio, D. Marafante, P. Parietti; Dizionario di Psicosomatica; Istituto Riza di Medicina Psicosomatica, 2007, Milano
F. Agresta, 2010, Il linguaggio del corpo in psicoterapia. Glossario di psicosomatica, Alpes, 2010, Roma