La funzione psicologica della fiaba. Il regno del proprio inconscio
“C’era una volta, tanto tanto tempo fa, un regno…”
Ogni bambino, nel proprio percorso di crescita, si ritrova ad affrontare angosce e fantasie relative alla propria fase di sviluppo, superando delusioni narcisistiche, dilemmi edipici, rivalità fraterne, dipendenze infantili, conseguendo una propria individualità, un proprio valore ed un proprio senso morale, effettuando dunque quel passaggio necessario da identità unicamente famigliare (dove la propria identità è data in relazione al sistema famigliare) ad un’identità individuale (dove la propria identità è autocostituita). Attraverso i secoli, durante i quali, con le successive rielaborazioni, diventarono sempre più raffinate, le fiabe finirono per trasmettere nello stesso tempo significati palesi e velati, finirono cioè per parlare simultaneamente a tutti i livelli della personalità umana. La fiaba si occupa, infatti, di problemi umani universali, soprattutto di quelli che preoccupano la mente del bambino, e quindi parlano del suo Io in sviluppo e ne incoraggiano la crescita, placando nel contempo pressioni consce ed inconsce. Il bambino può giungere alla conoscenza ed alla capacità di conoscere se stesso non attraverso una comprensione razionale della natura e dei contenuti inconsci, ma familiarizzandosi con esso, effettuando sogni ad occhi aperti: riflettendo, fantasticando e rielaborando intorno ad adeguati elementi narrativi in risposta a determinate pressioni inconsce.
È qui che le fiabe hanno un valore senza pari: offrono nuove dimensioni di pensiero e di immaginazione che sarebbero impossibili da scoprire se il bambino fosse lasciato a se stesso, poiché le fiabe pongono il bambino in maniera onesta di fronte ai principali problemi umani. Molte storie cominciano con la morte di una madre o di un padre; altre storie parlano di un genitore anziano il quale decide che è venuto il momento di lasciare che la nuova generazione prenda il sopravvento, ma prima che questo possa avvenire, il successore deve dimostarsene degno e capace. È caratteristico delle fiabe esprimere un dilemma in modo chiaro e conciso, permettendo al bambino di afferrare il problema nella sua forma più essenziale. Nella fiaba il bene e il male si incarnano in certi personaggi e nelle loro azioni, senza ambivalenze, poiché la polarizzazione domina la mente del bambino (Per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo Amore e Odio – Bambino, oggetto e spinta alla riparazione) . Il male non è privo delle sue attrattive, simboleggiate dal gigante, dal drago, dal potere della strega, dalla scaltra regina, e spesso ha temporaneamente la meglio. È grazie all’identificazione che il bambino ha con l’eroe in tutte le sue lotte e prove,però, che riesce a sopportare le tribolazioni che la vita gli sta ponendo, trionfando con lui quando ha la meglio sul cattivo. Il bambino compie queste identificazioni da solo e le lotte interiori e col mondo esterno dell’eroe istillano in lui il senso morale. S’identifica con l’eroe buono non per la sua bontà ma perché la condizione dell’eroe esercita un forte richiamo positivo su di lui. L’interrogativo che si pone il bambino non è “Voglio essere buono?” ma “Come chi voglio essere?”: decide chi essere proiettando tutto se stesso su un singolo personaggio ed identificandosi con esso. Nel lavoro psicoterapeutico psicodinamico con i bambini gli strumenti che vengono maggiormente utilizzati per accedere alla dimensione inconscia sono il disegno, il gioco (Per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo Il ruolo del gioco nello sviluppo – Da 0 a 99) e le fiabe. Attraverso questi mezzi, il bambino parla di sé, dei suoi desideri e delle sue angosce, identificandosi con i personaggi del suo disegno, del suo gioco e della sua fiaba. La fiaba, però, permette al bambino di essere ascoltatore partecipe, di accedere all’inconosciuto, imparare nozioni e riconoscere le proprie emozioni. Le fiabe sono, inoltre, collocate in un tempo ed un spazio lontano (“c’era una volta, in un regno molto molto lontano..”). Nel processo di identificazione il bambino può indirizzare le sue paure verso quei personaggi della fiaba collocati, appunto, in un altrove molto lontano. Questa peculiarità della fiaba permette al bambino di vivere e di placare le angosce rispetto al fatto che il racconto possa essere reale o che gli eventi possano succedere proprio lì, a lui, in quel momento.Così come nel sogno, ogni elemento della fiaba possiede un significato simbolico e culturalmente condiviso; pertanto immaginare una piccola Cappuccetto Rosso che deve attraversare il bosco per recarsi dalla propria nonna, richiama al bambino una fase di passaggio tracciata solo da un sentiero prezioso, nell’oscurità psichica della foresta. Più primitive sono le angosce che invece possiamo trovare in altre fiabe, come Hansel e Gretel, che vengono abbandonati nella foresta, dopo una decisione presa dalla madre, senza sentieri né direzioni. In questo caso l’angoscia non è data dalla scoperta delle proprie pulsioni (come il lupo in Cappuccetto Rosso), bensì dall’ abbandono e dalla separazione dalla propria madre in un delicato momento di vita in cui il bambino deve passare da una fase simbiotica ad una fase triangolata dal padre, edipica (per un maggior approfondimento si rimanda agli articoli articoli Il complesso di Edipo – All’alba della legge del padre e Il complesso di Edipo secondo Laio – Il padre mutilante). Nonostante ciò, le fiabe sono uniche proprio perché possiedono un multiverso di significati, esattamente come il sogno: il bambino trae un significato diverso della stessa fiaba a seconda dei suoi interessi e bisogni del momento, potendo diventare uno strumento terapeutico anche per l’adulto. Un ragazzo in età puberale può aver bisogno di riascoltare la fiaba di Hansel e Gretel, trovandoci altri significati inconsci relativi alla propria esperienza personale che differiscono dal significato collettivo. Non è un caso, infatti, che nella medicina indù tradizionale veniva assegnata ad un individuo psichicamente disorientato una fiaba che interpretava il suo particolare problema. Egli doveva farne l’oggetto della sua meditazione e ci si aspettava che in questo modo fosse indotto a visualizzare sia la natura delle sue difficoltà, sia la possibilità di superarle, così come avviene nella storia di “Mille e una notte”. La fiaba dunque, a differenza della favola che possiede unicamente un significato morale e sociale (es. La cicala e la formica), permette una costante ricerca e riformulazione di se stessi in ogni fase della nostra vita, attraverso l’utilizzo dell’archetipo dell’eroe (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “Star Wars: Il risveglio della Forza” – Il cinema e l’eredità del mito, tra eroi, spade laser e archetipi junghiani) che conquista il proprio regno (psichico) e la semplicità dei contenuti, permettendo un’immediata proiezione e identificazione con determinati personaggi. Inoltre, non solo permette al bambino di placare le proprie angosce consce ed inconsce, ma permette all’adulto di riavvicinarsi al proprio mondo emotivo e fantasmatico, ridonando un senso ed una vitalità ai propri sogni, notturni e diurni.
Dott. Dario Maggipinto
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Per approfondire:
Bettelheim B., “Il mondo incantato, uso, importanza e significati psicoanalitic delle fiabe”, Universale Economica Feltrinelli, 1975
Ferro A., “La tecnica nella psicoanalisi infantile – Il bambino e l’analista: dalla relazione al campo emotivo”, Raffaello Cortina Editore, 1992