“Quel fantastico peggior anno della mia vita”
L’adolescenza: un duello epico tra la vita e la morte psichica
Greg ha un sogno. Passare inosservato e indenne attraverso gli anni del liceo. Al college non vuole andare, perché lì dovrebbe difendersi dalle prese in giro dei compagni di corso per ventiquattr’ore al giorno e non reggerebbe lo stress. Galleggia sulla superficie delle cose, senza stringere veri rapporti con nessuno. Anche il suo migliore amico, Earl, Greg lo definisce un collega, perché condivide con lui la passione per il cinema d’essai, a cui fanno il verso nelle loro parodie cinematografiche. Ma poi Greg frequenta Rachel. È sua madre a costringerlo a farlo, perché Rachel ha il cancro, una forma acuta di leucemia. È per questo che il ragazzo inizia ad andare a casa sua ogni pomeriggio. E continuerà a farlo per un anno intero. Un anno in cui Greg sarà costretto ad entrare in rapporto con Rachel, e con se stesso. Il confronto tra la sua vita, ancora da cominciare, e quella della ragazza, che potrebbe dover finire, lo costringono a prendere una decisione, una direzione e ad esistere una volta per tutte.
“Quel fantastico peggior anno della mia vita”, sfortunata traduzione non letterale del titolo originale “Me, Earl and the dying girl” è un inno alla vita, anche se è un film che affronta il tema della malattia e della morte in adolescenza. Sembrerebbe un ossimoro, ma non lo è. Nel momento in cui una vita dovrebbe cominciare è già destinata a fare i conti con la propria finitezza e con quello che resta di se stessi. Ma quello che Greg scopre accanto a Rachel è che nessuna vita finisce, perché ognuno di noi esiste in coloro che ama. Può sembrare una lezione banale, tipica di film hollywoodiani, ma quello di Alfonso Gomez-Rejon è un piccolo capolavoro indie, a basso budget, che porta sul grande schermo volti sconosciuti dall’incredibile talento, e affronta un tema spinoso senza rifugiarsi in facili ipocrisie, come fanno nel film “Tutta colpa delle stesse”. Al contrario delle pillole di zucchero da blockbuster, questo film racconta la malattia per quello che è, per l’imbarazzo che crea negli adulti; nella disorganizzazione che porta con sé in ogni sistema che investe, dalla famiglia alla scuola; nelle modificazioni che impone ad un corpo ancora acerbo, che aspettava di sbocciare. Ma racconta anche la vita, quella di Greg, che sta per cominciare; racconta l’amicizia; racconta la delusione; la voglia di arrendersi e poi di ricominciare. Proprio come ci mostra Greg.
L’adolescenza è un duello senza esclusione di colpi tra la vita e la morte psichica, tra l’affermazione di sé e l’annichilimento, o per usare le parole di Erik Erikson, psicoanalista tedesco naturalizzato statunitense, tra “il non più e il non ancora”. Egli ha elaborato la teoria dello sviluppo psicosociale diviso in otto fasi, che coprono l’intero ciclo di vita dell’uomo. Per accedere allo stadio successivo ed evolversi, l’individuo deve risolvere il conflitto psicosociale tipico dello stadio in cui si trova.
Per quanto riguarda l’adolescenza il conflitto è tra l’acquisizione di una identità o il suo rifiuto, e la dispersione di identità. Ognuno di noi si trova a dover integrare nel corso dello sviluppo “dati costituzionali, bisogni della libidine (…) identificazioni significative, difese efficaci (…) e ruoli coerenti.” (Erikson 1959, 116) In adolescenza i cambiamenti del corpo, uniti alle pressioni sociali subite dal giovane, lo spingono a prendere una direzione e integrare le varie identificazioni che si porta dall’infanzia, per formare un’identità completa e adulta. Ed è proprio questa l’enorme sfida che Greg affronta, e vince. Perché la sfida che l’adolescenza gli pone di fronte è quella di vivere, e al contrario di tanti adulti, Greg la accetta.
Dott.ssa Valeria Colasanti
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Per approfondire:
- I cicli della vita. Continuità e mutamenti. E.Erikson e J. Erikson, ed. Armando 1999;
- Gioventù e crisi di identità. E. Erikson, ed. Armando 1995