Tag: psicologia

Legami Di Attaccamento
Oltre l’amore di un padre

Alla Ricerca della Felicità – Film (2006)

Il concetto di attaccamento è sinonimo di cure, sicurezza e amore.

È la relazione, a cui siamo spinti sin dalla nascita da tendenze biologiche ed innate, che istauriamo con una figura di accudimento primario, definita caregiver (“che dà cure”). Il ruolo preferenziale di caregiving nella relazione con il bambino è culturalmente e biologicamente affidato alla mamma, che segue il suo piccolo nella crescita e favorisce lo sviluppo di una personalità “sana” ponendosi come “base sicura” e rispondendo in maniera “sufficientemente buona”  ai suoi bisogni. La mamma è colei che dà cibo e amore ed è, banalmente oppure no, il primo punto di riferimento del bambino.

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La dipendenza
Vuoti di vita da colmare

Quando parliamo o sentiamo parlare di dipendenze facciamo spesso i conti con sentimenti di preoccupazione, paura, rabbia… Ci spaventa e ci fa arrabbiare l’idea di perdere il controllo su noi stessi, cadere e superare una fantomatica linea di confine fra il nostro  volere e il subire. A volte ci preoccupa anche solo sapere di non essere indipendenti e dipendere da cose, eventi o persone esterne al nostro mondo interiore.

Guardiamo alle grandi e invalidanti dipendenze (da sostanze, ad esempio) con paura anche quando sono lontane da noi poiché ne conosciamo i meccanismi che quotidianamente sperimentiamo: ogni giorno viviamo piccole forme di dipendenza, comuni e pressoché salutari. Ancor prima della nostra nascita e per molti anni di vita, infatti, sperimentiamo la dipendenza dalle cure e dalle attenzioni di nostra madre. Arriva un giorno in cui crediamo di aver ottenuto un buon grado di indipendenza da lei, molto spesso nella fase di ribellione e separazione adolescenziale, quando impariamo a gestire nel bene e nel male i nostri piccoli impegni e doveri. 

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I Peter Pan di oggi
Volere e volare

Sembrava una mattina come tante altre. Sveglia presto, caffè di corsa, vestirsi, lavarsi, provare a dare un senso ai capelli, un filo di trucco…per poi immergersi nel traffico mattutino della Capitale ed affrontare la solita routine noiosa, ma rassicurante. Quella mattina di autunno, assorta nei miei pensieri, ferma ad un semaforo, mi accorsi di un particolare che mi colpì senza capirne sul momento il senso: il mio sguardo si soffermò su una semplice foglia secca, una foglia ormai rigida e color marroncino che rotolava per la strada trasportata dal vento. Inerme, la foglia fece molti metri davanti a me sull’asfalto, come cullata dal soffio del vento, mentre io ero lì, ferma, bloccata a guardarla e ad aspettare il mio turno verde per passare. 

Nei giorni seguenti mi ritornò in mente più volte quell’immagine ed il suono del vento; ad accompagnare i miei ricordi, una forte sensazione di freddo. Mi chiesi come mai mi avesse colpito quella situazione così ordinaria e banale, vista altre mille volte,  ed avesse reso quella mattina diversa dalle altre mattine. Capii che quell’evento era la metafora perfetta della mia vita: in quel particolare momento di vita mi sentivo insicura, non sapevo se voler essere vento o foglia, trasportare o essere trasportata dagli eventi, impormi o essere inerme, fare o non fare, crescere o non crescere.  

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Ipocondria
Silenzi del corpo, rumori dell’anima

Ci capita, a volte, di aver paura di qualcosa che a mente fredda reputiamo inverosimile.

Come quelle sensazioni fisiche comuni e diffuse (un mal di testa, un mal di pancia o la scoperta di piccole e antiestetiche macchioline sulla nostra pelle..) che ci spaventano ed evocano in noi incontrollabili preoccupazioni per la nostra salute. Tendiamo ad esternare le paure dal momento che parlarne le rende più digeribili e sopportabili; esse vengono, però, apostrofate come “esagerazioni” dai nostri cari e come “distorte interpretazioni di sintomi somatici” dai medici a cui ci rivolgiamo frequentemente per ricevere rassicurazioni sulla nostra condizione fisica.

Nel persistere di uno stato di angoscia e preoccupazione, ci convinciamo che quel semplice doloretto o fastidio fisico sia il sintomo attraverso cui il nostro corpo ci comunica l’esistenza di una malattia ben più grave. Dal sintomo, alla paura, alla convinzione di nascondere in noi un “seme malato” che può distruggerci piano piano e di fronte cui ci sentiamo deboli ed inermi. Arriviamo a pianificare nella nostra mente strategie poco concrete per scampare alla morte o ad immaginarci catastroficamente come sarà breve il percorso da lì alla fine dei nostri giorni. 

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Gli uomini vittime di stalking
Soffi di voce nel Caos

The Bird Cage – Sheila Hill, 2010

Ogni giorno notizie di cronaca raccontano storie di violenza familiare immerse in dinamiche perverse di amore. Frequentemente la scintilla che accende la violenza è un’ossessione di controllo e di dominio, un sentimento patologico di rabbia, gelosia e vendetta rivolto alla persona desiderata, amata, odiata.

Lo stalking è una forma subdola di violenza che si scatena abitualmente nella fase iniziale o finale di una storia d’amore, quando il carnefice perde il controllo per un rifiuto o un abbandono: lo stalker, ancorato ad una fantasmatica identità di coppia, agisce nel disperato tentativo di mantenere l’equilibrio della simbiosi precedente e, in un’escalation di violenza, passa dal far recapitare regali, alla ricerca del contatto telefonico ed epistolare in forma anonima, alle minacce, agli insulti, finanche alla violenza fisica. I comportamenti persecutori sono reiterati, intrusivi ed atti a mantenere un potere sulla vittima, che ne ricava un profondo disagio psichico temendo per la propria sicurezza e per quella delle persone a lei care.

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Nel vortice della Depressione
La vita di coppia e la sessualità

Noia. Senso di vuoto. Impotenza. Bassa autostima. Apatia. Rabbia. Tristezza..

Sono solo alcuni, i più diffusi, vissuti associati alla depressione.

Qualche volta ci capita di sperimentarli sulla nostra pelle, conosciamo questi sentimenti ed anche quando siamo sereni, può capitare, leggendo i loro nomi, di sentirli vivi dentro di noi. La depressione è infatti un’esperienza molto più “nostra” e comune di quanto immaginiamo (per un approfondimento, si rimanda all’articolo “La Depressione- La crosta di una ferita interna” della rivista del mese di Gennaio 2015).

Secondo Melanie Klein, ogni individuo entra in contatto con le seguenti sensazioni nel momento di separazione primaria con la madre (“posizione depressiva normale”). Nel primo anno di vita, infatti, il bambino per la prima volta fa esperienza di quel sentimento di vulnerabilità, impotenza e tristezza che caratterizza la depressione in ogni fase di vita. È posto di fronte al dilemma di non poter bastare a se stesso, di essere dipendente da un oggetto esterno, come la mamma che ha un compito centrale nel superamento della 

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Identità
Come si risponde alla domanda “Chi sei?”

Eccoti lì: seduto di fronte ad un uomo distinto che ti scruta da una sedia in apparenza molto più comoda della tua. È un esperto in selezione del personale, presumibilmente uno psicologo del lavoro, mentre tu sei al secondo colloquio in questo mese. Quel posto è fatto apposta per te, hai studiato e fatto pratica in quel settore, sei pronto a rispondere ad ogni domanda teorica e tecnica su quella specifica mansione. Hai appena ribadito il tuo nome e, ostentando sicurezza, ti stai accingendo ad esporre dettagliatamente la tua carriera, quando vieni interrotto dalla fatidica richiesta: “Come si descriverebbe in 3 aggettivi?”. Probabilmente l’ultima volta che hai risposto a questa domanda stavi compilando un test su Cioè. Sorridi ed accenni un balbettio (prima fase di imbarazzo). Provi a guardarti dentro, cerchi tutte le possibili risposte sincere da dare che non siano banali, ti armi di coraggio e cinguetti qualcosa (seconda fase di imbarazzo). Il selezionatore potrà a questo punto essere soddisfatto della tua risposta, ma a te sembrerà incompleta, superficiale, se non addirittura poco simile a te.

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Dipendenza da Serie TV
Le emozioni tele-amiche

2015. Sabato sera a casa di amici.

Ragazza allo specchio – Picasso

Tavola imbandita, amatriciana, buon vino e chiacchiere generali su un pettegolezzo di quartiere.

Seduti vicini, A. ed M. si estraniano dalla conversazione di gruppo, iniziando a parlottare fra loro di un qualcosa che alle mie orecchie sembra molto interessante.

Incuriosita li osservo e ascolto la conversazione che diventa sempre più a toni coloriti.

“BIV” dice A. offrendo ad M. un bicchiere di vino bianco.

“…STA SENZA PENSIER”  risponde M. con tono rassicurante, ma duro.

Segue la risata spassionata dei due che si guardano con la complicità di chi condivide un qualcosa di intenso. Mi guardo intorno e mi accorgo che quel “teatrino” smuove pian piano l’attenzione di tutti presenti. Ecco che d’un tratto crescono le risate generali e il parlottio di sottofondo rende i miei pensieri confusi.

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La Dislessia
Gli struzzi non mettono la testa sotto la sabbia

Qualche giorno fa ero dal medico poiché, in seguito all’influenza, desideravo farmi visitare. 

Mi trovavo in sala di attesa  e, mentre il mio animo ipocondriaco contemplava la possibilità di aver contratto il virus dell’Ebola ed immaginava tutte le possibili soluzioni per scampare alla morte, attaccò bottone una signora di circa 60 anni. Parlammo del più e del meno (ovviamente anche dell’Ebola e delle nostre preoccupazioni), era visibilmente molto stanca e affaticata nell’eloquio. Dopo essersi interrotta nella comunicazione varie volte ed aver fatto fatica a trovare le parole giuste da dirmi, affermò con distrazione:

“Mi scusi, oggi sono proprio dislessica non riesco a parlare”.

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