L’attacco di panico. Il terrore nel divenire

Ognuno di noi, ogni essere umano, nell’arco della propria vita percorre determinate tappe, importanti per il proprio sviluppo. In un ottica culturale cristiana, il battesimo rappresenta allora la nascita nella società, la comunione rappresenta una nuova nascita, come individuo attivo, delineando il termine della “prima infanzia” e la cresima rappresenta la fine dell’infanzia verso l’adolescenza (in passato corrispondeva al passaggio nell’età adulta), il matrimonio rappresenta il passaggio dalla propria famiglia d’origine verso una famiglia costituita (e molto probabilmente le lacrime perse dai genitori durante questo rito sono anche di tristezza rispetto alla perdita del proprio\a figlio\a); e così, proseguendo, il battesimo del primo figlio rappresenta, per il genitore, la testimonianza alla società (e quindi a Dio) di essere madre\padre. Infine, l’estrema unzione, simboleggia il tentativo, della società, di arginare le angosce di morte della persona deceduta. 
Ci verrebbe da credere che la religione cristiana sia troppo rigida, piena di ritualità insensate, che non permette all’essere umano di esprimersi.

In realtà è vero il contrario, nel senso che la ritualità è insita nell’essere umano e viene utilizzato il rito per sancire il passaggio da una fase di vita ad un’altra e arginare le angosce destrutturanti, dovute alla perdita di una vecchia identità verso un’altra, o, ancora più difficile, verso l’integrazione di una nuova identità (ad es. di genitore) in una più vecchia ( ad es. di figlio\a).

Lo sviluppo mentale dell’essere umano si struttura, infatti, in fasi, o step, così come definito da Erikson (si rimananda agli articoli Identità – Come si risponde alla domanda “chi sei?” e Formazione dell’identità – Un processo senza fine ) attraverso un passaggio distinto in infanzia-adolescenza-adulto-anzianità. Ognuna di queste fasi è costituito da una determinata identità che il soggetto si costituisce, attraverso un’integrazione tra temperamento, sistema famigliare e sistema culturale, permettendo di ricevere una determinata integrità rispetto al rapporto con l’altro, il mondo, ed il Sé.  Può avvenire che, nelle fasi di passaggio, l’individuo non si senta pronto, ossia sappia che identità stia abbandonando ma non quale nuova identità rivestire, ad esempio, sappia di non essere più uno studente universitario, ma di fatto, non si senta ancora pronto per la qualifica ricevuta ( si rimanda all’articolo I giovani peter pan di oggi – volere e volare). Oppure non riesca ad integrare una nuova identità, quella di madre, nella vecchia identità di figlia: Il timore di separarsi definitivamente dal proprio nucleo famigliare e di diventare lei stessa un punto di riferimento per un’altra persona la portano a vacillare e a non sentirsi pronta per indossare questa nuova identità. In tutti questi casi di forte cambiamento della propria identità, dove non sappiamo cosa ci aspetta, o una vecchia parte di noi ci impedisse di andare avanti, è molto frequente che l’individuo possa incorrere in una sintomatologia ormai nota nello scenario psicologico: l’attacco di panico (si rimanda all’articolo L’attacco di panico – Quei sani sabotatori interni). L’attacco di panico è un’intensa manifestazione ansiosa caratterizzata da episodi di 15-30 minuti di estrema apprensione e forte disagio per paure irrazionali. I sintomi sono: senso di soffocamento e di costrizione al petto, palpitazioni, sudorazione, tremori, brividi o vampate di calore, formicolio agli arti, senso di instabilità e timore di svenire, paura di perdere il controllo o di impazzire. Il principale e persistente pensiero presente durante l’Attacco di panico è la convinzione di una morte imminente. Questo vissuto in realtà riporta ad un’angoscia più arcaica, ossia l’angoscia di impazzire e di destrutturarsi, poiché si ha la forte sensazione di andare incontro al vuoto (l’assenza di un’identità da indossare) o contro un pericolo (indossare un’identità non voluta o a cui non ci si sente pronti). Generalmente chi soffre di attacchi di panico tende a sottovalutare l’aspetto emotivo e psichico, poiché i sintomi sono principalmente fisici, ma, a differenza del soggetto psicosomatico (si rimanda all’articolo L’alessitima – Quando il corpo mette in scena le emozioni), in parte, dentro di sé, conosce qual è il reale problema alla radice: il suo modo di essere, il suo stile di vita e la sua identità gli vanno ormai stretti, poiché se un’identità non può mutare nel tempo diviene rigida come una camicia di forza, ma lui, testardamente, non vuol modificare nulla di sé. A volte arriva a recitare anche un personaggio che non ha più nulla di suo, ed è come se portasse sul viso una maschera che occulta chi è veramente: chi soffre di panico si ostina a soffocare la propria vera natura. La parte profonda del cervello, perciò, quando percepisce che si è arrivati al limite, si fa carico di espellere tutta questa energia creativa (la voglia di essere se stessi) non espressa e l’esigenza di rompere gli argini fittizi, percepiti troppo stretti. La sintomatologia dell’attacco di panico, può rappresentare, dunque, un impellente bisogno di emancipazione e separazione da una vecchia identità percepita come scomoda e stretta dal proprio mondo emotivo. Ma perché la coscienza rifiuta di abbandonare le vecchie vesti? Generalmente è un sistema famigliare o relazioni invischianti e complesse (si rimanda all’articolo Relazioni patologiche e doppi legami – di relazioni ci si ammala, di relazioni si guarisce) che ci impediscono di abbandonare la nostra vecchia identità: Immaginiamoci una madre vedova, che non è stata in grado di ricrearsi una propria vita dopo la morte del marito e che ha investito tutte le proprie energie sul proprio figlio. Per quest’ultimo, diventare grande e dunque effettuare un cambio della propria identità, rappresenterebbe un dover abbandonare la propria madre. Oppure immaginiamoci un sistema famigliare che ha sempre deresponsabilizzato o fatto sentire un inetto il proprio figlio (si rimanda all’articolo Il complesso di Edipo secondo Laio – Il padre mutilante), in questo modo il bambino percepirà un’insicurezza cronica ed un forte stato di angoscia nel crescere. In quest’ottica l’attacco di panico può essere inteso come una forma di ansia da separazione, in cui “abbandonare” il proprio nucleo familiare, e la propria madre, può rappresentare un tradimento e dunque può essere vissuto dall’individuo con forti sensi di colpa e angoscia rimossi ed espressi sul corpo mediante attacchi di panico e disturbi psicosomatici vari. Per evitare che sia il proprio corpo a parlare per noi, è importante dare importanza ad ogni passaggio della nostra vita ed al cambiamento, cercando di strutturare una relazione non solo con l’altro, il cui rapporto viene modificato e non eliminato, ma anche con sé stessi; rispettare la ritualità della propria psiche, che a volte richiede tempo per un cambiamento (e dunque sarete spossati e tristi) altre volte lo esige nell’immediato, laddove se ne è perso fin troppo; ed infine è importante un buon contatto con le proprie esigenze e chiedersi se c’è qualcosa dentro di sé che si sta ignorando e, soprattutto, se nella propria vita c’è spazio per se stessi e non solo per le relazioni con gli altri.

Dott. Dario Maggipinto

Riceve su appuntamento a Chieti
(+39) 334 9428501

dario.maggipinto@gmail.com

Per approfondire:

R. Morelli, P. Fornari, V. Caprioglio, D. Marafante, P. Parietti; Dizionario di Psicosomatica; Istituto Riza di Medicina Psicosomatica, 2007, Milano 

F. Agresta, 2010, Il linguaggio del corpo in psicoterapia. Glossario di psicosomatica, Alpes, 2010, Roma Falabella M. (2002).

ABC della Psicopatologia: esplorazione, individuazione e cura dei disturbi mentali. Magi Edizioni Gabbard G. O. (2007). Psichiatria psicodinamica. Raffaello Cortina Editore 

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