L’abitudine
“Vestirsi” di sè
Settembre. A presto, Estate.
Si ricomincia.
È sempre bello tornare a casa. Bentornata “solita vita”. Possiamo percepire realmente il gusto di un viaggio nel momento esatto del ritorno, quando il bagaglio di nuove esperienze acquisite durante il percorso, ci dà lo spinta per affrontare con nuove ricchezze la vita di tutti i giorni (si rimanda all’articolo sul viaggio “Sul bisogno di occhi nuovi” della rivista di aprile 2015).
Al ritorno, sfogliando le foto scattate durante il viaggio e riassaporando quei momenti di libertà dagli obblighi della vita convenzionale, ci assale un sentimento di malinconia che ci spinge a a fantasticare su possibili strategie di evasione dalla routine. È in quel momento di passaggio fra il “dolce far niente” e la ripresa delle responsabilità quotidiane, che sentiamo la pesantezza del ritorno.
Settembre è, per tutti, tempo di valutazioni sul presente e di scommesse sul futuro.
“Mi chiedo, a volte, cosa ci porta a scegliere una vita piatta; o meglio, non mi chiedo, contesto.” (un verso di “Quasi” – poesia di Luis Fernando Verissimo, riportata integralmente in fondo all’articolo)
Le abitudini sono tendenze a ripetere stesse esperienze in un dato contesto ed in maniera stabile nel tempo. Sono risposte a stimoli intenzionali, ovvero che l’individuo mette in atto per sua volontà. Si sviluppano, come alcune abilità cognitive, attraverso il meccanismo di apprendimento per ripetizione. Hanno un ruolo funzionale: servono a noi per gestire con equilibrio le attività quotidiane riducendo l’impiego ed ottimizzando le risorse cognitive al minimo. Con il passare del tempo, infatti, diminuendo l’impiego di risorse attentive nell’attivazione dei comportamenti abitudinari, divengono automatici.
È esperienza condivisa pensare all’abitudine con emozioni ambivalenti: essa ci fornisce rassicurazione permettendoci di diminuire i livelli di stress e lo spreco di energie; ma al contempo può opprimerci con la monotonia che la caratterizza.
Abitualmente svolgiamo le attività quotidiane in maniera automatica e senza pensare troppo o prestare particolare attenzione alla ripetitività delle azioni. Quando, invece, il pensiero si sofferma su ciò che stiamo facendo e classifica come “routine” un dato comportamento, percepiamo la noia ed iniziamo a focalizzarci sugli aspetti negativi associati ad esso.
L’insofferenza all’abitudine conduce all’insoddifazione. Ma il cambiamento non è una scelta automatica, anzi spaventa. Più siamo fragili ed insicuri, più tendiamo a rifugiarci nelle abitudini per non perdere l’equilibrio e disorientarci.
Si definisce “resistenza al cambiamento” la tendenza a respingere ogni novità pur riconoscendone caratteristiche positive e migliorative. La paura dell’ignoto può farci rimanere in un limbo di insoddisfazione a metà tra l’accettazione dell’abitudine e la spinta al cambiamento. Il cambiamento diviene più facile quando le abitudini sono accompagnate da emozioni negative più forti della paura di cambiare.
L’abitudine può fungere da meccanismo di difesa o rappresentare una via di fuga, come quando rappresenta il ritiro nella dimensione di chi non vuol prendersi la responsabilità di essere (si rimanda all’articolo sulla sindrome di Peter Pan “Volere e volare” sulla rivista di aprile 2015).
Il termine abitudine deriva dal latino “habitus”, che significa abito. L’abitudine è un vestito, dunque, che ognuno di noi si cuce addosso nel corso della sua esistenza, in base alle proprie caratteristiche, possibilità e volontà. Durante le fasi della vita, quest’abito può non calzare più bene come prima ed improvvisamente andare stretto. Ma bisogna sapere che ognuno di noi ha la possibilità di apportare piccole modifiche al suo abito, basta solo trovare il coraggio di usare ago e filo.
Vestirsi di sé è un compito arduo.
Di seguito uno spunto di riflessione per chi, ad oggi, sta pensando di cambiarsi di abito o sta ancora scegliendo cosa indossare.
“Quasi”
di Luis Fernando Verissimo
Ancor peggio della convinzione del no,
l’incertezza del forse è la disillusione di un quasi.
E’ il quasi che mi disturba, che mi intristisce,
che mi ammazza portando tutto quello che poteva essere stato e non è stato.
Chi ha quasi vinto gioca ancora,
Chi è quasi passato studia ancora,
Chi è quasi morto è vivo,
Chi ha quasi amato non ha amato.
Basta pensare alle opportunità che sono scappate tra le dita,
alle opportunità che si perdono per paura,
alle idee che non usciranno mai dalla carta
per questa maledetta mania di vivere in autunno.
Mi chiedo, a volte, cosa ci porta a scegliere una vita piatta;
o meglio, non mi chiedo, contesto.
La risposta la so a memoria,
è stampata nella distanza e freddezza dei sorrisi,
nella debolezza degli abbracci,
nell’indifferenza dei “buongiorno” quasi sussurrati.
Avanza vigliaccheria e manca coraggio perfino per essere felice.
La passione brucia, l’amore fa impazzire, il desiderio tradisce.
Forse questi possono essere motivi per decidere tra allegria e dolore, sentire il niente, ma non lo sono.
Se la virtù stesse proprio nei mezzi termini, il mare non avrebbe le onde, i giorni sarebbero nuvolosi
e l’arcobaleno in toni di grigio.
Il niente non illumina, non ispira, non affligge, nè calma,
amplia solamente il vuoto che ognuno porta dentro di sè.
Non è che la fede muova le montagne,
nè che tutte le stelle siano raggiungibili,
per le cose che non possono essere cambiate
ci resta solamente la pazienza,
però, preferire la sconfitta anticipata al dubbio della vittoria
è sprecare l’opportunità di meritare.
Per gli errori esiste perdono; per gli insuccessi, opportunità;
per gli amori impossibili, tempo.
A niente serve assediare un cuore vuoto o risparmiare l’anima.
Un romanzo la cui fine è istantanea o indolore non è un romanzo.
Non lasciare che la nostalgia soffochi, che la routine ti abitui,
che la paura ti impedisca di tentare.
Dubita del destino e credi a te stesso.
Spreca più ore realizzando piuttosto che sognando,
facendo piuttosto che pianificando, vivendo piuttosto che aspettando
perchè, già che chi quasi muore è vivo,
chi quasi vive è già morto.
Dott.ssa Emanuela Gamba
Per approfondire:
Duhigg C., “La dittatura delle abitudini. Come si formano, quanto ci condizionano, come cambiarle”, Ed. Corbaccio, 2012
Poliseno Antonio, “l’abitudine, un’utile necessità” Ed. Armando Editore, 2001
“L’abitudine di tornare” canzone di Carmen Consoli
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