La Depressione. La Crosta di una ferita interna
“ Non puoi stare tutto il giorno a letto, devi fare qualcosa! “
“ Stai troppo tempo in casa, non esci mai. ”
“ Cerca di reagire, stare così non servirà a nulla.. ”
“ È tutto nella tua testa! ”
“ Non sei più quello di un tempo.. ”
Marco non ride più, non lavora più, non mangia più. Dorme troppo, piange troppo, si odia troppo. Trascorre le sue giornate a letto. Il momento più brutto della giornata è svegliarsi, con la consapevolezza di dover far passare un’altra giornata in quel modo, vigile, ma senza vita. Il momento più bello è la sera, dove può far riflettere il proprio buio interiore con quello della notte. Marco non ha più voglia di far nulla, non per capriccio, ma per il semplice motivo di non avere più la spinta nel fare qualcosa, nel non avere più entusiasmo per le proprie attività. Tutto il suo entusiasmo è stato invaso dalla tristezza e dalla consapevolezza di non valere nulla nella vita, o di percepire la realtà esterna come troppo minacciosa e ingiusta.
Marco è depresso.
Marco si ritrova in quel abisso emotivo, vissuto da oltre 15 milioni di persone, in Italia.
E così, pian piano, Marco inizia a declinare tutti gli inviti di amici e parenti, e quest’ultimi, incapaci di comprendere e gestire tale malattia, reagiscono nel modo più ovvio possibile, quello che la società ha insegnato loro: “DEVI FARE QUALCOSA. – NON PUOI STAR FERMO, SENZA FAR NULLA.” E dopo questi inutili, per Marco, consigli, gli amici iniziano ad allontanarsi e i parenti ad allarmarsi sempre di più.
Non è semplice gestire la depressione, ne tanto meno una persona depressa. Quando ci si interfaccia con loro, la prima sensazione che si prova, è quella di essere inghiottiti nel loro mondo e di trovarsi in trappola nella loro realtà, bloccati, come le loro emozioni congelate. In preda al panico allora, l’amico della persona depressa inizia a scalpitare, desidera soltanto fuggire da quelle emozioni ingestibili, e l’unico modo per farlo è non pensare e, dunque, fare. Si sostituisce a lui, organizza, pianifica e progetta la sua vita, forse per far tacere una propria parte depressa (presente in ognuno di noi).
Marco in realtà, anche senza voglia, ha bisogno di parlare, necessita di una persona/contenitore che lo aiuti a riformulare la sua vita, se stesso e i suoi pensieri. Gli occorre inglobare, introiettare dentro di sé un oggetto buono, ossia una persona che si prenda cura di sé a tal punto da permettergli di imparare ad amare se stesso da solo.
È l’amore che abbiamo ricevuto in infanzia, e dunque la sicurezza in noi stessi, che ci salvaguardia da una forte e grave depressione quasi caratteriale (M. Klein, 1957); ma ognuno di noi può sperimentare un periodo depressivo nella vita: ciò dipende dalla forza dei traumi e degli avvenimenti esterni (lutti, perdita di un legame, crisi economica, disoccupazione) e dalla propria resilienza, ossia dalla capacità di far fronte, attraverso le nostre risorse interne, a tutti i momenti critici della vita. In questi casi, la fase depressiva è del tutto legittima, poiché essa, come sostenevano la Klein prima e Bion dopo, rappresenta un momento di integrazione di nuove parti del sé, a discapito di altre perdute, che permette, col tempo, di elaborare e superare l’evento traumatico subito.
In sostanza, dunque, la depressione è come la crosta di una ferita: Prima c’è lacerazione della carne, aperta e dolorosa, dopo, pian piano e lentamente, si crea la crosta, brutta e disgustosa alla vista, ma inevitabile per la guarigione della ferita. Infine rimane la cicatrice, prezioso promemoria dalla perdita subita e del cambiamento avvenuto.
Dott. Dario Maggipinto
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Per approfondire:
Bion W. R. (1962), Apprendere dall’esperienza, Armando, Roma, 1972.
Klein M. (1957), Invidia e gratitudine, Martinelli, Firenze, 1969