Dipendenza da cibo. Il legame tra nutrimento ed emozione
Sei al ristorante con gli amici. Arriva il cameriere che comincia ad elencare i primi piatti e lo fa con tale maestria e minuziosità che cala il silenzio, in un tavolo in cui qualche secondo prima era impossibile comunicare persino con chi ti era seduto vicino. Anche al tavolo accanto le persone che sono arrivate dopo e non hanno ancora ordinato, smettono di parlare e origliano attirate da un particolare cibo che li ha ipnotizzati. Quando il cameriere finisce di elencare il menù sei indeciso tra 4/5 pietanze, tanto che o gli chiedi di ritornare più tardi perché hai bisogno di una pausa di riflessione, oppure parte la consultazione tra amici: “Tu che cosa prendi?”.
Se ragioniamo sull’importanza che il cibo ha nelle nostre vite, è facile capire perché ne siamo sedotti. In fin dei conti ancor prima di nascere, all’interno del grembo materno noi ci nutrivamo! Il modo in cui mangiamo da quel momento in poi, si modella durante l’arco della nostra vita in base ai gusti, ai profumi ed alle preferenze dei cibi. In tutto questo gioca un ruolo fondamentale la nostra memoria: chi non è affezionato al ricordo della merenda preparata dalla nonna? O al nostro piatto preferito trovato al rientro dalla scuola?
Non a caso utilizzo il termine “affezionato”, perché è proprio la componente emotiva dei nostri ricordi che rende quei pasti ancora oggi più desiderabili rispetto ad altri. Per non parlare di quanto l’alimentazione influisca nell’ambito relazionale: è parte integrante dell’inizio del rapporto madre/bambino attraverso la suzione del seno materno, viene utilizzato spesso come mezzo grazie al quale instaurare o consolidare rapporti di amicizia o sentimentali, con la classica “cena in pizzeria”, riunisce intere famiglie intorno ad una tavola nei giorni di festa…e così via! Insomma in qualche modo siamo tutti “dipendenti” dal cibo. Senza di esso smetteremo di esistere.
Vi sono però delle modalità di alimentazione che si allontanano dal “compito” principale degli alimenti, ossia la nutrizione, e si modificano assumendo delle particolari modalità che divengono patologiche, e a loro volta potrebbero generare ulteriori disturbi. Per molti di noi umore ed alimentazione sono inscindibili: c’è chi sotto un forte stress prima degli esami svuota il frigorifero e chi invece non tocca cibo, ma sono reazioni diverse allo stesso stato emotivo. E da qui si potrebbero fare numerosi altri esempi: sono triste? Mangio! Mi annoio? Mangio! In linea di massima queste componenti sono presenti in parte in ognuno di noi, ma possono diventare un problema quando sfuggono totalmente al nostro controllo, non rispondendo più ai criteri di fame e sazietà. Le caratteristiche di alcuni tipi di comportamento alimentare sono simili a quelle tipiche di chi abusa di altre sostanze. La persona usa sempre lo stesso rituale: sente il bisogno di comportarsi in un determinato modo ed al tempo stesso è consapevole di non poter resistere a questo impulso, che potremmo chiamare compulsione. Avverte una tensione emotiva crescente, che precede l’inizio dell’atto compulsivo (craving); il passo seguente è lo svolgimento dell’atto, con la tensione che si allenta progressivamente mentre viene raggiunto l’appagamento. La conclusione del rituale è caratterizzata dalla consapevolezza di aver perso ancora una volta il controllo ed è seguita dai sensi di colpa, dal disgusto, fino al disprezzo ed alla rabbia verso se stessi. La ripetizione ciclica di questo comportamento, nonostante le evidenti conseguenze negative, rappresenta il meccanismo della dipendenza. I cibi che vengono consumati durante questo tipo di abbuffate sono generalmente ad alto contenuto calorico e spesso dolci; è difficile sentir dire “ero triste, ho aperto il frigorifero e mi sono mangiato un piattone di insalata!” Questo avviene senza dubbio in base alla reazione chimica che quei determinati cibi provocano nel nostro organismo, ed anche per la risposta emotiva, seppur temporanea, di piacere che procurano.
Ma si può realmente paragonare l’abuso di sostanze stupefacenti all’abuso di cibo? Pare proprio di sì! Diversi studi neurobiologici hanno dimostrato come l’uso di cocaina provoca in alcune aree del nostro cervello, il rilascio di dopamina, uno dei principali neurotrasmettitori coinvolti nel meccanismo del piacere e della ricompensa: la stessa cosa avviene anche dopo aver ingerito del cibo. Persone che fanno abuso di cocaina presentano appunto una ridotta sensibilità dei sistemi dopaminergici, la stessa che è stata riscontrata negli individui obesi. https://www.youtube.com/embed/j9oFW3GhKTE?wmode=transparent&autoplay=0&mute=0&theme=dark&controls=1&autohide=0&loop=0&showinfo=0&rel=0&enablejsapi=0
Definire un’unica spiegazione del perché una persona può o meno sviluppare una dipendenza da cibo non è possibile, perché bisognerebbe conoscere il vissuto del singolo individuo; ma un fattore comune potrebbe essere una bassa sensibilità ai messaggi provenienti dal nostro organismo e, contemporaneamente, un’eccessiva sensibilità ai messaggi provenienti dall’ambiente circostante. Tutto ciò dimostra che alla base della dipendenza dal cibo vi siano un insieme di fattori tra i quali però la componente emotiva gioca un ruolo molto importante. Così come lo è per i disturbi del comportamento alimentare (DCA) tra cui Anoressia nervosa, Bulimia nervosa e Disturbo da Alimentazione Incontrollata, i quali però meritano un ulteriore approfondimento per la complessità dei fattori coinvolti.
Dott. Andrea Rossetti
Riceve su appuntamento a Roma
(+39) 389 6016677
Per approfondire:
Piccinni A. (2012). Drogati di cibo. Quando mangiare crea dipendenza. Milano: Giunti Ed.
Solano L. (2001). Tra mente e corpo. Come si costruisce la salute. Milano: Raffaello Cortina Ed.