Social network e salute mentale
Un legame misconosciuto
“Dopo mesi che ci scrivevamo, improvvisamente non mi ha più risposto. Mi chiedo che cosa ho fatto di sbagliato per allontanarlo.”
Il ghosting, ovvero il “Comportamento di chi decide di interrompere bruscamente e senza spiegazioni una relazione (per lo più sentimentale, ma anche di amicizia o lavorativa) e di scomparire dalla vita della persona con cui si intratteneva tale relazione, rendendosi irreperibile”, secondo la definizione dell’Accademia della Crusca, è soltanto uno dei fenomeni in cui si può incappare nell’utilizzo di social network quali Instagram, Facebook, TiKTok e tanti altri. (Per approfondire leggi l’articolo “Quando l’altro sparisce. Psicologia del Ghosting” della dott.ssa Emanuela Gamba.)
Oltre al cyberbullismo, al fenomeno degli haters, individui che seguono qualcuno tramite i social sul suo profilo personale o una sua pagina ufficiale, esprimendo aggressività e minacce, sfociando spesso in episodi penalmente rilevanti, e al revenge porn, una trappola a cui si può andare incontro nel “meta” verso è la sovraesposizione ai contenuti degli altri, in particolare quando una relazione termina, che sia essa amicale o di coppia. Nel mondo non virtuale siamo in grado di esercitare un controllo rispetto all’ambiente al quale ci esponiamo. Battisti dedicava alcuni versi della canzone “Prendila così” alla necessità di “sfuggirsi per non ferirsi di più”. Al termine di una relazione si può decidere di non frequentare più gli stessi luoghi di ritrovo e persino le stesse amicizie; si possono restituire foto e regali, ma nel mondo virtuale prendere le distanze è molto più difficile.
Un giovane paziente che seguo da diversi anni è stato lasciato da poco dalla sua partner e da allora controlla compulsivamente i social network, in cerca di notizie sulla sua ex compagna. Foto, storie, post, stati, tutti squarci sulla vita dell’altro che impediscono un normale processo di “lutto”, che si verifica al termine di una relazione significativa. L’altro è costantemente presentificato da elementi virtuali, che divengono oggetto di vere e proprie complulsioni, agite decine di volte al giorno, con conseguente disregolazione emozionale e attivazione dell’arousal. Attacchi di panico a seguito dell’esposizione a una foto o all’arrivo di una notifica sul cellulare. Informazioni inarrestabili che possono colpirci notte e giorno. E quando i protagonisti di tutto questo sono adolescenti, che non possono contare sulla consapevolezza e la capacità di mentalizzazione che gli adulti dovrebbero mediamente possedere, e sono immersi in un universo di senso che non ammette contraddizioni, la tragedia può essere dietro l’angolo.
In consulenza genitoriale ho seguito diverse vicende in cui il figlio della coppia in questione era oggetto di una faida su Instagram, o, al contrario, l’aveva iniziata verso un compagno di scuola, reo di averlo insultato on line, o aver postato una foto divenuta poi oggetto di scherno. La dimensione pervasiva, e in qualche modo eterna, dei social network, è un elemento nuovo e perturbante per la mente umana, abituata a fenomeni e contesti delimitati nel tempo e nello spazio. Spesso vittime di reati finiscono per essere perseguitate da immagini che ritraggono in tempo reale i crimini di cui sono state oggetto. E queste immagini restano in rete per sempre, osservate e utilizzate per gli scopi più diversi. Credo sia estremamente importante esplorare questi nuovi significati a livello psicodinamico, quando si affronta il tema della depressione on line.
Se poi partiamo dal dato che quasi il 92% degli adolescenti fa quotidianamente uso dei social è evidente che questa frontiera che dilaga nel nostro quotidiano deve essere al centro di un profondo processo di analisi e conoscenza.
Un recente studio condotto dalla Università della Pennsylvania ha constatato l’esistenza di un legame causale tra la quantità di tempo trascorso sui social network (Facebook, Snapchat, Instagram) e l’aumento di depressione e solitudine. Pubblicati dal Journal of Social and Clinical Psychology, i risultati dello studio mostrano “un incremento di alcuni sintomi specifici causati da un uso smodato di queste applicazioni, tra cui la paura di essere tagliati fuori, l’ansia, la depressione e la solitudine. Non a caso, da qualche anno si parla di Fomo per definire la paura di restare senza connessioni, tagliati fuori, dall’inglese fear of missing out”, della quale ha parlato la dott.ssa Emanuela Gamba, nel suo articolo “FoMo La paura di essere tagliatǝ fuori”.
Controllo, ansia, solitudine e depressione. Con conseguenze reali in termini di salute mentale e fisica. L’impatto psicologico dei social network, specie sui giovani, è un fenomeno quel quale sappiamo ancora troppo poco, e rispetto al quale sarebbe necessario istituire degli organismi di vigilanza e delle vere linee guida per genitori e insegnanti. Istruire al corretto utilizzo di questi strumenti è una necessità cogente nello scenario odierno. Nessuno strumento è neutro, tanto meno quello virtuale.
Dott.ssa Valeria Colasanti
Psicologa, Psicoterapeuta ed esperta in psicologia perinatale
Riceve a Roma e a Villanova di Guidonia (RM)
mail. colasantivaleria@gmail.com – cel. 348.6167039
Per Approfondire
Lenhart, A., Smith, A., Anderson, M., Duggan, M., & Perrin, A. (2015). Teens, technology and friendships. Pew Research Center, 1-76.
https://www.ilsole24ore.com/art/adolescenti-social-piu-4-ore-giorno-non-riescono-ridurre-tempo-online-AD9Y7w5