I valori nella percezione della nostra realtà.
Quando si parla dei valori di una persona comunemente ci si riferisce a determinati principi astratti che tendono a guidare ognuno di noi nelle numerose scelte che quotidianamente dobbiamo compiere. Da questo punto di vista, quando si pensa ai valori il rischio è quello di finire in un universo astratto che potremmo definire “ciò che pensiamo di sapere e volere”, con il suo carico di contraddizioni e problematiche che questo tipo di pensiero comporta.
Una riflessione impostata in questo modo infatti – e questo è stato un grande insegnamento degli intellettuali del ‘900 a mio modo di vedere ancora non pienamente compreso dalla cultura occidentale contemporanea – deve tenere conto del ruolo giocato da parte delle inevitabili alterazioni portate sulla realtà dai desideri inconsci della persona.
Insomma per semplificare, come scriveva Anais Nïn riprendendo una importante idea Talmudica: a volte non vediamo le cose così come sono, ma bensì le vediamo così come noi siamo (We don’t see things as they are, we see them as we are).
Tuttavia queste inevitabili alterazioni visibili nella percezione stessa del mondo circostante, non vanno temute. A volte infatti una tendenza automatica è quella di celarle a se stessi e agli altri, con il tentativo di riporle in qualche scatola di cartone nella propria cantina.
Questo approccio allo studio della realtà psichica strettamente connessa alla onestà intellettuale è a mio modo di vedere il più grande insegnamento che Freud e la sua psicoanalisi ci hanno lasciato in dote. L’inconscio freudiano infatti, ci ha insegnato che la volontà e i valori, sono fortemente condizionati da forme di intenzionalità difficili da comprendere se non entra in gioco un dialogo con qualcheduno di altro da noi, in questo caso l’analista.
Ricordiamo in tal senso la famosa lettera di Freud in risposta a Binswanger, in cui egli evidenziò il fatto di essersi sempre limitato al “parterre e al souterrain” dell’edificio.
La volontà per lo psicoanalista è interpretata spesso a posteriori, il centro della persona non è più la consapevolezza e il pensiero, ma bensì l’inconscio con le sue leggi e decifrazioni necessarie.
Questa scoperta rivoluzionaria tuttavia è stata sì l’esito di una mente geniale e unica, ma si è iscritta all’interno di una tradizione filosofica che ha permesso il suo germogliare. Nonostante Freud nella sua opera spesso critichi i filosofi e la filosofia, alcune analogie e interessanti paralleli sono facilmente identificabili. Ad esempio, lo stesso Freud in uno dei suoi saggi cita Schopenhauer e non è certo sorprendente se si pensa all’idea del mondo come volontà proposta dal filosofo.
Vorrei inoltre in questo contesto sottolineare rapidamente la vicinanza tra il pensiero freudiano connesso alla pulsione e il fatto che quest’ultima non si discosti troppo dall’intenzionalità della coscienza così come è stata studiata dalla filosofia scolastica e ripresa dai fenomenologi contemporanei (Cfr Brentano 2010). Brentano stesso sottolinea il fatto che questo concetto possa essere centrale per definire e differenziare un fenomeno psichico rispetto ad uno fisico. Da questo punto di vista il concetto di valore come viene utilizzato da De Martino (2019) nelle sue riflessioni sembra essere illuminante e chiaritore di un concetto fondamentale ma che a volte risulta molto complesso nella sua semplicità di base.
Potremmo riassumere questo concetto in questo modo: la percezione e la coscienza stessa, cioè tutto ciò di cui siamo coscienti in questo momento è alterata e in questo modo include il processo valorizzante che la mente in automatico porta sulla realtà cioè il dato sensoriale. L’atto di percepire è fuso insieme al valore stesso che noi automaticamente attribuiamo a quel dato sensoriale.
Facciamo un esempio per comprendere meglio questo processo che teoricamente potrebbe sembrare complesso.
Uno stesso pile o uno stesso golf, in estate sembra molto più spesso che di inverno. Lo stesso abito di inverno viene percepito più fino, come se fossero due oggetti in qualche modo diversi con un senso di estraneità a esso connesso.
Altrimenti, la psicologia sociale ci insegna di non entrare in un supermercato per fare la spesa quando si ha fame.
Nel primo caso, gli abiti sono percepiti associati al valore ad essi attribuito. Se fa freddo li percepiamo meno “scaldanti”; se invece fa caldo li percepiamo capaci di esserlo maggiormente.
Nel secondo caso invece, il valore della fame altera la percezione del cibo, il cibo viene percepito unito al nostro desiderio di voler mangiare.
In questi fenomeni percettivi molto semplici il desiderio della persona sotto forma di valore o processo valorizzante è abbastanza semplice da identificare dalla percezione stessa, le cose invece si complicano quando i desideri della persona prendono delle forme diverse e più complesse o altrimenti nelle condizioni cliniche. Il setting psicoanalitico e le libere associazioni permettono di analizzarli con maggiore puntualità.
Per concludere vorrei evidenziare l’importanza dei sogni. Il lavoro psicoanalitico di associazione libera sui dettagli dei sogni infatti, rende, nelle persone in cui questa funzione rimane intatta, il processo di valorizzazione del mondo più chiara, per il fatto che il lavoro onirico si avvicina maggiormente a queste importanti forme di creazione di significati.
Per approfondire:
De Martino E. (2019) La fine del mondo: contributo all’analisi delle apocalissi culturali. Einaudi Editore.
Immagine: “Il pifferaio” di Manet E.