Salute mentale a Gaza e in Palestina
La tragedia ignorata

Immagine del fotografo Kahled Belal, nel 7 novembre 2023, il nome del bambino non è noto.

Per comprendere quello che sta accadendo, dal punto di vista della salute mentale, alla popolazione palestinese di Gaza e di tutta la Palestina, dobbiamo partire dal concetto di salute mentale della WHO (World Health Organization): “uno stato di benessere in cui ogni individuo possa realizzare il suo potenziale, affrontare il normale stress della vita, lavorare in maniera produttiva e fruttuosa e apportare un contributo alla propria comunità”.

Quindi non banale assenza di malattia, ma un costrutto profondamente bio-psico-sociale, in cui la partecipazione alla comunità, il diritto al lavoro e alla realizzazione del proprio potenziale umano, sono centrali per il benessere mentale di un individuo. Tutto questo per i palestinesi residenti a Gaza e in generale in Palestina non è possibile. L’assedio di Gaza è sotto gli occhi del mondo, con il suo bilancio temporaneo di 36.400 morti, di cui 16.000 bambini, nonostante buona parte dell’Occidente faccia di tutto per negarlo. Il punto è che l’assedio della popolazione civile palestinese è iniziato nel 1948. Da allora, e sono innumerevoli gli studi di psichiatri e psicoterapeuti che lo testimoniano, la popolazione civile palestinese, in particolare a Gaza, ma non solo, è esposta ad ogni tipo di trauma.

Cosa si intende per trauma: possiamo definirlo “il risultato di un evento o una serie di eventi improvvisi ed esterni, in grado di rendere l’individuo temporaneamente inerme e di disgregare le sue strategie di difesa e di adattamento”. (OMS, 2002) Per trauma in psicopatologia si intende un’esperienza minacciosa estrema, insostenibile, inevitabile, di fronte alla quale un individuo è impotente.” (Hermann, 1992b; Krystal, 1988; Ven der Kolk, 1996). Questa definizione ad oggi può riguardare la totalità della popolazione residente a Gaza. Citando lo studio di Thabet A. A. e Panos Vostanis del 2011, “Impact of political violence and trauma in Gaza on children’s mental health and types of interventions: a review of research evidence in historical context”, possiamo avere un quadro esaustivo della situazione. Dagli anni Ottanta al 2010 la popolazione infantile è stata esposta ai seguenti traumi:

  • Inalazione gas lacrimogeno
  • Assistere ai raid militari
  • Arresto dei membri della famiglia
  • Tortura dei familiari da parte dei soldati
  • Ferite da proiettile e da missili
  • Assistere alla demolizione e distruzione delle case
  • Bombardamenti e attacchi di carri armati
  • Povertà estrema
  • Morte infantile
  • Mutilazioni
  • Esposizione al fosforo bianco
  • Detenzione in casa senza acqua, elettricità, cibo, farmaci

E le conseguenze psicologiche per questi bambini sono state lo sviluppo di disturbo da stress post traumatico nel 46 % dei casi, con comorbilità per altre patologie del 42%. Anche l’ideazione suicidaria in bambini minori di 8 anni raggiunge livelli mai visti in Europa.

Altri autori, come El-khodary B. e Samara M., nel 2018 hanno esplorato il ruolo dell’attaccamento come possibile fattore di protezione dai traumi vissuti dalla popolazione di bambini e adolescenti di Gaza. Ciò che è emerso è che i genitori, che dovrebbero fungere da base sicura per la modulazione dell’effetto del trauma sulla psiche dei più piccoli, sono essi stessi in primis vittime di traumi estremi e quindi non in grado di funzionare quali “holder” per i propri figli, non potendoli tutelare dal trauma a cui sono esposti. Un altro elemento che ci rende evidente la natura estrema della situazione mentale a Gaza è che ben l’88 % della popolazione infantile e adolescente è stata esposta a traumi nell’arco di vita, secondo lo studio degli stessi autori.

In uno studio più recente Abudayya A., Fugleberg Bruaset G.T., Nyhus H.B., Abutuka R. e Tofthagen R., nel 2023, intitolato “Consequences of war-related traumatic stress among Palestinian young people in the Gaza Strip”, che analizza 24 studi precedenti sulla salute mentale infantile su più di diecimila minori, è emerso che almeno la metà dei partecipanti è risultato affetto da disturbo post traumatico da stress e disturbi dell’umore. Ma tutti questi dati risalgono al periodo precedente all’8 ottobre e al nuovo attacco contro Gaza e la Palestina. Al momento avere dati e studi validati sulla situazione della salute mentale nei territori occupati è praticamente impossibile, data la distruzione sistematica del sistema sanitario e universitario nel territorio della Striscia.

Soltanto la ONG Save the Children ha pubblicato il report “Trapped and Scarred», consultando quattro partner di Gaza che fornivano servizi di protezione dell’infanzia prima della guerra e con genitori e caregiver di Gaza sul benessere psicosociale, il comportamento e i meccanismi di coping dei loro figli dopo l’escalation. Paura, ansia, carenza di cibo, enuresi, problemi di sonno, regressione e aggressività: questo l’universo quotidiano dei bambini che stanno vivendo il conflitto. ll disagio emotivo di schivare bombe e proiettili, la paura di perdere i propri cari, di essere costretti a fuggire attraverso strade disseminate di detriti e cadaveri e di svegliarsi ogni mattina senza sapere se riusciranno a mangiare. I bambini di Gaza vivono tutti i giorni shock e dolore e tra le madri intervistate, una di loro parla di “completa distruzione psicologica” dei figli. Per non parlare del linguaggio disumanizzante con cui ci si riferisce ai palestinesi nei media e che causa dolore alla popolazione: “nessuno vuole che esistiamo sul pianeta”, afferma un’altra madre. I genitori e i caregiver sottolineano come i minori provino rabbia ed impotenza di fronte alle ingiustizie subite da parte dei funzionari del governo israeliano sui palestinesi.  Basti pensare che il conflitto in atto ha generato 17.000 orfani di guerra, spesso con amputazioni e ferite gravissime, a cui viene negato il diritto di curarsi perché di 36 ospedali esistenti ne sono stati distrutti 34 e gli altri operano senza elettricità e ossigeno. 37 bambini sono morti di fame. Le fogne e il sistema idrico è stato distrutto.

Quello che possiamo affermare senza dubbio è che lo stesso concetto di trauma che utilizziamo in Europa e negli USA, e che è centrale per la diagnosi di PTSD secondo il DSM V (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) non è applicabile a quello che sta avvenendo in Palestina e a Gaza, e ci richiede uno sforzo clinico e teorico per poter definire un nuovo costrutto in grado di esplicare un trauma collettivo prolungato nel tempo, in cui i civili sono in trappola e senza via di fuga. Nel caso della Palestina il sistema sanitario e le condizioni necessarie per il benessere di un popolo vengono sistematicamente distrutte, come tutti i determinanti distali e prossimali che rendono possibile il realizzarsi delle condizioni descritte dalla WHO come “salute mentale”, ovvero la famiglia, la salute fisica, la scuola, la comunità, il sistema sanitario, la prospettiva futura. Quello che sta avvenendo è l’annichilimento del diritto alla salute mentale di un popolo, che avrà effetti intergenerazionali e transgenerazionali per decenni, anche in termini genetici e neurochimici.

Dott.ssa Valeria Colasanti

psicologa psicoterapeuta (Sanitari per Gaza)

Per Approfondire

•Thabet A. A. e Panos Vostanis – 2011: Impact of political violence and trauma in Gaza on children’s mental healt and types of interventions: a review of research evidence in historical context;

•Punamaki R.L., Palosaari E., Diab M., Peltonen K., Qouta S.R. 2015: Trajectories of post traumatic stress symptoms (PTSS) after major war among Palestinian children: Trauma, Family and child related predictors;

•El-khodary B. e Samara M. 2018: The effect of exposure to war-traumatic events, stressful life events, and other varibles on mental health of Palestinian children and adolescents in the 2012 Gaza War;

•Save the Children: www.savethecildren.com

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