Abilitati a scegliere
Il futuro lavorativo nella disabilità

Tra le trappole più comuni in cui si incorre quando si parla di disabilità – soprattutto intellettive, ma non solo – c’è l’arrogarsi il diritto di scegliere cosa è meglio, cosa può essere “bello” (con le connotazioni più variopinte) che quella persona faccia per il suo empowerment.
Ma bello per chi? Meglio per chi?

L’abilismo non ha solo il volto nitido della violenza verbale, fisica o della discriminazione indiretta rappresentata dalle barriere architettoniche. E’ abilista anche una società che crede di poter scegliere sempre e, a prescindere, cosa fa al caso di una persona con disabilità. E così vediamo molti giovani ragazzi con disabilità, dopo la scuola, “lavorare” senza essere retribuiti, o a malapena. O ancora, lavorare “e basta”. Nella maggior parte dei casi, non importa a fare cosa, non importa – o meglio non si indaga realmente- l’area d’interesse o le capacità peculiari e i talenti di ognuno. Quasi mai si considerano velleità artistiche, ad esempio, o passioni specifiche. Se lo si fa è sempre per gridare al “fenomeno”, e questo può essere altrettanto pericoloso, creando anche nelle famiglie stesse un’ansia performativa (e una speranza talvolta non corrispondente a realtà) che vira verso l’altro estremo.

Tornando all’inserimento lavorativo indiscriminato (o discriminante), l’impressione che si ha è che la condizione di essere occupati per persone con disabilità debba bastarci, come se fosse già una concessione dall’alto della macchina produttiva societaria. O peggio ancora siamo di fronte, o dentro fino al collo, a quel liminale Lavoro che nobilita l’uomo, che decontestualizzato, come spesso avviene, ci riconduce ad uno scenario di soddisfazione dovuta solo al fatto di alzarsi la mattina presto ed avere qualcosa da fare.

Illuminanti a tal proposito sono le parole di Fedor Dostoevskij in Memorie dalla Casa dei morti:

Una volta mi venne in mente che per distruggere un uomo, annientarlo completamente, punirlo col più spaventoso dei castighi, tanto che anche il più tremendo assassino si mettesse a tremare e si spaventasse di fronte a questa possibilità, basterebbe soltanto dare al lavoro un carattere di assoluta e completa inutilità.

Siamo virtuosi se concediamo uno spazio in una società a maglie strette a qualcuno con delle difficoltà: i “bravi” allora siamo automaticamente “noi”.

E’ senz’altro un bel passo avanti in una comunità vedere l’inserimento lavorativo anche di chi un tempo non avrebbe potuto ambire a ciò. Ma bearsi del livello base di inclusività in una società civile nel primo ventennio degli anni duemila è forse un po’ ipocrita.

Quando si parla di Quota di riserva disabili (non ci si soffermerà sulla denominazione poco inclusiva per motivi di spazio) si fa riferimento a una previsione di legge per cui le aziende, sulla base del numero dei dipendenti, sono obbligate a destinare una quota (cioè una percentuale di forza lavoro) a persone con disabilità o altre categorie a rischio esclusione dal mercato.
Il vero scatto di civiltà, però, forse va ricercato nel valore della scelta (o nell’accompagnamento ad essa), nell’opportunità di scegliere, che crea in ogni individuo quel senso di self-efficacy che irradia tutte le sfere di vita e che davvero può portare ad un’inclusione reale e ad una realtà inclusiva.

L’art. 4 della nostra Costituzione dice:
La repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Quante volte si è sentito chiedere (senza un tono canzonatorio, o di tenero paternalismo) ad un giovane con disabilità: Che lavoro vorresti fare?
Di certo qui non si sta affermando che chiunque possa fare qualsiasi cosa – ma questo, crediamo sia condiviso, vale per chiunque. La riflessione che questo articolo vuole sollevare è invece quanto sarebbe importante fin dalla scuola soffermarsi sul potenziale e sulle passioni di ognuno, seguire quel sentiero di idee fino all’età adulta e con la famiglia (o chi per essa) creare effettivamente un quadro di futuro quanto più vicino a quello desiderato dalla persona stessa.

“[… ] Questi interrogativi rimandano alla criticità delle attuali politiche sociali ispirate dall’idea di una disabilità prigioniera del deficit […]. Così le persone con disabilità sono proiettate verso un’ineluttabile sospensione o, meglio, su un fermo immagine dove la vita viene fissata in uno spazio dedicato (i servizi) e in un tempo infantilizzato. Se questo è lo sfondo epistemologico prevalente nella politica e nel sociale, come può emergere e affermarsi l’essere adulto con disabilità?”
Con questo estratto da “Disability studies” edito dalla Erickson ormai dieci anni fa, si vuole porre l’attenzione su due concetti fondamentali e fondamentalmente tralasciati ancora oggi nell’ambito della disabilità: la scelta e l’affermazione, perciò essere adulti.

Tra gli esempi virtuosi in tal senso c’è l’AIPD (Associazione Italiana Persone Down) che quest’anno, a quindici anni dalla campagna volta all’aumento degli inserimenti lavorativi in azienda rilancia con un nuovo motto “Forza, Lavoro!” delle proposte per massimizzare l’efficacia della Legge 68/99: tra queste ad esempio si parla di fondi dedicati ai tirocini e il rafforzamento dei servizi per l’inserimento migliorando il legame tra domanda, offerta e valorizzazione delle competenze.

Molte realtà associative o singoli sono motori valenti di cambiamento, ma anche quasi totalmente gli unici in tal senso, e questo deve farci riflettere su quel concetto di abilismo “nascosto” di cui si parlava all’inizio.

Va infine sottolineato che, in generale, coesistono due macro-casistiche possibili:
Fare il lavoro dei propri sogni (o qualcosa che ci si avvicini molto) e trarre appagamento da questa sfera, oppure lavorare per vivere e sostanzialmente giovare da tutto il resto.
Tuttavia stare comodi nella prima o nella seconda, resta – o dovrebbe restare – un fatto di scelta per chiunque.

Dott.ssa Silvia Salusest

Educatrice – Vincitrice del Contest di scrittura “WeWantYou” per il mese di Novembre 2023

mail. salus.silvia@gmail.com

Per Approfondire

  • Dostoevskij F., “Memorie dalla Casa dei morti”
  • Medeghini R., D’Alessio S. (et all), “Disability studies. Emancipazione, inclusione scolastica e sociale, cittadinanza”, Ed. Erickson
  • https://www.aipd.it/ – Associazione Italiana Persone Down

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