Micro trends e identità
La viralità che lascia il vuoto
In economia per micro trend si intende una tendenza nella direzione di un certo fenomeno che è ragionevolmente pervasivo all’interno di una data sfera di influenza e può durare alcuni anni, o anche mesi.
Anche la moda è un esempio di micro trend: ha breve durata e si evolve poi in nuove tendenze. Essa prima derivava dalle proposte delle/degli stilistæ in passerella, veniva poi introdotta da artistæ come attrici/attori, cantanti, modellæ, celebrities e infine declinata in base all’ambiente, sociale e culturale delle persone che la adottavano. Aveva un tempo di vita abbastanza lungo, che poteva oscillare tra i 5 e i 10 anni.
Con la cavalcata dei social, in particolare di TikTok, la moda si è frammentata ulteriormente in un numero sempre crescente di micro trend, di brevissima durata (anche una manciata di settimane), introdotti da chiunque abbia una presenza social più o meno virale.
Questi micro trend raggiungono la popolarità in brevissimo tempo, e ancora più rapidamente vanno a picco nel dimenticatoio. Nel periodo di crescita pervadono qualsiasi spazio sui social, occupano “esplora” e “per te” in maniera ossessiva, sono indossatæ da tuttæ in ogni parte del mondo; visti e rivisti, si consumano in poco tempo, sono sostituiti da altri e nessuno ne parla più.
La professoressa Carolyn Mair, nel suo libro “The Psychology of Fashion”, affronta il tema inerente il desiderio, comune a molte persone, di comprare ogni singolo trend proposto, riconducendolo non ad una questione di attenzione bensì di abitudini. Per cui, quando un utente osserva come altre persone gioiscono nel mostrarsi con gli abiti che indossano, sviluppa il desiderio di acquistare quegli stessi abiti. Nella convinzione di godere della stessa felicità, ricevere la stessa ammirazione e soddisfazione. Una volta provata questa sensazione, l’utente è motivatæ a continuare a comprare i trend che si susseguono in modo virale, nella speranza di vivere ancora piacere ed eccitazione.
Questo meccanismo incita la tendenza all’acquisto impulsivo e compulsivo, nutrendo l’iper consumo e accelerando quindi l’inquinamento e la produzione, veloce, di abbigliamento di scarsa qualità, ricco di agenti tossici.
Ma il danno che causa è molto più profondo, e insidia l’identità degli utenti che di micro trend vivono.
Attraverso l’abbigliamento l’essere umano comunica e si racconta. Non solo agli/alle altræ ma prima di tutto a se stessæ.
L’identità è costituita da una serie di variabili, in continua trasformazione, compresa l’immagine. Questa durante lo sviluppo va incontro a mutazioni inevitabili, dovute ai biologici processi di crescita, e ad altre come la relazione con l’ambiente esterno e le vicissitudini della vita.
Essa risente di vari tipi di input: relazioni con il gruppo di pari, diktat sociali, introiezione di personaggi e modelli di riferimento, mode.
Inoltre, non è oggettiva, nel senso che l’immagine che noi abbiamo di noi stessæ non sempre corrisponde con quella che gli/altræ hanno di noi.
Nel corso della costruzione della nostra immagine, e della sua relativa traduzione all’esterno, ciò che vediamo, le abitudini che assimiliamo, gli abiti che indossiamo, i trend cui partecipiamo hanno un peso significativo.
Con l’avvento dei social il processo di costruzione dell’immagine è diventato sempre più complesso: connessi h24 a guardare i corpi, le movenze, le modalità di espressione, gli stili di altræ difficilmente riusciamo a vederci, a cogliere la nostra immagine e a distinguere noi da loro. Nell’accozzaglia confusa e veloce di personaggi, trend, haul, try on, reel, post, cerchiamo elementi che possono aiutarci a dare forma alla nostra identità.
Abbinamenti, colori, pantaloni, accessori, scarpe e il modo in cui vengono combinati sono pezzi con cui ci è possibile rendere all’esterno l’immagine che di noi abbiamo all’interno.
I micro trend sono suggerimenti lampo, immediati. La choker con fiori, il collarino elasticizzato anni ’90, la bandana, le daddy sneakers, i joggers con lo stiletto, i micro gioielli applicati nei capelli, le innumerevoli tecniche di make-up.
L’utente ha a malapena il tempo di decidere se siano o meno di suo gusto, che essi si dileguano. Oppure può provarli, ritenerli in piena sintonia con l’espressione della propria immagine ma abbandonarli non appena si affaccia un nuovo micro trend. Dando così inizio ad un nuovo iter di trasformazione che non dipende dal soggetto ma dalle influenze imposte dall’esterno.
Questo in genere avviene quando appartenere a un gruppo mediante la rincorsa all’ultimo trend è più importante della espressione di sé. O quando la propria immagine, e con essa la propria identità, non risulta essere ben definita.
Le identità diventano così fioche e labili, come i trend attraverso cui si materializzano. Sono identità che vivono sulle montagne russe del gioco della viralità: una volta raggiunta la loro massima micro espressione si apprestano a un rapido processo di deterioramento e dissolvenza. Nell’attesa che qualcuno non introduca un nuovo elemento con cui identificarsi e mediante cui potersi mostrare.
Prima che l’immediatezza dei social diventasse il nuovo modo di scandire il tempo, le persone avevano il tempo di provare i trend, abituare l’occhio ad essi, valutare se potessero o meno essere strumenti adeguati a realizzare il disegno della loro immagine. Avevano la possibilità di assimilarli, modellarli in base ai propri gusti, inserirli e accomodarli man mano alla loro identità in fieri perpetuo.
In questa dinamica, la persona era agente attivo nella costruzione di significati, individuali e collettivi.
I micro trend rappresentano invece immagini e identità fugaci, frammentate, continuamente sottoposte ad una veloce alternanza di costruzione e distruzione, mischiate e confuse in uno scrolling infinito e costante. Identità che non riescono a formarsi e ad esprimersi, sospese nel limbo tra il decadimento di un micro trend e l’attesa eccitante che uno nuovo venga fuori, perché è dall’esterno che ricevono le indicazioni circa le trasformazioni cui dovrà andare incontro la loro immagine per poter di nuovo essere.
La persona, oggi, è un soggetto passivo che attende il momento in cui l’algoritmo lanci un nuovo micro trend che le dia la possibilità di vedersi ed essere vista, anche se per un brevissimo lasso di tempo. E poi semplicemente, di nuovo il vuoto.
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