I’m a Barbie girl, in the Human world
Dissertazioni su Barbie (il film)

Non so se vi è capitato di leggere il testo degli Aqua e non so se quei cantanti così anni ‘90 avevano messo in conto che Barbie, oltre che un’icona intergenerazionale, sarebbe diventato un colosso mediatico. 

Ad ogni modo le parole che vengono usate nel film di Greta Gerwing  richiamano a una ragnatela di temi servita al tavolo della platea che, a mio avviso, sono densi di significati di portata esistenzialistica; alla maggior parte delle spettatrici e degli spettatori, inoltre, non sarà sfuggito il tema femminista, che fa da sfondo all’intera pellicola.

Ricollegandosi ad un piano fortemente esistenziale e umano, la pellicola, segue la storia dei due protagonisti, prima in sinergia poi separandoli (volutamente). 

Forse una delle prime portate che viene servita al pubblico è lo sviluppo dell’individuo in termini di maturazione psico-affettiva. Sia Barbie che Ken, infatti, attraverso strade diverse, intraprendono un fruttuoso percorso di crescita individuale. Entrambi apprendono a conferire senso alle proprie esistenze non attraverso lo sguardo dell’ altro (almeno non solo) ma prendendolo dalla propria energia vitale, costruendo un’identità autonoma con propri interessi e ambizioni.

(Ovviamente da brava femminista la Gerwing ha fatto in modo che Barbie ci arrivasse un po’ prima).

L’altro tema, di una portata umanistica eccezionale specialmente ora, dove a mio avviso abbiamo bisogno di incasellare tutto come se vivessimo dentro un album della Panini, è quello della promozione dell’individualità e dell’accettazione personale.

A tale riguardo, sono simboliche due scene entrambe nella parte finale. La prima è la scelta delle BIRCKENSTOCK ROSA (modello Arizona se non erro); questo è emblematico se si pensa alla scena in cui viene imposta alla nostra Barbie una scelta tra tacco e Birckenstock prima del suo ingresso nel mondo reale. Lei alla fine non sceglie nessuna delle due, ma se vogliamo un connubio che a suo parere possa conservare qualcosa di entrambi gli stili e che si adatti meglio a lei. Quindi, in altri termini, viene risaltata una maturazione personale tale per cui non vi è la necessità di scegliere tra uno stile e l’altro per definirsi. La definizione di sé appare un processo di crescita consapevole costante, che ci porta a fare scelte equilibrate, sane e che naturalmente ci rispecchiano senza incorrere in rigide stereotipie.

L’altra scena, verso il tramonto del film, riprende le domande che Barbie rivolge alla fondatrice della Mattel, Ruth Handler (e non vi nascondo che in questo momento qualche lacrima è scesa); la bionda protagonista chiede e si interroga su come e chi deve essere. Anche qui viene sdoganato il mito del dover incasellarsi per forza in una categoria o in un unico aspetto della Società. Perché è verso che quello che ci insegnano da sempre è che per sentirci definite e per collocarci in un orizzonte di senso dobbiamo rientrare in categorie limitate e chiuse: (e qui mi rivolgo al pubblico femminile) se scelgo la strada della  “fricchettona” con le converse e i pantaloni larghi questo mi preclude di scegliere di indossare anche un abito di Pinko con una borsa di Miu Miu.

Alle domande e ai dubbi dal sapore un po’ Heiddegeriano/ Kantiano della nostra protagonista bionda, l’anziana fondatrice della Mattel risponde che è legittimata a essere chi vuole e a prendersi il suo tempo per costruire un percorso identitario libero, ora non è obbligata a scegliere chi deve essere incasellandosi in categorie chiuse.

Ma una cosa la sceglie: le Birckestock Rosa.

Dott.ssa Chiara Moriglia

Psicologa e Psicoterapeuta a Pesaro

crescita personale, emozioni, esistenza, non scelta, piscologia, relazione, scelta

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