Genitori e adolescenti
Il valore “evolutivo” del conflitto genitoriale durante l’adolescenza
“L’adolescente non è naturalmente né felicemente in comunicazione con l’adulto” (Meltzer, 1978, p. 15). Si tratta di una constatazione che anticipa, parzialmente, il difficile rapporto che si viene a configurare tra genitori e figli nella fase adolescenziale, un periodo evolutivo caratterizzato da un’intensa portata trasformativa.
A subire una sostanziale modifica è specificamente il vissuto idealizzante, tipico dell’infanzia e della latenza, che vede i genitori come unico oggetto identificativo, il principale punto di riferimento e la struttura portante dell’ideale dell’Io, e che in questa fase comincia a cedere terreno in risposta a spinte autonomistiche pulsanti. Il genitore viene gradatamente deidealizzato dal figlio, ispirato dalla necessità investire affettivamente in oggetti d’amore non incestuosi, e per questo necessariamente esogamici (Freud, 1905; Wolfenstein, 1969).
Non si tratta di un aspetto involutivo del legame, quanto di una esigenza trasformativa resa necessaria dall’evoluzione fisiologica dei suoi membri. Crescere è un atto inevitabilmente aggressivo (Winnicott, 1971) cui tuttavia non è connessa nessuna azione distruttiva: in procinto di accedere al mondo degli adulti, i figli si preparano ad abbandonare la valutazione onnipotente, simbiotica e salvifica nutrita nei confronti del genitore, visto di colpo attraverso una connotazione più realistica ed oggettiva.
Dal canto i loro genitori sono chiamati ad accettare il significato metaforico di questa perdita di potere, grazie alla quale sarà possibile dar vita ad una struttura relazionale maggiormente paritaria, nei ruoli e nelle identità. Dovranno cominciare a trattare i figli come degli adulti. Questo non significherà il dover abdicare alla propria figura genitoriale, ma soltanto rinegoziarne il contenuto specifico.
Il conflitto adolescenziale nei modelli educativi patogeni
Più che al genitore in quanto tale, l’attacco dell’adolescente è rivolto alla rappresentazione fantasmatica che dello stesso ha interiorizzato, basata su connotati idealizzanti e onnipotenti, non più in linea con le sue esigenze evolutive di autonomia, con il suo bisogno d’amore esogamico. L’adolescente non si oppone ai genitori in quanto tali, bensì al loro ruolo, inteso come elemento ostativo all’evoluzione di un Sé indipendente e alla costruzione di un’identità autodeterminata. Il suo agire oppositivo è dunque un necessario atto di autoaffermazione, che non può evitare di esprimersi con un rapporto altamente conflittuale e spesso disseminato di incomprensioni, silenzi, difficoltà comunicative.
La Mahler evidenzia come risulti difficile, per molti madri- rassegnarsi a perdere un comportamento ossessivo simbiotico nei riguardi del bimbo, costruendo attorno a lui quello spazio vitale che verso i due anni di vita gli consentirà di costruire i rudimenti dell’autonomia ( 1968).
In adolescenza questa difficoltà è destinata ripetersi, pur con diverse connotazioni evolutive e relazionali.
I genitori sono titubanti nel concedere libertà e nuovi poteri al figlio. Non soltanto per una questione di velleità protettiva nei suoi confronti, ma soprattutto perché il fatto stesso di concedere opportunità e potere decisionale significa toglierne al Sé. Fare un passo indietro.
Tradotto in termini psichici, tutto questo non può non risuonare come una mortificazione del Sé genitoriale, onnipotente e dominante, un attacco al ruolo cui il genitore reagisce con insofferenza ed oppositività.
Gli equivoci ispirati da un narcisismo ferito, in questi casi, sono più frequenti dell’auspicabile: è dunque possibile che si instaurino modelli educativi patogeni, oltranzisti ed autoritari, in cui la volontà del genitore è tesa esclusivamente al ripristino del proprio potere, indebitamente esautorato: questo comporterà una ripetizione ostinata del conflitto, del quale verranno potenziate soltanto la componente aggressiva e non comunicativa, in grado di creare una distanza affettiva spesso irreversibile, e di certo dannosa alla dimensione evolutiva.
In altri casi i genitori possono assumere modelli comportamentali eccessivamente accondiscendenti, evitando di frustrare le velleità del figlio con limiti ed opposizioni, ancorché opportune, proprio per evitare la prospettiva di un conflitto considerato come un elemento distruttivo del rapporto, e per questo abilmente eluso.
Questo atteggiamento, per quanto in apparenza positivo, si mostra in realtà colmo di contraddizioni non meno dannose delle precedenti. In particolare, la percezione di una mancato contenimento alla propria carica pulsionale, non farà che accrescere l’angoscia esistenziale dell’adolescente, per il quale il ruolo conflittuale del genitore rappresenta un essenziale termine di confronto, altresì nel contrasto, necessario alla scoperta e alla costruzione assertiva del Sé.
Non meno errato si rivela uno stile educativo eccessivamente invasivo e simbiotico, alla cui base si trovano un investimento genitoriale anticipatore, un mancato riconoscimento della individualità del figlio, identificato come un mero prolungamento del Sé e pertanto costretto a colludere con un’unione genitoriale seduttiva ed inglobante.
Se nei contesti familiari autoritari l’aspetto conflittuale è impedito dalla severità di un modello educativo che non lascia spazio al dialogo, in questo caso l’ impossibilità di contrapporsi al genitore è dovuta all’eccessiva vicinanza dello stesso, a causa della quale l’adolescente si sente intrappolato in un autentico conflitto di lealtà. In queste famiglie agglutinate -tese a svalutare i legami esogamici- il desiderio dell’emancipazione confligge inevitabilmente col silenzioso patto di lealtà stipulato coi genitori, per i quali qualsiasi investimento oggettuale diverso da quello intrafamiliare viene giudicato come un imperdonabile tradimento. L’isolamento sociale attuato nei confronti del figlio rappresenta l’esito peggiore di questa individualità collettiva patologica, che sostituisce l’Io individuale ad una massa egoica indistinta e fagocitante, rendendo impossibile ogni emancipazione evolutiva.
Da questo modello educativo si originano i “figli perfetti”, piccoli adulti che, a mezzo di condotte collusive eludono abilmente qualsiasi occasione di conflitto col genitore. Sono gli adolescenti iperadattati, che non manifestano alcun tipo di problema. In realtà non si tratta che di un benessere mascherato.
I bambini meno nevrotici non sono affatto quelli il cui comportamento si avvicina a quello degli adulti normali. Quindi, un bambino eccessivamente adattivo a tutte le esigenze educative, che non si lascia dominare dalla propria vita fantasmatica e indivisuale, che si mostrasse perfettamente adattato e mostrasse al contempo limitatissimi segnali di angoscia, sarebbe senza dubbio un essere anormale nel senso più ampio del termine ( Klein, 1932, p. 146).
I figli perfetti e infallibili, in cui le doti di moralità, disciplina e responsabilità vengono continuamente decantate dal genitore, sono in realtà i figli di un’adultizzazione indiscriminata e precoce, che li ha chiamati allo svolgimento di compiti anacronistici, compromettendo la maturazione di un affrancamento identitario. Invasi da un’eccessiva proiezione genitoriale, essi non sviluppano nessun desiderio di cambiamento, nessuna capacità rielaborativa del Sè. Non si verifica, in questi soggetti, alcuno svincolo evolutivo.
Sono adolescenti che non possiedono nè cercano un’identità. L’impronta narcisistica dei genitori li ha svuotati di ogni velleità motivazionale, costringendoli ad incorporare un pensiero etero indotto.
Una questione di distanza: trovare quella giusta
Là dove vi è la sfida del ragazzo o della ragazza che cresce, ci sia un adulto pronto a raccogliere la sfida (Winnicott, 1971, p. 248). Di fronte al conflitto sollevato dal figlio adolescente, il genitore non deve lasciarsi destabilizzare: deve al contrario reagire adattivamente e responsivamente per evitare l’insorgere di un effetto paralizzante, cercando di trarre, dalla situazione conflittuale, il fattore evolutivo indubbiamente celato in essa.
La coppia genitoriale deve esser in grado di sorreggere un sistematico confronto con il figlio, senza ignorare, punire o subire passivamente stati di scontro e impasse, che si verificheranno, perché è proprio nel conflitto che si nasconde la metafora della scoperta e della costruzione del Sé.
I genitori devono assumere volontariamente il ruolo di avversari dei propri figli, in una sfida evolutiva il cui esito dipenderà proprio dalla capacità di star loro vicino pur contrapponendosi, di opporsi senza allontanarsi troppo. Una distanza eccessiva o eccessivamente ridotta si mostrerebbe egualmente limitativa del processo evolutivo, che per attuarsi necessita di uno spazio affettivamente saliente ma mai saturo.
Se nella fase infantile il compito della madre era quello di bonificare le emozioni del bambino, di attenuarne la portata persecutoria cercando di costruire una vicinanza corporea ed emotiva adeguata, in fase adolescenziale le è richiesto di aumentare questa distanza, di gestire le pulsioni conflittuali del figlio disegnando i confini di quel legittimo spazio vitale che offra l’opportunità del’esplorazione, del conflitto, della ribellione. Uno spazio non saturo in cui la motivazione possa esprimersi, diventando creatività e libero spunto. Se al contrario il genitore satura con anticipazioni egoico-narcisistiche ogni aspetto della vita del figlio, o svilisce il conflitto con acquiescenze improduttive e finalistiche, non vi sarà spazio per il nuovo, per quel non conosciuto che prenderà vita soltanto al termine di un’esplorazione del Sé condotta in autonomia. La frustrazione è un fattore evolutivo. Disegna e rafforza i confini egoici, e purchè venga gestita nella maniera più opportuna e consapevole, non può far difetto in nessun processo di maturazione.
Genitori e figli, nella complessa sfida adolescenziale, sono chiamati ad accettare il cambiamento del proprio ruolo e la perdita del Sé che dallo stesso deriva: l’adolescente è chiamato a responsabilizzarsi, rinunciando al Sé infantile ispirato e protetto da un modello genitoriale onnipotente al quale delegare ogni decisione e la risoluzione di ogni possibile criticità. Al contempo il genitore deve rinunciare al ruolo salvifico- onnipotente attribuitogli dal bambino durante la prima infanzia, e giungere a compromesso con un ruolo più simmetrico, orientato sulla comunicazione e sulla negoziabilità di conflitti e posizioni. Deve accogliere il processo di de-idealizzazione cui inevitabilmente verrà sottoposto dal figlio, cercando di contestualizzarne il verificarsi non in una dimensione di narcisismo ferito, ma di assertività consapevole e adattiva, in grado di consolidare l’importanza del proprio ruolo in un momento così delicato.
Molte madri non riescono ad aiutare i loro bambini, quando muovono i primi passi, perché trovano molto difficile riuscire a raggiungere intuitivamente e naturalmente l’equilibrio ottimale tra dare al bambino un sostegno e non darlo, facendolo allontanare e tendendolo al contempo d’occhio per essere pronte ad intervenire.
Le esplorazioni più fortunate sono quelle che si svolgono mantenendo un punto di riferimento ben solido.
Il genitore deve lasciare che il figlio adolescente, così come il bambino che impara a camminare, muova i primi passi verso la vita. E pur mostrandosi pronto ad intervenire in caso di cadute o passi falsi, dovrà lasciarlo procedere in autonomia, consapevole che il sostegno migliore è quello che consente di sorreggersi sulle proprie gambe. Egli dovrà stare vicino con distanza. Allontanarsi senza sparire. Stornando il dolore narcisistico del conflitto nell’esigenza evolutiva del figlio, non in un vulnus personale. E realizzando che, al di là di un così forte negativismo, si nasconde soltanto una richiesta di affetto e supporto nel complesso cammino di autoaffermazione.
Dott.ssa M.Rebecca Farsi
Psicologa, fan vincitrice del contest “WeWantYou” per il mese di ottobre 2022
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Per Approfondire
Freud, S. ( 1905) Tre saggi sulla teoria sessuale, O.S.F., vol. 4, pp. 447-546;
Freud, A. (1965) Infanzia e adolescenza, Bollati Boringhieri, Torino, 2012;
Klein, M. (1932) La psicoanalisi dei bambini, Martinelli, Firenze;
Mahler, M. ( 1968) Le psicosi infantili, Bollati Boringhieri, Torino, 1972;
Meltzer, D. (1978), Teoria psicoanalitica dell’adolescenza, in Quaderni di psicoterapia infantile, n. 1, pp. 15-32;
Winnicott, D. W. (1971), Gioco e realtà, Armando, Roma, 1974;
Wolfenstein, M. (1969), Loss, rage and repetition, The psychoanalytic study of the child, vol. 24, pp. 432- 460.
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