Wearable technologies e psicologia

Sarà possibile rivelare lo stato psicofisico attraverso l’utilizzo di sensori?

La convergenza di vari avanzamenti tecnologici nella miniaturizzazione dei microprocessori, nella diffusione capillare della connessione internet e nella scienza dei materiali ha reso possibile e di grande interesse lo sviluppo di sensori indossabili. Un sensore è un dispositivo in grado di misurare un parametro fisico o chimico e convertirlo in tempo reale in un segnale elettrico che viene acquisito da un’opportuna elettronica di lettura.

A differenza di un’apparecchiatura portatile, un dispositivo indossabile svolge le sue funzioni correttamente solo quando viene indossato e quindi deve soddisfare un numero maggiore di vincoli pratici, quali ad esempio la confortevolezza, generando delle sfide tecnologiche a cui gli scienziati stanno lavorando assiduamente. L’utilizzo di sensori indossabili permetterebbe il monitoraggio continuo dello stato fisiologico, con innumerevoli possibili applicazioni che partono dall’ambito medico, per poi passare alla sicurezza sul lavoro fino ad arrivare a quello militare. Sfortunatamente esistono in commercio sensori indossabili in grado di eseguire misure affidabili solo un numero limitato di grandezze chimiche e fisiche di interesse quali ad esempio il livello di glicemia, il grado di saturazione dell’ossigeno nel sangue e bio-potenziali per l’acquisizione dell’elettrocardiogramma. La ricerca accademica sta dedicando ingenti risorse allo sviluppo di nuove funzionalità al fine di ampliare le possibili applicazioni commerciali. Tra queste appare affascinante la possibilità di valutare lo stato psico-fisico delle persone attraverso la misura di opportuni parametri, quali ad esempio i bio-marker dello stress.

Per comprendere al meglio questi parametri è necessario rivolgersi alla psicofisica, cioè a quella branca della psicologia che studia le relazioni che esistono tra stimoli fisici misurabili (come quelli tattili, acustici, ecc.) e la risposta intesa come intensità percepita legata agli stimoli stessi.

Il benessere psicologico è quindi un costrutto che include diverse dimensioni: psichiche, fisiche e sociali; non si tratta di scoprire quale sia più importante, ma come operano sinergicamente.

Che cosa intendiamo quando diciamo che “ci sentiamo bene?” Da dove nasce la sensazione di salute?

La percezione di noi stessi (a tutti i livelli) varia da momento a momento ed è un processo estremamente complesso che dipende da presupposti biologici, dallo sviluppo, dall’esperienza, da fattori di natura storica e da influenze culturali. È sufficiente un’alterazione del nostro benessere per spostare la percezione di noi stessi su uno dei livelli. Nello stesso tempo, tutte le nostre dimensioni continuano a essere presenti sia in salute sia in malattia. Non è sufficiente “stare bene” solo mentalmente e, allo stesso modo, non è concepibile uno stato di benessere solo corporeo, non accompagnato da una salute psichica.

Sentiamo spesso parlare di benessere psicofisico, ma sappiamo davvero cosa significa? Il benessere non è altro che uno stato felice di salute, di forze fisiche e morali. Quando ne rafforziamo il significato con la parola “psico-fisico” andiamo a sottolineare lo stretto legame tra processi fisiologici e mentali. Semplificando questo concetto: il corpo influenza la mente e viceversa.

Come si raggiunge il benessere psicofisico?

Promuovere l’armonia tra mente e corpo è uno dei primi passi da muovere per iniziare il nostro cammino verso il benessere, in quanto determina la qualità della nostra vita. Incrementare la quantità di lavoro svolto su noi stessi ci permette di prevenire una sofferenza emotiva, nonché fisica. Il nostro equilibrio viene scalfito da stress, problemi economici, preoccupazioni famigliari, incertezze lavorative, esami, nonché eccessi emotivi quali rabbia, paura, tristezza. Tutto ciò che invade negativamente la nostra mente crea una situazione disarmonica che si ripercuote sia sul fisico che sul benessere emotivo.

La qualità del servizio offerto dalla psicologia clinica esercita un’influenza diretta sulla salute degli utenti. Pertanto, gli psicologi non possono esimersi dall’essere costantemente al corrente degli sviluppi e delle innovazioni tecnologiche che possono migliorare la qualità del loro lavoro poiché la tecnologia è sempre più parte integrante della quotidianità.

La tecnologia alla base della prima generazione di dispositivi indossabili basata esclusivamente su trasduttori inerziali, quali accelerometri o giroscopi, non presenta prestazioni elevate per la valutazione dello stato psicofisico in quanto richiede necessariamente la misura di più parametri attraverso lo sviluppo di sensori avanzati e la loro elaborazione istantanea con algoritmi intelligenti. Tutto questo deve essere svolto nel modo meno invasivo possibile per l’utente finale che indossa il dispositivo. Sebbene a livello commerciale siano presenti principalmente sensori indossabili integrati in bracciali o orologi, la letteratura scientifica ha proposto la loro integrazione in svariati oggetti di uso quotidiano, quali ad esempio gli apparecchi odontoiatrici, lenti a contatto e capi di abbigliamento. Questa soluzione è di particolare interesse perché da un lato il 90% della nostra pelle è a contatto con i tessuti, e dall’altro il sudore è l’unico biofluido secreto esternamente dal corpo in modo continuo, permettendo quindi un’analisi continua e non invasiva.

Quali informazioni possiamo dunque trarre dal sudore?  La sudorazione è una delle reazioni psicofisiche più comuni in situazioni di malessere; Aldilà della sua funzione fisiologica, essa ha anche una valenza psicologica. Particolari stati emotivi, infatti, possono innescare una sudorazione profusa in diverse parti del corpo. Le zone più colpite sono quelle in cui la concentrazione di ghiandole sudoripare è maggiore: ascelle, mani e viso. Per l’inconscio, il sudore è una sorta di meccanismo di difesa che scatta in determinati momenti della vita, quando ti senti più esposto e viene fuori una tua fragilità.

Non mancano teorie che rimarcano un’associazione inconscia tra il sudore e il liquido amniotico (un altro fluido biologico) nel quale ogni essere umano è immerso nella fase della sua vita intrauterina quando si sente al sicuro e protetto. Sebbene questa sia solo una teoria, è importante capire che il sudore nasce per manifestare un bisogno di protezione vissuto dall’inconscio; esso  conosce poche vie di espressione, quella psicosomatica s’interseca con la sfera fisica e nascono così diversi malesseri.

Parlando di sudore psicosomatico, in base a dove sudi di più, si possono configurare diverse interpretazioni riferite a differenti fragilità: ad esempio se hai problemi di sudorazione psicosomatica a carico delle mani ti porti un carico di insicurezza, vergogne e paura del giudizio. Di fondo c’è una mancata accettazione del sé e potrebbe essere correlato con disturbo evitante di personalità e disturbo da ansia sociale.

La sudorazione psicosomatica delle ascelle, invece, vede due differenti meccanismi, il primo tipico delle persone passive e il secondo tipico delle persone reattive. L’innesco può essere la solitudine e/o paura dell’abbandono in un primo caso e la rabbia nel secondo.

La sudorazione localizzata a livello delle ascelle è tipica delle persone che hanno bisogno di essere amate e che si portano un vuoto emotivo da colmare. Vi è una predisposizione maggiore per persone con una spiccata sindrome abbandonica, con una carenza affettiva o una personalità dipendente. Nelle persone che manifestano una certa reattività, la sudorazione a carico delle ascelle esprime forte frustrazione e rabbia; Le esplosioni di rabbia, infatti, possono dare vita a una sensazione di calore diffusa in tutto il corpo.

Infine, la sudorazione psicosomatica a livello del viso configura una difficoltà ad accettare o cambiare la realtà. Queste persone preferiscono adattarsi alle situazioni senza neanche cercare di cambiarle. La sudorazione diventa una forma di ribellione inconscia.

Un’altra via inconscia che può determinare la sudorazione del viso e della fronte è la paura. L’intero viso può sudare se hai paura di essere smascherato o che una tua bugia possa rivelarsi per ciò che è realmente.

Vi siete mai chiesti perché sudiamo anche se sentiamo freddo? 

Bhe, tutti sappiamo che Il sudore è usato dal corpo per dissipare il calore in eccesso secondo un complesso meccanismo noto come termoregolazione. Se fa freddo, in teoria, il tuo corpo non dovrebbe avere la necessità di dissipare calore… allora perché capita di sudare?

Questa situazione paradossale è innescata dalla nostra mente.

In condizioni di particolari tensioni, nel corpo si verifica una condizione di vasocostrizione periferica quasi costante, con conseguente raffreddamento delle estremità (mani o piedi freddi) ma al contempo le ghiandole sudoripare secernono sudore estraendo energia termica dai tessuti sottostanti (mani fredde sudate).

Il nostro sistema nervoso è dato da una componente autonoma e una involontaria. Quella involontaria è suddivisa a sua volta in un sistema nervoso simpatico e un sistema nervoso parasimpatico. Queste due vie regolano in senso opposto lo stesso organo, si dice infatti che sono “contrapposte”.

Nelle persone che soffrono di sudore psicosomatico il rapporto tra il sistema nervoso simpatico e parasimpatico è messo a dura prova da altre vie nervose attivate dalla sfera emotiva. Questa distonia vede uno sbilancio a favore del sistema nervoso simpatico che causa sudorazione.

Concludendo, la realizzazione di questi dispositivi è una sfida tecnologica che richiede lo sviluppo di materiali conduttori elettrici che siano però flessibili, deformabili e leggeri e che possano essere posti sul tessuto senza degradarlo, quindi utilizzando condizioni blande di bassa pressione e temperatura. Inoltre, devono essere facili da usare, anche da personale non specializzato, integrando quindi tutte quelle funzionalità che solitamente sono svolte all’interno di un laboratorio analisi. Nonostante varie problematiche il forte impatto di queste tecnologie sta stimolando la ricerca scientifica del settore sviluppando sensori indossabili per la misurazione dell’elettrocardiogramma, lo stato di sudorazione, il pH e le concentrazione di elettroliti, glucosio e lattato.

Anche se il livello di maturità tecnologica è basso, in quanto sono necessari una validazione su larga scala in ambiente reale e l’industrializzazione dei processi produttivi, riteniamo possa essere possibile nel breve periodo lo sviluppo di dispositivi indossabili  i quali, attraverso lo studio della sudorazione, permettano il monitoraggio dello stato psico-fisico. L’applicazione delle tecnologie indossabili alla psicologia darà benefici che saranno maggiori della somma delle singole parti di queste due discipline… tutto è possibile, basta allargare gli orizzonti! 

Dott. Isacco Gualandi, Chimico

https://www.unibo.it/sitoweb/isacco.gualandi2

Dott.ssa Giulia Ingrosso, Psicologa

giulia.ingrosso9@gmail.com

benessere, psicologia, psicologia sociale, tecnologie

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