Una metafora del rapporto alla follia
La nave dei folli

Nave dei folli di H. Bosch (1494 circa)

Quanto segue è tratto dalle riflessioni di M. Foucault presenti nel saggio “Storia della follia nell’età classica” (1972). Credo sia importante tenere presente e ricordare alcuni fatti storici per poter comprendere l’approccio che oggi si tende ad avere alla follia. Rapporto, a dire il vero, che per tanti versi è stato plasmato da innumerevoli scoperte avvenute negli ultimi due o tre secoli.

Non tra le ultime, per quanto riguarda il nostro paese, l’idea del gruppo di Basaglia di ridurre – e in questo modo cercare di evitare una collusione – la segregazione dei malati mentali. Tuttavia, ritroviamo per tanti aspetti approcci e tendenze tardo medievali. Forse, anche per questo, Nietzsche parlava della nostra epoca chiamandola fine del Medioevo.

Vorrei a tal proposito prendere un’immagine dipinta da Bosch – e messa in copertina all’articolo – chiamata “La nave dei folli” datata fine 1400 o inizio 1500, per riflettere su alcuni aspetti della follia resi evidenti da questa rappresentazione dall’immaginario così potente.

Infatti, una delle caratteristiche centrali di questo periodo storico è proprio la sacralità delle immagini, soprattutto quelle create dall’uomo. Inoltre, è sempre in questo periodo che nell’immaginario comune spopolano streghe, draghi e altre rappresentazioni fantastiche e mitologiche che vanno al di là dell’immaginario cristiano, in continuità invece con quello pagano. Non esiste periodo più prolifico per quanto riguarda gli avvistamenti di draghi.

Un piccolo aneddoto sull’avvistamento dei draghi: alcuni autori associano questo dato anche al fatto che un cibo comune erano i derivati delle spighe di segale, sopra al quale si poteva trovare un fungo – chiamato Claviceps purpurea – che contiene dell’acido lisergico (per intenderci lo stesso acido che si utilizza per secernere una potente droga, la famosa LSD); ma questa è un’altra storia.

Torniamo al nostro discorso. Alla fine del Medioevo la lebbra sparisce dal mondo occidentale. Dall’Alto Medioevo fino al temine delle Crociate, “i lebbrosari avevano moltiplicato le loro città maledette su tutta la superficie dell’Europa” (Foucault, 1972). Secondo un monaco ricercatore dell’epoca in tutto il mondo cristiano se ne potevano contare diciannovemila. Dal XIV al XVII secolo emergerà un’altra incarnazione del male che stimolerà una rinnovata paura “con annesse magie di purificazione ed esclusione” (ibidem): le malattie veneree. I lebbrosari a questo punto saranno un luogo di appartenenza per questi orrori. La lebbra, tuttavia, nello scomparire – e non certo per le pratiche mediche adottate – lascerà in eredità un immaginario di valori che si erano legati al personaggio del lebbroso: è il significato dell’esclusione, e di un oggetto pericoloso, temibile associato a quel “altro” che deve essere allontanato se non si vuole essere contagiati per l’appunto.

Per Foucault, tuttavia, l’eredità della lebbra non va ricercata nelle malattie veneree, ma soprattutto in associazione ad un fenomeno più complesso e sfaccettato come quello della follia. Anche se, a tal proposito, bisognerà aspettare quasi due secoli per il suo monopolio in rapporto all’immaginario comune.

Ai fini di questo articolo, tuttavia, vorrei evidenziare un aspetto che ritengo interessante per quanto riguarda l’immaginario della follia e che ancora oggi frequentemente – e più o meno esplicitamente – incontriamo, che si riscontra in alcune opere artistiche del periodo rinascimentale.

Nel mondo immaginario delle opere artistiche del Rinascimento, infatti, un nuovo oggetto fa la sua comparsa: si tratta della Nave dei Folli. Foucault lo definisce “uno strano battello ubriaco che fila lungo i fiumi della Renania e i canali fiamminghi” (ibidem) e come accennavamo in precedenza, tra le diverse opere che presentano questo oggetto lo ritroviamo anche nel dipinto di Bosch precedentemente citato e che trovate in copertina. La Nave dei Folli è probabilmente una creazione letteraria presa in prestito dal ciclo degli Argonauti (mitologia greca). Anche se nel rinascimento l’utilizzo di questo oggetto si ritrova rappresentato in diverse opere anche nella letteratura.

Questa rappresentazione è interessante per il fatto che evidenzia diversi aspetti simbolici del rapporto comune alla follia. Infatti, frequentemente in quel periodo storico i folli venivano presi e affidati a battellieri o a marinai.

Curioso è il fatto che erano presenti diverse strutture in tutta Europa che potessero accoglierli, dai lebbrosari, alle prigioni o gli ospedali per essere curati e di fatto è quello che spesso accadeva. Possiamo dire, per riassumere, che in queste modalità di gestione si riunivano due tendenze principali: quella atta all’esclusione e quella alla guarigione.

Non è facile da questo punto di vista interpretare l’usanza di prendere queste persone e imbarcarle su dei battelli. Di certo non possiamo sottovalutare la praticità della metodologia, tuttavia possiamo ritrovare altri significati più vicini ad una logica simbolica rituale. Probabilmente ritroviamo un accostamento tra la follia e il mare, ad esempio rispetto all’acqua come simbolo di una purificazione (pensiamo alla acqua santa o altrimenti ai bagni che puliscono dalla sozzura). O altrimenti il fatto che la navigazione abbandona l’uomo al suo destino e all’incertezza della sorte: “È prigioniero in mezzo alla più libera delle strade e non si conosce il paese al quale approderà e quando metterà i piedi a terra non si sa da quale paese venga” (ibidem).

In questa rappresentazione ritroviamo simbolizzati alcuni aspetti che ancora oggi sono centrali nel rapporto che la nostra società attribuisce alla follia. Il folle, infatti, appartiene ad una sfera di familiare, che tuttavia è troppo familiare e quindi diviene estranea proprio per questo eccesso, o altrimenti ad una sfera di estraneità alienata che presenta tuttavia una qualche tipologia di familiarità perturbante. La sua posizione, quindi, sembra essere quella di un confine che deve rimanere tale. Il folle, infatti, fa troppi discorsi “strani, familiari e lontani; conosce troppo i segreti di ciò che è ben noto, per non essere di un altro mondo, molto vicino. Non viene dalla terra solida, con le sue solide città; ma dall’incessante inquietudine del mare, da quelle strade sconosciute che nascondono tanti saperi strani (…)” (ibidem).

Per approfondire: M. Foucault, “Storia della follia nell’età classica“, 1961.

Dott. Leonardo Provini

Psicologo e Psicoterapeuta a Roma

tel.+39 3339560127; mail. leonardoprovini@libero.it

filosofia, psicologia, storia della psicologia

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