Procreazione medicalmente assistita
Il Ruolo dello Psicologo
Che cos’è la procreazione medicalmente assistita?
Essa rappresenta l’insieme delle tecniche utilizzate per aiutare il concepimento, quando quello spontaneo è reso impossibile o difficile, e quando altri interventi di tipo farmacologico e chirurgico non sono stati utili o sufficienti.
Detta comunemente PMA, la procreazione medicalmente assistita si avvale di diverse tecniche di manipolazione di ovociti, spermatozoi ed embrioni finalizzate tutte alla realizzazione di una gravidanza. Queste tecniche vengono suddivise in metodiche di tre differenti livelli, in base alla natura invasiva e al grado di intervento medico che prevedono.
Le tecniche di I livello prevedono un intervento poco invasivo, difatti la fecondazione avviene all’interno del corpo della madre. Le tecniche di II e III livello sono caratterizzate dal ricorso alla fecondazione in vitro. In Italia questa pratica medica è regolata dalla legge 40/2004, e prevede il ricorso inizialmente alle tecniche meno invasive, che progressivamente possono prevedere il ricorso alla procreazione in vitro. Inoltre, dal 2014, in base a una sentenza della Corte Costituzionale, è possibile ricorrere alla fecondazione eterologa, ovvero ricorrendo a gameti di donatori, per realizzare la gravidanza.
Qual è il ruolo dello psicologo?
È proprio la legge 40/2004 a prevederne la presenza all’interno dei centri, pubblici e privati, che offrono questo tipo di intervento. Lo psicologo ha il ruolo di informare, guidare e sostenere la coppia che intraprende questo percorso, e che spesso arriva a tale scelta dopo aborti multipli. Il lutto è il primo tema da esplorare ed elaborare prima di approcciarsi alla PMA, per non creare fantasie di riparazione e onnipotenza nella coppia, ferita nella propria possibilità generativa. Un vissuto di colpa accompagna coloro che devono richiedere questo tipo di intervento, in particolare quando diviene necessario ricorrere alla donazione del gamete.
Nella mia esperienza con le coppie che richiedono la PMA, esse arrivano alla donazione dei gameti dopo molti tentativi e, purtroppo, di interruzioni di gravidanza. Tutto ciò porta a una traumatizzazione ripetuta, e a vissuti legati al tema dell’impotenza, dell’inadeguatezza e del corpo danneggiato, incapace di generare. Spesso, dopo aver scoperto l’impossibilità di procreare a causa di una propria difficoltà (azoospermia ad esempio) la coppia si ritrova separata dinanzi al percorso da compiere. Un partner è disposto a ricorrere alla donazione del gamete, pur di realizzare il desiderio di generatività, ma l’altro si trova a vivere sentimenti di esclusione, all’idea che il nascituro non avrà il suo patrimonio genetico. Una coppia che ho seguito per diversi mesi ha attraversato molte difficoltà nell’accettare l’impossibilità di concepire senza un aiuto esterno. Se la donna poteva accettare che lo sperma fosse donato, il compagno non poteva accettarlo. Viveva questa scelta come un essere estromesso dalla gravidanza e dal concepimento. “Non potrei sentirlo mio figlio”. Per le donne, nella mia esperienza professionale, la donazione dell’ovocita rappresenta una esperienza più accettabile, che fa scaturire meno angoscia e attiva meno meccanismi di difesa basati sulla paranoia e sulla dissociazione.
Questioni etiche?
Le coppie si domandano spesso se devono informare la propria famiglia del percorso che hanno deciso di intraprendere, sia che si tratti di procreazione omologa, sia che si tratti di eterologa. Una tale scelta rientra esclusivamente nella libertà decisionale dei futuri genitori. Se entrambi decidono di informare il nascituro del modo in cui è stato concepito, in particolare in caso di donazione dei gameti, le ricerche in questo ambito indicano come fascia di età preferibile per la comunicazione quella che va dai 3 ai 5 anni. In questa fase il bambino ha le capacità cognitive per comprendere ciò che gli viene detto, ed è ancora in tempo per organizzare la propria identità intorno a questa narrazione familiare e a questo dato di realtà. Nel tempo, con la maturazione del bambino, la famiglia potrà aggiungere dettagli più precisi, per aiutare il bambino nella comprensione di ciò che riguarda la propria nascita. La complessità dei vissuti legati al percorso di procreazione medicalmente assistita rende necessaria la consulenza attenta di uno psicologo psicoterapeuta esperto in questi processi. Nella scelta del centro e del ginecologo dai quali essere seguiti è importante verificarne la presenza, non solo per il rispetto della legge 40/2004, ma anche in termini di presa in carico completa e responsabile della coppia, in un momento fondamentale del ciclo di vita.
Articolo a cura della dott.ssa Valeria Colasanti
Riceve su appuntamento a Roma
colasantivaleria@gmail.com
Per approfondire:
RELAZIONE DEL MINISTRO DELLA SALUTE AL PARLAMENTO SULLO STATO DI ATTUAZIONE DELLA LEGGE CONTENENTE NORME IN MATERIA DI PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA (LEGGE 19 FEBBRAIO 2004, N. 40, ARTICOLO 15) – Attività anno 2018 centri procreazione medicalmente assistita.
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